Si spegnava due anni fa, stroncato da una malattia a soli 54 anni, il più abile e celebre procuratore di calciatori
Esattamente 45 anni fa a Novi Ligure, in Piemonte, moriva Sante Pollastri, un vecchietto di 80 anni che, nel corso dell’ultimo ventennio, aveva fatto il venditore ambulante di fiori. I trentadue anni precedenti, però, li aveva trascorsi in carcere: in gioventù, infatti, era stato un feroce assassino oltre che uno spietato rapinatore. Anarchico senza saperlo, Pollastri (o Pollastro, a seconda dei documenti consultati) aveva cominciato a delinquere da giovanissimo quando, spinto da fame e freddo, fregò qualche sacco di carbone.
Il problema è che, presto, si fece prendere la mano e passò a banche e gioiellerie. Durante i colpi messi a segno – o nel corso delle sue rocambolesche fughe – uccise almeno sei persone fra impiegati e forze dell’ordine, senza mai essere catturato. Riuscirono ad ammanettarlo soltanto nel 1927, a Parigi, dove si era recato per seguire la Sei giorni ciclistica in cui correva il suo amico e compaesano Costante Girardengo. Finito nel dimenticatoio, alla fine degli anni Novanta venne riportato in auge da Francesco De Gregori, che ne cantò le peripezie in ‘Il bandito e il campione’, un brano di grande successo.
E l’espressione ‘il bandito e il campione’, devo ammetterlo, l’ho a lungo collegata – in realtà senza un vero motivo – al povero Mino Raiola, il più celebre dei procuratori sportivi, anche lui morto curiosamente un 30 aprile, quello di due anni fa. La fama di fuorilegge di Raiola, infatti, benché cavalcata da stampa e tifosi, era del tutto arbitraria. Semplicemente, il suo aspetto da protagonista dei Soprano e la sua capacità ineguagliata di fare un sacco di soldi avevano indotto l’opinione pubblica a credere che i suoi incalcolabili guadagni fossero frutto di malversazioni, quando in realtà pare invece si sia sempre mosso entro i limiti della legalità.
Figlio di campani emigrati nei Paesi Bassi, iniziò giovanissimo a lavorare nel ristorante aperto dal padre ex meccanico, e a 17 anni già sedeva nel Consiglio degli imprenditori della città di Haarlem. Non trascurò però la scuola e, pur senza laurearsi, studiò giurisprudenza e seppe imparare benissimo ben sette lingue. Prima dei vent’anni comprò e rivendette un ristorante di McDonald’s e con le plusvalenze mise in piedi la sua prima società di intermediazione, che curava i rapporti fra aziende italiane e commercianti olandesi. La sua grande passione, però, era il calcio: appena maggiorenne, divenne ds dell’Haarlem Fc e, d’accordo col sindacato calciatori, diventò l’unico rappresentante all’estero dei giocatori di quel campionato.
I milioni che iniziò a intascare gli permisero di aprire filiali in Brasile e Repubblica Ceca, dove scovò talenti e fece in modo che venissero ricoperti d’oro. Si fece un nome e, presto, il suo telefono divenne incandescente. Tutti i giocatori del mondo, infatti, sognavano di farsi rappresentare da lui, che nel frattempo aveva saputo stravolgere le regole: portando Ibrahimovic dall’Inter al Barça, ottenne infatti un accordo che, oltre a rendere lo svedese ricco come Creso, garantiva 1,5 milioni all’anno (per 4 anni) anche a se stesso.
Da Rijkaard a Nedved, da Bergkamp a Robinho, da Lukaku a Balotelli, da Pogba a Donnarumma: moltissimi sono i fuoriclasse che, nel corso degli anni, si sono affidati ai servigi e ai maneggi di Raiola che – dati i volumi di denaro che generavano – iniziarono a destare qualche sospetto, come se non fossero poi davvero pulitissimi.
Ma tant’è: Mino ormai era diventato un re, si era trasferito a Montecarlo e la sua fama era divenuta ormai planetaria: Forbes, per dire, lo piazzò al quarto posto fra gli agenti più potenti del mondo. Del resto, nel solo anno 2000 aveva chiuso affari per quasi 900 milioni, il 10% dei quali era finito direttamente nelle sue tasche.
Quando due anni fa si spense in ospedale per una malattia grave e dal decorso assai celere, tutti si stupirono nell’apprendere che aveva solo 54 anni: la lunghissima carriera e quell’aspetto da gangster anni Cinquanta che si portava appresso, infatti, lo facevano sembrare ben più vetusto.