Il ct rossocrociato: ‘So come funziona a questi livelli. E so relazionarmi con giocatori del calibro di Xhaka o Shaqiri’
Lo aveva indicato come un attaccante di primo livello, moderno, forte fisicamente e di testa, rapido e consapevole. Insomma, tanto Murat Yakin si è coccolato Breel Embolo, la punta attorno alla quale costruire il gioco d’attacco della Svizzera, che lui… si è rotto, privando il ct della Nazionale di un terminale offensivo che si era fatto decisivo, nelle ultime uscite. Un vero e proprio colpo basso. «Non ci volevo credere - spiega Yakin -. Non può essere vero, mi sono detto, non prima di una partita così decisiva. L’infortunio è la conseguenza della sua applicazione in campo. Gioca perlopiù in posizioni non sue, ma si adatta e non si risparmia mai. Non considera mai perso un pallone. Agli Europei ha dato prova della sua abnegazione: Dopo la sostituzione per infortunio contro la Spagna se l’è presa perché riteneva di aver lasciato la squadra in difficoltà. E si era fatto male: questo la dice lunga sul carattere di questo 23enne. La sua assenza mi costringe a rivedere un po’ i piani tattici di Roma. Poco male, abbiamo l’obiettivo della qualificazione davanti a noi, la squadra resta positiva e accetta l’ennesima sfida».
Europei, Italia-Svizzera 3-0. Si sente di escludere un esito simile? «Da quella sconfitta abbiamo imparato tutti. Non vedo l’ora della partita, abbiamo fatto nostri alcuni aspetti del gioco dell’Italia, siamo aperti e pronti a imparare anche dal gioco degli avversari. Prendiamo Chiellini, maestro nella difesa preventiva nella metà campo avversaria: ho detto ai miei che serve maggiore intensità, maggiore propensione alla corsa. Chiellini ha 37 anni ma corre molto di più dei nostri difensori centrali».
«Non sono contro la difesa a tre - prosegue -, tuttavia ritengo che con quattro uomini si possa attaccare meglio e controllare l’avversario, in quanto le distanze tra le linee sono ridotte. Mi fa piacere che Sommer riceva critiche eccellenti, ma se il portiere è il migliore in campo significa che la squadra ha un problema. Uno dei miei primi obiettivi era proprio limitare gli attacchi degli avversari. Non è un caso se per quattro incontri non abbiamo incassato reti. Non mi sono mai posto la questione di come la Svizzera giocava in passato: per me conta solo il futuro, abbiamo grandi obiettivi, davanti».
Dallo Sciaffusa alla Nazionale, un salto imprevedibile. «Non avrei mai immaginato niente del genere. Ho avuto i miei momenti di gloria, ho avuto successo. A volte però le opportunità si presentano improvvisamente. Mi sono chiesto: mi stimola l’idea di diventare ct? Mi basta una decina di partite all’anno? Mi basta questo poco tempo per fare progredire la squadra? Le risposte non me le sono ancora date tutte. Ho però avvertito subito il piacere, l’orgoglio e l’onore di essere l’allenatore della Nazionale. Quanto al rapporto con i giocatori, avere a che fare con calibri del genere di Xhaka, Shaqiri o Akanji è affascinante e impegnativo, ma so come funziona, a questi livelli. E so come relazionarmi con calciatori di quel livello. Ciò che più conta, come allenatore, è la flessibilità. Non è possibile avere solo un piano A, le contingenze possono richiedere un cambiamento, anche repentino. Mi ritengo creativo e flessibile quanto basta. So di avere un passato importante come calciatore, ma non basta. I giocatori hanno antenne sensibili e captano in fretta eventuali insicurezze di chi li guida. Servono durezza e correttezza, a maggior ragione in Nazionale, giacché non sono io il loro allenatore di riferimento. Quello del club lo è. Tuttavia il capo sono io, finché sono con me».