Il viaggio di ritorno in albergo dallo stadio Olimpico dopo la partita di apertura dell'Europeo ci ha regalato un piacevole quanto inaspettato incontro
Roma – Dove eravamo rimasti? Ah sì, muoversi a Roma e in particolare nel post partita (in questo caso del match d’apertura tra Italia e Turchia). Abbiamo detto dei trasporti pubblici sorprendentemente efficienti, in particolare la metropolitana. Anche volendo però al termine dell’incontro vinto dagli Azzurri non avremmo potuto utilizzare quest’ultima, perché, nonostante l’estensione del coprifuoco da mezzanotte alla una per permettere ai tifosi di rientrare, tale mezzo di trasporto chiude alle 23.30. “E figuriamoci, so’ signori quelli, devono annà a dormire”. Chi parla? Lo scoprirete…
Usciti dallo stadio Olimpico poco dopo le 00.15, ci rendiamo subito conto che a differenza di quello che ci eravamo immaginati, nemmeno i tassinari stavano lì ad aspettarci. Decidiamo così di seguire alcuni tifosi attardati e attraversare il Tevere sul suggestivo Ponte della Musica – dedicato al compositore scomparso Armando Trovajoli, autore del famosissimo brano “Roma non fa la stupida stasera…” – che collega il quartiere Delle Vittorie al Flaminio. Lì, abbiamo un’ulteriore conferma del fatto che non sarebbe stato proprio semplicissimo trovare un mezzo per tornare in albergo, in quanto sotto al cartello con scritto taxi, al posto delle vetture in attesa ci stanno gruppetti di persone intente a telefonare e a sbracciarsi ogniqualvolta un’automobile con un numero di telefono impresso sulla fiancata passa loro davanti. Un ragazzo vestito di tricolore ci spiega che lui e i suoi tre amici hanno contattato una compagnia di taxi lasciando indirizzo (“davanti al Teatro Olimpico”, ok) e nome, ma ben mezz’ora prima. Facciamo lo stesso anche noi e nei successivi venti minuti ci godiamo – si fa per dire – la caccia al taxi libero, con tanto di persone pronte a cambiare se non connotati perlomeno il nome pur di tornare a casa. Del tipo: “Marco guarda si avvicina un taxi, vedi un po’ chi cerca”. “Nicola?”. “Sì, sono io”.
Qualcuno ci fa persino notare che dietro all’angolo c’è un abusivo che aspetta, ma decliniamo l’offerta e veniamo premiati poco dopo, con il nostro salvatore che si presenta: “Eccomi, sono Sergio”. Nella successiva mezz’oretta che ci separa dal nostro albergo, Sergio, canuto e smilzo “romano de Roma” ormai prossimo alla pensione, ci tiene compagnia con il suo cinismo pacato ma tagliente. Detto dell’antipatia per gli autisti della metro, ci racconta che fa il tassista da ormai 27 anni, sempre il turno di notte, quello “brutto, nel quale si rischia grosso, io ne ho prese di botte e pure una coltellata in un tentativo di rapina”. La sua voce è sincera, gli occhi vissuti riflessi nello specchietto retrovisore pure. Gli crediamo, non sembra un “fregnacciaro”. Passando davanti alla Corte Suprema di Cassazione ci regala un “da lì è meglio star lontani, perché è molto più facile entrarci che uscirne”, prima di sottolineare come una sua amica pur essendo lautamente pagata a tempo pieno, ci lavora tre giorni alla settimana: “e gli altri che fa?”. È il turno poi dei carabinieri di ricevere la loro dose di epiteti, prima i motocilisti che passano bellamente col rosso e poi una volante che ci supera con i lampeggianti accesi. Facciamo ingenuamente notare che potrebbe davvero esserci un’emergenza: “Certo che c’è, devono annà a bere er caffè”. Poco dopo, fermi a un semaforo, due auto ci affiancano e gli occupanti, finestrini abbassati, iniziano a parlarsi tra loro. Capiamo solo il “daje” di incitamento gridato dai giovani della prima vettura all’amico nell’altra, accompagnato da una ragazza, prima del lancio dal finestrino di quelli che intuiamo essere profilattici: “Povera Italia”, si limita a commentare il nostro amico. Semaforo verde. Siamo arrivati. Grazie, Sergio.