Il capitano della Nazionale, che domenica eguaglierà il record di Heinz Hermann (118), intende giocare ancora molti anni
Trentadue anni dopo, il record di presenze in Nazionale fissato da Heinz Hermann sarà eguagliato. Domenica infatti, a San Gallo contro la Bielorussia - gara valida per la corsa a Euro 2024 - il capitano rossocrociato Granit Xhaka toccherà quota 118 e, a soli 31 anni, entrerà nella storia.
In un'intervista realizzata da Keystone-Ats, Xhaka ha ripercorso i momenti più significativi di una carriera internazionale cominciata il 4 giugno 2011 a Wembley, e ha lasciato intendere che potrebbe facilmente raggiungere la quota di 150 selezioni: «È qualcosa di altamente probabile».
Cosa ricorda di quella sua prima chiamata in Nazionale?
Ho molti ricordi, prima di tutto mi viene in mente il momento in cui Ottmar Hitzfeld mi ha domandato se fossi pronto a giocare quel match contro l'Inghilterra. Non ci ho messo molto prima di rispondergli che lo ero. Davanti a 95mila spettatori, al momento degli inni nazionali ero molto nervoso. Era un sogno che si realizzava, sentivo un'enorme fierezza. Fu un giorno importantissimo per la mia carriera.
Hitzfeld le ha offerto quella prima opportunità: lui resta uno dei migliori allenatori con cui ha lavorato?
Mi ha dato fiducia. Era un gentleman, uno dei più grandi allenatori della storia, proprio come Arsène Wenger. Trattava i giocatori con un enorme rispetto, e ha sempre mantenuto la parola. Lavorare ai suoi ordini è stato davvero un privilegio.
Fra le 5 fasi finali giocate in maglia rossocrociata, qual è stata la più significativa per lei?
Il Mondiale in Brasile del 2014. È stata la prima, per me. L'ottavo di finale contro l'Argentina fu un match incredibile. Giocammo davvero una grande partita. Purtroppo ci fu quel gol di Di Marìa proprio alla fine dei supplementari. E poi quell'occasione di Dzemaili... Col senno di poi, mi pare qualcosa di irreale aver disputato cinque fasi finali consecutive con la maglia della Svizzera.
Quali sono stati momenti più duri? Le due partite contro la Serbia?
Dipende da cosa s'intende per duri. Le due gare contro la Serbia sono state partite diverse dalle altre per via della mia storia personale, ma non credo di aver vissuto momenti duri, nel vero senso della parola, durante la mia carriera internazionale. Le cose positive sono state molto superiori a quelle negative.
La partita più emozionante fu quella contro suo fratello Taulant, che vestiva la maglia albanese, agli Europei del 2016?
Quella partita sarà sempre un picco nella mia carriera. Per me, per mio fratello, per i miei genitori. Vedere due fratelli che si sfidano con maglie diverse a un Europeo è qualcosa di unico. Ancora oggi, fatico a descrivere a parole cosa provai quel giorno.
Il più bel successo fu contro la Francia a Euro 2021?
Sì, senza alcun dubbio. Nessuno ci dava la minima chance di riuscita, ma noi volevamo crederci. Abbiamo dominato il primo tempo e, dopo l'intervallo, abbiamo pure fallito il rigore del 2-0. Poi, in un quarto d'ora, abbiamo concesso tre reti ai francesi, che poi si misero a danzare e a divertirsi in campo. Eravamo ko, ma la loro arroganza ci ha in qualche modo fatto rientrare in partita.
La sconfitta più amara? Il suo rigore fallito contro la Polonia a Euro 2016?
Quell'eliminazione non l'ho ancora digerita. Non a causa del mio rigore sbagliato, ma per come si svolse la gara. Dopo il pareggio firmato da Shaqiri, la partita era girata e abbiamo avuto molte occasioni per chiudere la pendenza prima dei rigori. Avremmo dovuto vincere 4 o 5 a 1.
Domenica eguaglierà il record di presenze in Nazionale detenuto da Heinz Hermann a quota 118: cosa significa per lei?
Ancora non realizzo la portata di questo record, specie se consideriamo la problematica della mia identità nazionale. Non è forse stato detto spesso che non sarò mai un vero giocatore svizzero per via del fatto che non canto l'inno? Ma domenica, con la selezione numero 118, la questione sarà finalmente chiusa, nessuno potrà più dire che non porto fieramente i colori rossocrociati. In queste 118 presenze, nulla è dovuto al caso: devo tutto alla passione che nutro per questo sport, alla fierezza di rappresentare il mio Paese e ovviamente all'enorme lavoro svolto in tutti questi anni.
Fino a quando giocherà? Fino ai Mondiali del 2026? Fino alle 150 selezioni?
Non voglio fissare alcuna data, nessuna scadenza. Se starò bene, perché non continuare anche oltre il 2026? Finché avrò fame, la fine della mia carriera sarà ancora lontana. Farò di tutto per giungere a 150 presenze: nessuno oltre a me sarà in grado di fermarmi».