Sono davvero moltissimi i calciatori brasiliani d’alto livello che hanno continuato a giocare, per passione, anche dopo aver compiuto i quarant’anni
L’ultimo campione brasiliano a fare un’apparizione nel calcio dei Dilettanti è stato il Profeta Hernanes, che qualche settimana fa ha iniziato ad allenarsi con una squadra di Prima Categoria piemontese. All’esordio con il Sale l’ex di Lazio, Inter e Juventus ha segnato subito il gol vittoria. A 38 anni ha ritrovato il piacere di giocare a pallone in un calcio senza troppo stress.
Storie brasiliane di questo tipo non sono affatto rare in Italia, con un episodio eclatante anche nel Ticino. Il precursore è stato Mané Garrincha, che nel 1970 in Italia per accompagnare la moglie cantante Elza Soares in tournée, giocò grazie all’amico Dino Da Costa alcune amichevoli con il Sacrofano, Seconda Categoria laziale. Veniva pagato a gettone, circa 100mila lire a partita, con la gente che accorreva per vedere l’ala destra più forte di tutti i tempi. Il portiere della formazione romana era tal Bruno Vinicio, che ricorda ancora oggi i due gol presi in allenamento dal brasiliano, due colpi d’esterno direttamente dal corner. Pochi anni dopo fu il suo ex compagno di Nazionale Altafini a fare una scelta per certi versi simile.
È l’estate del 1976, José ha passato una stagione con la Juventus quasi interamente in panchina. I bianconeri di mister Parola sono arrivati secondi dietro al Toro, che è tornato a vincere un campionato dopo la tragedia di Superga. Il 37enne José in dieci spezzoni di partita è riuscito comunque a realizzare un gol decisivo nella vittoria contro l’Ascoli, l’ultima rete delle tantissime realizzate in serie A dal lontano 1958, quando è arrivato al Milan dopo aver giocato e vinto il Mondiale in Svezia.
Altafini ha ancora voglia di giocare, ma capisce che alla Juventus non ci sarà più spazio per lui. Si fa avanti il Chiasso del presidente Ernesto Parli, che gioca nella serie B svizzera. Giampiero Boniperti e Pietro Giuliano sembrano però promettergli un ruolo dirigenziale alla Juventus ancora non ben definito, nel frattempo passa l’estate in Canada a giocare un torneo con il Toronto. Al ritorno in Italia la possibilità di un ruolo da collaboratore nella società bianconera sembra evaporata e il Chiasso è la soluzione migliore, anche perché gli permette di continuare a vivere a Torino, dove da anni ha fissato la residenza e ha mantenuto impegni professionali extracalcistici.
Si allena dunque al campo Combi con gli ex compagni della Juventus, l’allenatore è diventato Giovanni Trapattoni, suo ex compagno ai tempi del Milan di Rocco e Viani. Solo nel weekend si muove per andare a giocare nei campi svizzeri del campionato cadetto. Insieme a lui arriva a Chiasso anche Renato Cappellini, ex di Inter e Roma. Nel 1976 tra A e B ci sono altri stranieri in Svizzera, come per esempio l’inglese Martin Chivers, i tedeschi Bernd Lorenz, Herbert Stöckl e soprattutto Günter Netzer. Nella Serie A italiana invece le frontiere sono ancora chiuse e possono giocare solo gli oriundi o quelli arrivati prima del decreto di chiusura degli anni Sessanta.
Il Chiasso quell’anno non riuscirà a raggiungere la promozione nella massima serie, ma ormai è troppo tardi perché non diventi iconica l’immagine di Altafini con la maglia rossoblù sponsorizzata Ceramiche Ricchetti, una ditta di Sassuolo. «La mia non è stata una scelta di vita – racconta Altafini a laRegione – Ernesto Parli e Chico Frigerio sono venuti a parlarmi a Torino. Hanno accettato subito le mie condizioni, poter giocare in estate per quaranta giorni a Toronto e poi una volta iniziata la stagione allenarmi durante la settimana a Torino. Mi allenavo esattamente come i miei compagni, non a parte, sotto gli ordini del Trap. Al Chiasso sono andato perché volevo chiudere la mia attività calcistica pian piano, e non di colpo dall’oggi al domani. La Serie B svizzera non mi è parsa tanto facile. Il Chiasso aveva alcuni giocatori nell’orbita della Nazionale, io in attacco giocavo con Cappellini e, poco più indietro, giostrava il danese Allan Michaelsen. Stavamo andando bene, secondi in classifica, quando i primi – quelli dell’Étoile Carouge – vengono a giocare da noi. Segno io per primo, poi l’arbitro ci fischia un rigore contro: tumulto in area, tutti addosso all’arbitro, io dico ai compagni di stare tranquilli, dato che eravamo più forti. Ma un nostro centrocampista, Sulmoni, dà un pugno all’arbitro, viene espulso e sarà squalificato per un paio d’anni. Con quell’episodio il nostro bel campionato in pratica finisce, e chiudo anch’io senza ottenere la promozione sperata».
