Abbiamo incontrato il presidente dell’Inter in occasione del premio assegnatogli in ricordo di Nils Liedholm, ‘campione sul campo, signore nella vita’
Era solo un ‘bocia’ Giuseppe Marotta, presidente dell’Inter e Ceo Sport nerazzurro, nonché consigliere della Lega nazionale professionisti della Serie A italiana, quando la sua ancora acerba strada del calcio si incrociò con quella di Nils Liedholm, indimenticabile allenatore di calcio e, prima, centrocampista ai tempi del mitico Gre-No-Li (contrazione delle iniziali dei cognomi dei tre famosi calciatori svedesi Gunnar Gren, Gunnar Nordahl e, appunto, Nils Liedholm, glorioso trio che giocò nella Nazionale svedese e nel Milan degli anni Cinquanta).
«Liedholm è stata una figura molto importante nella mia vita. Era allora allenatore del Varese, dove sono nato e cresciuto, e artefice della sua promozione in Serie A – ci racconta i suoi esordi nel pallone ai margini della cerimonia che lo ha visto protagonista alle Cantine di Villa Boemia a Cuccaro Monferrato, nell’Alessandrino, del Premio intitolato, da tredici anni, a ‘Il Barone. Campione sul campo, signore nella vita’ –. Era il 1969, avevo 12 anni, e la mia casa si trovava a 150 metri dallo stadio. Riuscivo a intrufolarmi grazie al magazziniere che mi faceva assistere agli allenamenti. Da Liedholm ho imparato l’importanza di gestire il gruppo. Una delle caratteristiche che più lo contraddistingueva, infatti, era la capacità umana nel guidare la squadra. È stato questo il primo insegnamento di colui che è stato, soprattutto, uno straordinario professionista».
Il mondo del pallone, in oltre cinquant’anni, è però molto cambiato. Come lo interpreta oggi Beppe Marotta? «È vero, il calcio è cambiato, ma quando si parla di leadership la intendiamo come allora. E da Liedholm ho imparato come si deve parlare alla squadra. Nessun campione senza le capacità umane può essere definito tale. Veri campioni si diventa quando abbini la qualità tecnica e l’attività sportiva alla capacità di sfruttare le tue risorse al massimo. E un grande allenatore è capace di far risaltare soprattutto questo, coltivare un talento per farne un campione completo. Liedholm era uno di quelli».
E Simone Inzaghi è uno di questi? «Sono personaggi differenti in un mondo, del resto, diverso. Allora vi era una grande considerazione anche a livello umano, e se ne aveva la possibilità in quanto non esisteva la pressione che c’è oggi. Pensiamo alla pacatezza, alla tranquillità del ‘barone’, le sue battute anche ironiche, famose perché in grado di sdrammatizzare. Oggi il mondo del calcio è sottoposto a una pressione continua e tale che, anche per una battuta, potrebbe scatenarsi una polemica infinita, non parliamo di un rigore... Ecco, se dovessi dare un consiglio a Inzaghi, giovane e in crescita, è proprio quello di acquisire quella stessa pacatezza».
Stile ed educazione sono proprio le caratteristiche a cui si ispira il riconoscimento guadagnato da Marotta, insignito del premio “per il percorso di crescita costante che lo ha portato a raggiungere il meglio assoluto nel management sportivo nazionale e non solo, non dimenticando mai i valori umani, il rispetto e l’eleganza che guidano lo stile di leadership che esercita in ogni ruolo ricoperto”: «Sono qualità che non solo nel calcio si vedono sempre meno. Tutto questo mondo è cambiato. Anche Varese, in passato più paese che città, dove ci conoscevamo tutti. Oggi è difficile avere anche delle semplici interazioni. Se le barriere dal punto di vista etnico sono state abbattute, e ciò è senz’altro un elemento positivo, dall’altra ci ha portato come esseri umani ad allontanarci. Ed è una lacuna che va colmata. In questa necessità di migliorarci ci aiuta dunque anche lo sport. Lo stesso mercato, in passato chiuso o limitato agli stranieri, si è via via aperto, e ha comportato grandi vantaggi. Il mio auspicio è quello di perseguire questa strada riconoscendo il valore sociale che lo sport ha».
La consegna del premio dalle mani del figlio di Liedholm, Carlo
Più che sui campi, però, il calcio è diventato un gioco assaporato attraverso uno schermo, e soprattutto attraverso la giungla degli abbonamenti (Sky e Dazn su tutti). Come si può o si deve sfuggire da ciò? Per Marotta la parola chiave è sostenibilità: «Negli ultimi anni purtroppo la si è persa e con essa il modello di mecenatismo che a Varese, per portare un esempio, era interpretato dall’imprenditore Giovanni Borghi, figure che non ci sono più. Varese, allora, aveva potuto portare il basket nel mondo, il calcio era approdato in A, avevamo pugili e ciclisti importanti. Lo vediamo anche a Milano che, seppur metropoli, ha le sue due squadre di calcio di proprietà di altrettanti fondi stranieri e, se non fosse così, le sorti di queste gloriose società avrebbero avuto, sicuramente, ripercussioni negative. Il mondo dello sport, quindi, è oggi prima di tutto un modello di business piuttosto che di sostenibilità. E, arrivando alle televisioni, oggi la voce dei diritti rappresenta mediamente il 60-70% dei ricavi. Per questo è necessario difendere un prodotto vincente, accettabile per i tifosi, che sono oggi anche dei clienti. Sta qui la sfida nuova: la necessità di lavorare su un prodotto che sia coinvolgente, in base soprattutto a quelle che sono le esigenze dei giovani d’oggi, che fanno fatica, spesso, a vedere una partita per i suoi 90 minuti».
Più ottimismo vi è, da parte del presidente nerazzurro, per il calcio giocato: «Solo un punto dal primo in classifica in campionato e partite in Champions League di tutto rispetto. La prima parte della stagione è senz’altro positiva. Rispetto allo scorso anno vi sono però altre squadre che dimostrano di guadagnarsi i posti al vertice. Ma, lo sappiamo bene, è ancora lunga, davanti ci sono tantissimi incontri. Gennaio e febbraio saranno mesi determinanti ed è necessario rimanere attaccati alla vetta. Guardo quest’anno soprattutto al merito di Lazio, Atalanta e Fiorentina».
Se Confalonieri, fidato braccio destro di Silvio Berlusconi, si è lasciato sfuggire un giorno un “l’avessimo noi Marotta”, Paolo Scaroni, attuale collega di Marotta su sponda rossonera, ha parlato di una sola squadra meneghina, la sua. Beppe Marotta nel rispondergli, congedandosi dalla sala, ha utilizzato quell’eleganza che lo ha portato a vincere il premio Liedholm: «Sulla mia cravatta ci sono due stelle, auspico che presto possa raggiungerle anche il Milan…».