Notato quasi per caso quando da bambino giocava nelle strade di Kumasi, il 23enne attaccante ganese è approdato a Cornaredo dopo un percorso tortuoso
Un bambino si diverte a tirar calci a un pallone con gli amici per le strade di Kumasi (la seconda città più popolosa del Ghana), qualcuno lo vede e gli dice che potrebbe fare il calciatore. E la sua vita cambia. Già perché Asumah Abubakar a differenza di molti altri ragazzi che crescono con il sogno (e la necessità) di prendere un aereo per l’Europa e scendere in campo con le stelle del calcio mondiale, alla possibilità di diventare uno sportivo professionista non aveva mai pensato. Fino a quel giorno.
«Giocavo semplicemente perché mi divertivo – ci racconta abbozzando un sorriso e sfoderando un discreto inglese il nuovo attaccante del Lugano, originario appunto del Ghana ma naturalizzato portoghese grazie al padre –. Provengo da una famiglia non di certo ricca, ma nemmeno così povera per gli standard del mio paese e quindi da ragazzino il calcio per me era solo quello, divertimento, tanto che non ho mai avuto degli idoli, se non forse Ronaldinho, ma solo più in là negli anni. Ero un bambino felice, anche perché ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia molto unita e anche se mio padre si era trasferito in Europa per cercare lavoro, non mi è mai mancato l’amore di mia mamma, delle mie quattro sorelle e dei miei due fratelli. Spesso poi nostra madre era assente per lavorare e portare a casa qualcosa, ma noi ci facevamo forza a vicenda, eravamo molto uniti e lo siamo ancora oggi. Sono quasi tutti ancora in Ghana, mi mancano e quando posso torno a trovarli ma non è sempre facile, a maggior ragione con la situazione di adesso. Però li sento spesso e mi danno tanta forza, così come per me è un grande stimolo sapere che sono fieri di me e che quello che sto facendo porta tanto orgoglio e rispetto alla mia famiglia».
In effetti per il 23enne, l’approdo a Lugano rappresenta «una vittoria, un premio per tutta la fatica fatta, perché non è stato facile arrivare fin qui». E il culmine, per ora, di un percorso pieno di ostacoli sin dal principio, partito non come spesso accade da una “comoda” accademia ma dalle selezioni giovanili di un club locale... «Ero uno dei tanti e mi sentivo poco considerato. Così, a 17 anni mio padre mi propose di raggiungerlo in Portogallo, dove grazie all’aiuto di un agente partecipai a un paio di provini, con lo Sporting Braga e il Vitória Guimarães (club della massima serie lusitana, ndr), che però non andarono bene. Poi mi proposero di riprovarci in Olanda e finalmente nel 2016 riuscii a strappare il mio primo contratto con il Willem II. Fu in quel momento che decisi per davvero di voler fare il calciatore e che mi resi conto che impegnandomi e credendoci al massimo, sarei potuto andare più lontano di quanto avevo mai immaginato».
Con le prime presenze in Eredivisie e nella selezione giovanile del suo nuovo club, nel corso del 2016 arriva anche – in seguito a una rapida naturalizzazione dovuta alla presenza da diversi anni del padre in Portogallo – la chiamata della nazionale portoghese U19, che lo seleziona per gli Europei di categoria di quell’anno in Germania. Un’avventura che lo vede inizialmente protagonista visto che nella fase a gironi accumula due presenze e firma pure un gol nel 4-3 ai padroni di casa, ma che si interrompe bruscamente sul più bello… «Da regolamento per vestire la maglia del Portogallo dovevo aver disputato un certo numero di stagioni in un club lusitano e quindi dovetti abbandonare la selezione proprio alla vigilia della semifinale contro la Francia di Kylian Mbappé (che poi sconfisse 3-1 i portoghesi proprio grazie a una doppietta del futuro campione del Psg e si laureò campione superando in finale l’Italia, ndr). Peccato, ancora oggi se ci ripenso fa male, ma rimane comunque una bella esperienza che mi ha fatto crescere, anche sul piano mentale».
