Il regista Andrea Marini racconta il restauro di una Rossa che ha segnato un’epoca (insieme a Clay Regazzoni)
Pubblichiamo un articolo apparso venerdì 20 aprile su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il finesettimana
La «312 B» debutta in pista nel Campionato mondiale di Formula 1 del 1970. Progettata da Mauro Forghieri in un’epoca in cui le macchine si facevano con «metro e martello», sarà soprattutto il suo cuore a crearne il mito: un 12 cilindri a V di 180° (a cilindri orizzontali dunque), aspirato, 2991 cm³ di cilindrata, con una potenza di circa 450 cavalli a 11’600 giri al minuto. Un propulsore in origine pensato per stare sull’ala di un aeroplano...
Nel 2016, a 46 anni dal suo debutto, l’ex pilota e imprenditore Paolo Barilla vuole riportare in pista uno dei cinque esemplari prodotti (recuperato negli Stati Uniti) e farlo gareggiare in un evento riservato alle auto storiche. Affida il suo progetto di restauro proprio all’ingegner Forghieri – classe 1935, già direttore tecnico del reparto corse della Ferrari – e a un team di meccanici appassionati. La monoposto viene smembrata e rivista in tutti particolari; l’intervento si rivelerà molto complesso, un gioco sul filo del rasoio.
La trama del documentario, nato da un’idea di Paolo Tarpini, corre su due binari. Da una parte c’è il sogno realizzato da Barilla che riporterà in pista la vettura al Gran Prix de Monaco Historique 2016 (anche se non con i risultati sperati), dall’altro c’è la storia di un’epoca e di un mondo, quello degli uomini che ruotavano intorno all’universo del «Drake», Enzo Ferrari. Un viaggio affascinante che conduce nello spirito della Formula 1 e nella sua età dell’oro, attraverso le testimonianze dei suoi protagonisti, con brevi e incisivi racconti di Nicky Lauda, Jacky Icks e Jackie Stewart. E poi ci sono le notti insonni dei meccanici alla ricerca delle più piccole migliorie da apportare...
Il film fa dunque luce su un capolavoro di meccanica dall’eleganza sartoriale, in cui nulla è lasciato al caso, anche se esternamente la vettura risultava abbastanza convenzionale. La 312 B nasce tra lacrime e sangue, e si contrappone alla realtà dei cosiddetti «garagisti» inglesi, che realizzavano le auto assemblando invece pezzi già fatti, dal motore alla scocca. A Maranello, al contrario, le monoposto venivano costruite ex novo, da cima a fondo.
Un posto speciale nel documentario è riservato a Clay Regazzoni, che vinse con questa Ferrari il Gran Premio d’Italia di Monza nel 1970. Una gara, quella brianzola, che è come una roulette per i piloti che si trovano ad affrontare un circuito dalla velocità media elevatissima, noto fra gli addetti ai lavori per le sue difficoltà. E non solo: «Monza – confessa Jackie Ickx nel film – è forse la pista più emozionante al mondo. La passione che c’è tra il pubblico è unica». La pensa allo stesso modo Gerhard Berger, ex ferrarista, che ricorda il podio conquistato nel 1988 in Italia con migliaia di fan che sfondarono le reti per accorrere verso di lui. Tuttavia fu Clay Regazzoni tempo prima a scrivere una pagina indelebile, rimasta nel cuore dei tifosi del cavallino rampante.
Quel 6 settembre di 48 anni or sono fu una giornata memorabile per la Formula 1, in un’epoca in cui tutto era più pericoloso, soprattutto per i piloti. Il giorno prima, infatti, nella sessione finale delle qualifiche del Gran Premio morì Jochen Rindt, su Lotus-Ford, che a fine stagione sarà comunque campione del mondo. La tragedia sconvolse il circus e la gara: in segno di lutto Jackie Stewart (March-Ford) entrò nella corsia dei box completamente vestito di nero. Lui e Rindt erano molto amici. I meccanici spinsero le macchine a motori spenti fuori dai paddock, fino alla griglia di partenza, con i piloti al loro seguito. C’erano anche Ickx, Regazzoni e Ignazio Giunti a lato delle loro monoposto rosse.
Poi la gara ebbe inizio, in un circuito che aveva ancora la vecchia conformazione, velocissimo e privo di chicane. Per un po’ Ickx e Giunti si giocarono le prime posizioni, ma poi uscirono dalla corsa lasciando Regazzoni solo con l’unica Ferrari in gara. Il pilota di Porza era entrato a Maranello solo a metà stagione e non aveva ancora vinto; tutta l’attenzione e la pressione del pubblico erano su di lui. Un’incredibile folla di fan voleva la sua vittoria, ma alcuni dubitavano che questa giovane promessa ce la potesse fare; altri temevano in un suo errore vista l’enorme pressione.
Ma Regazzoni corre veloce quel giorno e l’unico che riesce a stargli dietro è Jackie Stewart. Clay usciva sempre per primo dalla parabolica passando davanti ai box e giù verso la Curva Grande, e nel finale ci fu un testa a testa memorabile: il luganese alla fine di ogni giro zigzagava nel lungo rettilineo per cercare di tenere Stewart fuori dalla sua scia. La tattica funzionò: Regazzoni non fece errori e vinse. E accadde una cosa mai vista: «È stata la prima volta – ricorda Forghieri nel film – che la folla invase la pista. Per noi della Ferrari fu una vittoria incredibile. Il pubblico considerava Clay un italiano».
Il ticinese conquistò tutti e l’immagine della Ferrari 312 B rimase indelebilmente legata anche a quel giorno e alla grande festa che seguì. Fu la prima vittoria di Regazzoni a Monza. Clay si ripeté il 7 settembre 1975, due giorni dopo il suo 36esimo compleanno. Ma questa è un’altra storia.