Il Tribunale federale della Figc ha prosciolto in primo grado tutti i club e i dirigenti coinvolti, compresi i presidenti di Juventus e Napoli
Il Tribunale federale della Figc ha assolto in primo grado tutti i club e i dirigenti coinvolti nel "caso plusvalenze" che da qualche mese si era abbattuto sul calcio italiano. Non è quindi stata accolta l’ipotesi accusatoria della Procura federale, che aveva chiesto pene pesanti sotto forma di multe pecuniarie per i club (la più elevata 800mila euro per la Juventus) e di inibizioni dai 6 ai 16 mesi per i dirigenti coinvolti (tra questi 16 mesi e 10 giorni per l’ex dirigente della Juventus Fabio Paratici, 12 mesi per il presidente della Juventus Andrea Agnelli e per l’ex presidente della Sampdoria Massimo Ferrero e 11 mesi e 5 giorni per il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis).
Tutto era nato sul finire del 2021 a seguito dell’indagine della Procura di Torino e della Guardia di Finanza denominata "Operazione Prisma", nata dopo alcune segnalazioni di Consob (l’autorità amministrativa italiana che ha il compito di vigilare sulle operazioni delle società quotate in borsa) e Covisoc (la Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche) su possibili plusvalenze gonfiate aventi come protagonista principale la Juventus. Ricordiamo che si definisce plusvalenza la differenza tra il prezzo di vendita di un giocatore e il suo residuo costo a bilancio. Le indagini della giustizia ordinaria, che ha tempi molto più lunghi di quella sportiva, sono ancora in corso, ma la Procura federale della Figc aveva ritenuto di avere già abbastanza materiale per formulare precise accuse contro undici società: Juventus, Napoli, Genoa, Sampdoria ed Empoli in Serie A, Pisa e Parma in Serie B, Pro Vercelli e Pescara in Serie C oltre a Chievo Verona e Novara attualmente escluse dal calcio professionistico.
Al di là del "polverone mediatico" creatosi inizialmente, gli esperti in materia avevano ritenuto improbabile che questa indagine potesse portare a sentenze rilevanti dal punto di vista sportivo per due motivi: da una parte indagini di questo tipo si sono spesso arenate sull’impossibilità di stabilire il valore effettivo di un giocatore che permettesse di valutare la correttezza o meno del prezzo di vendita, dall’altra raramente le plusvalenze presumibilmente "gonfiate" hanno un reale impatto sui risultati sportivi avendo solitamente esclusive finalità economico-finanziarie. Solo nel caso in cui una società faccia ricorso in maniera truffaldina alle plusvalenze per risanare un bilancio talmente disastrato da impedirne altrimenti l’iscrizione al campionato si configurerebbe una violazione dell’Articolo 31 del Codice di Giustizia Sportiva, che potrebbe portare a penalizzazioni in classifica o, nei casi più gravi, addirittura all’esclusione dal campionato.
In questa tornata di indagini solo due dei club coinvolti avrebbero potuto essere sanzionati per la violazione dell’Articolo 31 se fossero state confermate le tesi dell’accusa, ovvero Pisa e Parma, ma la Procura federale aveva ritenuto di non usare il pugno duro nelle richieste di pena in quanto entrambi i club hanno cambiato proprietà rispetto al periodo di svolgimento dei fatti oggetto di indagine. Negli altri casi, pur ravvisando comportamenti illeciti, la Procura federale aveva ritenuto che questi non avessero comportato un impatto diretto sui risultati sportivi, ovvero sulla possibilità di iscriversi al campionato, e per questo le pene richieste si erano limitate a multe per i club e inibizioni per i dirigenti, cioè il divieto di rappresentare la società in attività rilevanti per l’ordinamento sportivo e in attività degli organi federali, di accedere agli spogliatoi nei giorni delle partite e di partecipare a riunioni con tesserati o agenti sportivi. Una pena quest’ultima che sarebbe stata moralmente dura da subire per i tesserati coinvolti ma che nei fatti non avrebbe inciso più di tanto sulle attività dei dirigenti che, con i mezzi di comunicazione attuali, avrebbero potuto farsi sostituire nelle riunioni dal vivo e continuare a soprintendere i lavori dei rispettivi club anche una volta "inibiti".
