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Si ritira Iniesta? Ma non aveva già smesso da un po’?

Un paio di giorni fa, a 40 anni e dopo 6 stagioni in campionati di Paesi lontani, il fortissimo centrocampista spagnolo ha appeso le scarpe al chiodo

In sintesi:
  • Andrés Iniesta, fra i centrocampisti più forti della storia del calcio, ha detto addio alle competizioni. Diventerà con ogni probabilità allenatore
  • Benché in seguito abbia giocato ancora per sei anni in campionati minori ma assai remunerativi, il suo ‘vero’ addio al pallone fu quando chiuse la sua carriera al Barcellona, club con cui ha vinto tutto, nel 2018
  • Oltre che per le sue caratteristiche tecniche e per la sua leadership, Iniesta è da sempre molto ammirato per il suo carattere e la sua sensibilità
10 ottobre 2024
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Quando martedì mattina ho ricevuto sul telefonino la prima delle svariate notifiche riportanti l’addio al calcio di Iniesta non riuscivo a capire bene di cosa si trattasse, perché ero straconvinto che Don Andrés di giocare al pallone avesse smesso ormai da un pezzo. Da cinque o sei anni almeno, andando a memoria. Quindi ho archiviato la notizia sullo scaffale delle innumerevoli minchiate che, ogni sacrosanto giorno, la rete tenta di spacciarci per oro colato.

La seconda reazione che ho avuto, un minuto più tardi – appena visto recapitarmi per la seconda volta ciò che ritenevo una fake news – è stata quella di dirmi: ‘Ecco, uno posta la prima scempiaggine che gli passa per la mente, e la gente è così scema da cascarci e da provvedere immediatamente a diffondere a macchia d’olio e con leggerezza la più bieca delle falsità. Ma perché non andate a verificare, prima di spargere menzogne ai quattro angoli del mondo?’.

In realtà – ovviamente – quello che avrebbe dovuto premurarsi di andare a controllare era il sottoscritto. Solo che, prima di decidermi a farlo, ho aspettato almeno fino alla quinta notifica. Del resto, è sempre dura ammettere di avere torto.

Indagando, ho scoperto che effettivamente nel 2018 Iniesta aveva disputato la sua gara d’addio, ma si trattava soltanto della sua despedida dal Barcellona, club di cui era emblema, e non dal calcio in generale. Infatti, una volta smessa la maglia blaugrana, il fenomenale centrocampista spagnolo si era trasferito in Giappone per indossare quella nera e granata del Vissel di Kobe, casacca che ha poi portato per la bellezza di cinque anni, durante i quali mai una volta mi è capitato di incappare in una notizia che avesse a che fare con la sua prolungata avventura nipponica.

O forse, in realtà, segnali e indizi di un Iniesta nel Paese del Sol Levante mi erano pure giunti, ma io li avevo bellamente ignorati. Un po’ perché di quanto accade agli antipodi mi interessa fino a un certo punto, specie se si tratta di calcio. Ma soprattutto perché – nella mia memoria, cioè nel mio cervello dalla garanzia ormai scaduta da un pezzo – la partita in cui Iniesta aveva salutato i tifosi del Barcellona alla fine di maggio del 2018 si era fissata come se si trattasse del suo pensionamento tout-court, e non soltanto dell’addio al Camp Nou e ai sostenitori culé.

Un centrocampo da sogno

Evidentemente, i miei sparuti neuroni si erano rifiutati di accettare l’idea che uno come Iniesta – che nella mia personale top ten del pallone occupa una poltrona di bordo ring – potesse vestire una maglia diversa da quella del Barça o della Nazionale spagnola, quasi a voler congelare il ricordo di una sorta di perfezione.