Una delusione alla quale fanno seguito altri momenti difficili, perché nelle tre stagioni successive Abubakar fatica – anche a causa di un infortunio – a trovare continuità, accumulando solo 15 presenze nella massima serie olandese e dividensosi per il resto del tempo nella squadra delle riserve del Willem II o in prestito al Maastricht, in seconda divisione. Così, quando nell’estate 2019 arriva la chiamata del Kriens, seppur con qualche incertezza iniziale decide di rispondere… «All’inizio conoscevo poco o nulla della svizzera e del suo calcio, ma ho scoperto subito che fa molto freddo. Scherzi a parte, avevo bisogno di cambiare aria e si è rivelata la decisione giusta, nel canton Lucerna grazie alla fiducia della dirigenza e del tecnico Bruno Berner ho potuto provare quanto valgo, se oggi sono qui a Lugano è anche grazie a loro».
E ai 22 gol (e 10 assist, in 47 presenze in Challenge League) messi a segno nell’anno e mezzo passato al Kleinfeld, che hanno convinto Angelo Renzetti a offrirgli un contratto sino a giugno 2023… «È un segnale importante di fiducia e farò di tutto per ripagarlo. Arrivo in una nuova società, in una nuova squadra e in una categoria più alta, per cui può essere che mi ci vorrà un po’ per adattarmi, anche alle richieste tecnico tattiche dell’allenatore. Più che altro per conoscerci, perché le qualità mie e della squadra ci sono, ma è importante trovare un’intesa. Non credo però che ci vorrà troppo, perché quando arrivi dalla strada come me sei abituato ad adattarti rapidamente. Cerco di essere concreto, ma mi piace anche divertirmi e divertire, per questo mi trovo molto bene quando posso partire da una posizione centrale avendo però la libertà di svariare sulle fasce. Ma prima di tutto sono al servizio dell’allenatore e della squadra».
A proposito del tecnico Maurizio Jacobacci – che domenica a Sion non potrà ancora contare sul suo nuovo attaccante in quanto il mercato apre ufficialmente lunedì –, “Prince” («mia madre mi chiamava così e in seguito anche i compagni») ci racconta le prime parole che si sono scambiati… «Mi ha detto che mi seguiva già da tempo e che crede che sia il tipo di attaccante che mancava alla squadra. Gli ho risposto che sono pronto ad accettare la sfida e non solo cercando i gol, ma aiutando la squadra in tutti i modi che potrò. So che questo gruppo ha dimostrato grande spirito di sacrificio e solidarietà, sono pronto a fare lo stesso».
A Cornaredo Abubakar ha ritrovato l’amico Sebastian Osigwe, portiere lucernese di origine nigeriana che ha compiuto il suo stesso percorso (da Kriens a Lugano) con qualche mese di anticipo… «Conosco bene Sebastian e la sua famiglia, è bello ritrovarlo qui e ha avuto un ruolo importante nel mio trasferimento, sia parlandomi bene del Lugano, sia parlando bene di me alla società e all’allenatore. Averlo in spogliatoio mi aiuterà molto».
Una felicità condivisa dallo stesso Osigwe… «Sono contento che sia qui e sono sicuro che potrà aiutare la squadra. È un giocatore tecnico e molto forte con la palla tra i piedi, sa difenderla bene e può quindi rendersi utile in più situazioni. E poi segna ed è quello che speriamo farà anche qui a Lugano, in fondo è stato preso principalmente per quello. Come persona invece è molto tranquillo ma allo stesso tempo divertente, per cui penso che non avrà problemi a integrarsi nel gruppo. Forse ci vorrà qualcosa in più per fargli assimilare il nostro sistema di gioco, ma sono certo che quando arriverà il suo momento, si farà trovare pronto».