Nel tentativo di bypassare l’impossibilità di stabilire il valore effettivo di un giocatore, in questa occasione la Procura federale aveva appositamente creato un algoritmo per calcolarlo alla luce di cinque parametri: età, storia contrattuale, storico dei trasferimenti, storia sportiva e ruolo. Dei 62 trasferimenti oggetto di indagine, l’algoritmo ne ha segnalati come non congrui 51 di cui 35 effettuati dalla Juventus. Fra questi anche 4 operazioni che hanno visto coinvolte due squadre svizzere. Con il Lugano i bianconeri hanno concluso lo scambio di Monzialo (ceduto per 2,39 milioni) con Lungoyi (acquistato per 2,5 milioni), con il Basilea lo scambio di Sané (venduto per 4 milioni) con Hajdari (comprato per 4,38 milioni). Secondo la Procura federale il valore corretto dei quattro giocatori sarebbe dovuto essere compreso fra i 200mila euro di Monzialo e i 500mila euro di Hajdari.
Il ricorso a questo fantomatico algoritmo, che secondo le tesi difensive di Juventus e Napoli altro non è che quello utilizzato dal noto sito Transfermarkt curato da appassionati e non da professionisti del settore, è stato però fortemente contestato in quanto non ritenuto in grado di produrre stime affidabili. Il responsabile di mercato della Juventus, Federico Cherubini, ha fatto notare che "non si prende in considerazione la prospettiva di un giovane, che spesso costituisce il suo valore più grande". In altre parole un giovane di 20 anni non può avere alle spalle una carriera che ne giustifichi un costo elevato, ma agli occhi degli esperti potrebbe avere delle potenzialità che in poco tempo potrebbero portarlo a moltiplicare notevolmente il suo valore e per questo il suo prezzo potrebbe risultare sproporzionato nell’analisi di un "freddo" algoritmo ma in realtà non esserlo affatto. Un "caso di scuola" è quello del difensore dell’Inter Bastoni, acquistato dall’Atalanta per 31,1 milioni di euro quando per Transfermarkt ne valeva 2,5. A quattro anni di distanza il giocatore è diventato una stabile presenza della Nazionale italiana e il suo valore attuale per Transfermarkt è di 60 milioni di euro. Quella che nel 2017 poteva sembrare una plusvalenza sospetta si è rivelata a posteriori un ottimo affare non solo per l’Atalanta ma anche per l’Inter, che è stata brava a intuire per tempo gli ampi margini di crescita del calciatore. Le critiche all’utilizzo di questo algoritmo formulate dagli avvocati difensori hanno evidentemente colto nel segno vista la sentenza di assoluzione, le cui motivazioni saranno rese pubbliche nel giro di una settimana.
La decisione del Tribunale federale potrebbe essere stata solo il primo atto di un processo che, se la Procura federale decidesse di fare appello una volta lette le motivazioni della sentenza, potrebbe continuare nelle prossime settimane. In questo caso l’appello si svolgerebbe entro un mese dalla richiesta della Procura federale, con l’eventuale terzo grado di giudizio rappresentato dal Collegio di Garanzia del Coni a concludere il procedimento dopo un ulteriore mese. Un’ultima variabile in questo scenario potrebbe essere rappresentata da possibili nuove prove in arrivo dall’indagine della giustizia ordinaria, ma anche in questo caso i club e i dirigenti rischierebbero poco o nulla dal punto di vista sportivo. Eventuali intercettazioni telefoniche che rendessero esplicite da parte dei soggetti coinvolti le plusvalenze "gonfiate", infatti, comporterebbero semplicemente la conferma delle ipotesi accusatorie originarie della Procura federale e quindi nuove richieste di pene sportive simili a quelle formulate in primo grado.