Perfetta era infatti l’identificazione fra quella squadra e il suo capitano, che insieme a Xavi, Busquets e sua maestà Messi formava probabilmente il centrocampo più forte della storia del calcio mondiale. Andrés Iniesta, dunque, avrà anche giocato cinque anni in Giappone – e perfino una stagione negli Emirati Arabi Uniti – ma è fuor di dubbio che, nell’economia della sua leggendaria carriera, si tratti di un dettaglio men che trascurabile. Ma mica sto criticando la sua scelta di migrare in Estremo Oriente, eh: se laggiù gli offrivano milioni a bisacce, ha fatto benissimo a monetizzare, ci mancherebbe. Semplicemente, era per dire che questi ultimi sei anni spesi chissà dove nulla tolgono e nulla aggiungono alla sua straordinaria parabola di calciatore e di uomo.

Amato e ammirato da tutti

Fra i pochissimi campioni a essere realmente rispettato e amato anche dai tifosi avversari – sia del Barça sia delle Furie Rosse – Andrés Iniesta è stato davvero un fuoriclasse: dotato di piedi fatati e di pensiero lucido e rapidissimo, si è davvero distinto da tutti gli altri, come soltanto i geni riescono a fare. A suo agio in ogni zolla di campo – dalla propria area fino alle bandierine del corner poste all’estremità opposta del terreno di gioco – faceva tutto con una naturalezza che lasciava davvero increduli. Dotato da madre natura di una struttura fisica tutt’altro che statuaria, era la dimostrazione vivente – come del resto i suoi meravigliosi sodali Xavi e Messi – che per eccellere nel gioco del pallone i requisiti fondamentali non risiedono certo nei muscoli e nei centimetri. Giocatori così sono praticamente irriproducibili: tecnica, visione di gioco, leadership, fosforo, mentalità vincente, eleganza innata, destro e sinistro, difficile da abbattere, dominatore dello spazio e del tempo, sommo sacerdote dell’assist ma bravo pure a gonfiare la rete in prima persona, professionista serissimo ma al contempo capace di divertirsi dietro al pallone come un bambino che resta in cortile a giocare sebbene la mamma gli ordini di salire a casa per la cena, esempio vivente per almeno un paio di generazioni di giocatori che hanno avuto l’onore di condividere il campo con lui.

Iniesta in carriera ha vinto, come si dice, di tutto e di più, e lo ha fatto certo non da comprimario, ma da protagonista assoluto. Qualche volta – anzi spesso – è stato perfino più bravo e determinante di un marziano come Lionel Messi, il quale ricevette, fra quelli meritati, anche un paio di Palloni d’oro che sarebbero stati invece da consegnare, più giustamente, a casa del Blanquito Iniesta. Oltre mille partite giocate e mai un’espulsione, mai un dissapore con un rivale che sia durato più di dieci secondi, mai uno scandalo da rotocalco, mai un tatuaggio né una tinta ai capelli (peraltro già radi quand’era ancora giovanissimo).

Il suo rivale madridista Luka Modric, uno che il Pallone d’oro invece è riuscito a vincerlo, ha dichiarato un giorno che il più bel complimento ricevuto in carriera è stato quando lo hanno paragonato a Iniesta, tanto per rendere l’idea della grandezza del giocatore e del rispetto tributatogli dai colleghi.

Il più sensibile dei fuoriclasse

Iniesta, che ha alzato tutti i trofei esistenti e che ha regalato alla Spagna con un suo gol in finale l’unico titolo mondiale finito nella bacheca iberica, è sempre stato – oltre che un fuoriclasse – un uomo vero, una persona sincera, trasparente e sensibile. Lo ha dimostrato, in ultimo, con le lacrime versate nel corso dell’evento organizzato martedì per dare l’annuncio del suo ritiro dalle competizioni.

Ma lo aveva già evidenziato – nel 2010 – dedicando la rete della vittoria iridata al suo grande amico Dani Jarque, difensore dell’Espanyol morto l’anno precedente, a 26 anni, mentre dall’Italia, dove si trovava con la squadra, parlava al telefono con la fidanzata rimasta in Spagna e incinta di sette mesi. Una tragedia che lo stesso Don Andrés patì terribilmente, tanto da piombare in una depressione che poi – fra alti e bassi – lo ha sempre accompagnato, fino a oggi, ma di cui, con grande coraggio, non ha mai fatto mistero.