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Si gioca troppo? Sì, ma la colpa non è delle Nazionali

A fine stagione Europei e Mondiali ne risentono, con giocatori stanchi e partite poco spettacolari. Forse il problema sta nelle tournée acchiappa-dollari

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11 luglio 2024
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Ma quanto sono stati brutti questi Europei ormai sul viale del tramonto? A detta di diversi osservatori lo sono stati parecchio. Partite senza emozioni, ritmo basso, tattica imperante, troppe stelle fuori forma, calcio stereotipato... A ben guardare, sono tutte obiezioni almeno in parte condivisibili. Se facciamo astrazione dalle prestazioni offerte dalla Spagna e dai suoi giovani talenti, è difficile trovare una squadra capace di proporre buon calcio sull’arco dell’intero suo torneo. Una di queste è senza dubbio stata la Svizzera, tuttavia la squadra di Yakin è stata quadrata, concreta, attenta, moderna, ma non certo spettacolare nell’accezione comune del termine, per quanto il gol di Shaqiri, quello di Vargas e l’incrocio dei pali dello stesso Shaq siano stati tra i pochi colpi di genio del torneo. Di partite indimenticabili, in buona sostanza, se ne sono viste davvero poche e allora viene da chiedersi come mai, visto che in Germania ci dovrebbe essere quanto di meglio il calcio continentale è in grado di offrire. Il problema sta però nella ritualità di questa domanda, sulla bocca di tutti gli esperti (e nel calcio siamo tutti esperti) ogni due anni, quando la nostra estate viene scandita dai Mondiali o dagli Europei. E siccome ogni appassionato è nel contempo il miglior allenatore e il miglior dirigente che la storia pallonara sia stata in grado di produrre, le risposte fioccano come neve al Polo Nord: dai troppi stranieri che soffocano i vivai, alla tattica che soffoca il talento, dai selezionatori che sbagliano le convocazioni, a quelli che sono imbattibili nel mettere in campo una squadra priva di logica, è tutto un florilegio di giustificazioni.

La più gettonata – e forse la più azzeccata – fa riferimento a stagioni sempre più lunghe con sempre più partite e sempre maggior stress (per restare in casa nostra, Granit Xhaka nella stagione 2023-24 conclusa sabato a Düsseldorf, ha disputato 65 partite ufficiali). Logico, dunque, che a giugno le stelle sottoposte a cotanta usura arrivino spompate, fiacche, fuori forma. Ammesso (e anche concesso) che questo sia il principale fattore per cui Mondiali ed Europei sono, di norma, sempre meno attraenti e spettacolari, bisognerebbe capire a chi appiopparne la responsabilità.

C’è chi critica i campionati a 20 squadre e li vorrebbe a 18 (ma quattro partite in meno farebbero la differenza?), le società dal canto loro se la prendono soprattutto con gli impegni delle Nazionali, causa di ulteriore carico di fatica e di stress dovuti ai viaggi (pensiamo ai giocatori sudamericani o a quelli africani). La soluzione sarebbe dunque quella di tagliare gli impegni delle selezioni nazionali, a partire da una Nations League spesso considerata inutile e che costringe i giocatori migliori a scendere in campo, in quanto competizione vera, a differenza delle amichevoli vecchio stampo, nelle quali la star di turno, previo accordo tra federazione e società di turno, giocava soltanto uno scampolo di partita.

È vero, gli impegni delle Nazionali cubano sulla fatica dei giocatori (a un carico già di per sé elevato, Xhaka ha aggiunto 15 impegni in rossocrociato), ma il fastidio con il quale vengono accettate dalle società è legato al fatto che alle casse dei club queste partite non portano nulla. O meglio, Fifa e Uefa prevedono indennizzi in caso di infortuni e il massimo organo mondiale dopo Qatar 2022 ha distribuito 187 milioni di euro a Uefa e consorelle, le quali si sono incaricate di dividerli tra i club che hanno prestato giocatori alle selezioni nazionali. L’indennizzo, tuttavia, non è nulla rispetto agli incassi multimilionari delle assurde tournée estive in giro per il mondo. Un tempo, una compagine italiana di Serie A si preparava al campionato affrontando avversari tipo la Battipagliese, mentre al giorno d’oggi, subito dopo il raduno si parte per l’estremo Oriente o per gli Stati Uniti per affrontare a suon di milioni il meglio della Liga, della Premier, della Bundesliga o qualche squadra emiratina o saudita. Senza contare che da quest’anno le competizioni Uefa verranno ampliate con una nuova formula e un numero più elevato di partite. Alle quali si aggiungono le varie Supercoppe nazionali disputate in quei Paesi nei quali i petrodollari te li caricano nella stiva degli aerei.

Insomma, fintanto che i calciatori saranno sfruttati come mucche da latte (non che se ne lamentino visto come una fetta ingente degli introiti finisce nelle loro tasche) sarà difficile arrivare a giugno-luglio e assistere a Europei o Mondiali intriganti. Non è un caso se la Coppa del mondo più bella da decenni a questa parte sia stata l’ultima, disputata nel torrido Qatar, ma nel mese di novembre-dicembre, con giocatori non ancora logori. Il calcio, tuttavia, è diventato un business e a livello di club contano soltanto i milioni che si riescono a ricavare. Ciò nonostante, i momenti più attesi dai tifosi, forse perché eventi biennali, sono quelli con Mondiali ed Europei. I quali, al contrario di troppe becere manifestazioni di intolleranza nei vari campionati, da quando è stato sterminato il fenomeno hooligan sono diventati quasi sempre oasi di tifo corretto e festoso.

Abbassare gli stipendi dei calciatori, ricorrere a meno partite inutili e dannose (le tournée di cui sopra) ed evitare di intasare i calendari con partite “raccogli-denaro”: allora, forse, Mondiali ed Europei tornerebbero a essere spettacolari.

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