La formazione passerà di categoria l’anno successivo, quando José ha già concluso l’esperienza. Ma non è definitivo l’addio al calcio. Altafini infatti tornerà a giocare nel Chiasso nella primavera del 1979, un po’ imbolsito, a quasi 41 anni, con la squadra penultima in classifica. José non è riuscito a dire di no agli amici che già una volta gli avevano proposto di giocare con il club ticinese. Il Chiasso riuscirà a salvarsi. «Mi richiama – continua Altafini – il presidente perché la squadra si trovava senza attaccanti. Ho fatto volentieri una decina di partite in A, raggiungendo la salvezza».
Altafini chiuderà definitivamente la carriera nel 1980, giocando solo alcune partite nel Mendrisiostar, in B. «Quello svizzero era un calcio non troppo diverso da quello a cui ero abituato, al tempo non c’era troppa tattica da nessuna parte. Alcuni terreni di gioco erano belli, come quello di Chiasso, altri molto meno».
Di lì a poco Altafini diventerà una seconda voce fenomenale nelle telecronache di Telemontecarlo. «Partecipai a una decina di campionati di calcio a sette con il Circolo della Stampa di Torino. Poi il tennis è stata un’altra soluzione per continuare con lo sport e chiudere, come ho già detto, pian piano». Un po’ come Altafini, negli anni Ottanta anche Dirceu, dopo aver disputato tre Mondiali e un’Olimpiade, giocò nei dilettanti con l’Ebolitana, squadra di una cittadina della Campania. Djalma Santos (anche lui compagno di Altafini a Svezia 1958) invece finì a insegnare calcio ai bambini di una squadra in provincia di Vicenza, a Bassano.
Nel 1994 da campione del mondo ma ancora senza squadra, il portiere Taffarel scese in campo da attaccante con una squadra parrocchiale di Reggio Emilia. Aldair invece ha giocato qualche partita con una squadra di San Marino, disputando i preliminari di Champions League. Più recentemente, ma prima di Hernanes, l’ex Inter e Roma Maicon è stato schierato in squadra con il figlio nei dilettanti del Sona, in Veneto. È un caso che tanti fuoriclasse brasiliani da più di cinquanta anni non abbiano timore di frequentare la periferia dell’impero calcistico, dopo aver indossato la maglia della Seleção?
Da trentatré anni l’area di ricerca di Bruno Barba, docente di Antropologia del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Genova, è il Brasile, dove va periodicamente per utilizzare il futebol come strumento di analisi. «L’uomo brasiliano – dice a laRegione – prima ancora dell’atleta brasiliano, raramente ha atteggiamenti divistici, snobistici e classisti. Ha un rapporto ancestrale con il calcio, basta andare a vedere cosa succede sulle spiagge della costa, e dentro di sé ha uno spiccato spirito di avventura perché è figlio di migranti. Va inoltre citato anche il concetto di generosità, il brasiliano tende a godere della felicità altrui e questo si nota anche nell’interpretazione del gioco. Per tutte queste ragioni il calciatore brasiliano si spende fino alla fine. Magari andando anche sotto a quel livello che un europeo definirebbe dignitoso».
Altafini parla sempre con affetto dell’esperienza svizzera, arrivata dopo le stagioni trionfali con Milan, Napoli e Juventus. Gli rimane ancora il rammarico di non aver trascinato con i suoi gol il Chiasso nella massima serie. «Mi sono divertito moltissimo – conclude l’ex centravanti – purtroppo però quell’anno c’è stato il casino del nostro centromediano che ha picchiato l’arbitro».