Mentre il Losanna si appresta a debuttare nella sua nuova casa, l'ex nazionale rossocrociato racconta dell'incontro col Pibe de Oro
Otto maggio 1990, Stade de Suisse, Berna. Tempo da cani. La foto in mezzo alla pagina dice tutto e di foto, di quella partita, non ce ne sono molte. Il modo migliore per averne una è chiederla a colui che l’ha pubblicata su facebook negli ultimi giorni per ricordare Diego Armando Maradona. Chi ha postato quell’immagine – «Sì, il tempo era pessimo, non era esattamente la serata di calcio perfetta a livello meteorologico, ma per noi era una serata importante» – non è un tifoso. È quello che si vede quattro passi dietro El Diez.
Se a Napoli, in queste ore come nei giorni degli scudetti e delle coppe, cantano di nuovo “Ho visto Maradona”, Dominique Herr – 54 presenze nella Nazionale svizzera e 4 gol – potrebbe tranquillamente cantare, forzando un po’ la metrica, “Ho giocato contro Maradona”. «Sì, ho giocato contro di lui, era una delle partite di avvicinamento a Italia ’90», racconta il difensore. «Era l’Argentina campione del mondo in carica, gli eredi di quella che aveva vinto in Messico nell’86. Erano all’inizio della preparazione e venivano in Svizzera per questa amichevole. Per noi si trattava di un’occasione, molto, molto speciale». Vissuta con pochi patemi d’animo, a dire il vero: «Il pensiero nell’attesa per il match, sono sincero, non era concentrato soltanto su Maradona. Bastava anche l’Argentina campione del mondo che veniva a giocare contro di noi, una cosa straordinaria di suo».
Di Maradona, visto dalla linea dell’area e dintorni, Herr ha un ricordo molto nitido: «Nel momento in cui lui toccava il pallone, non gli si staccava più dal piede. Tu, difensore, se proprio decidevi d’intervenire dovevi prenderti un rischio enorme. Diciamo che aveva senso intervenire prima; dopo, meglio limitarsi a evitare che arrivasse troppo vicino all’area». Inutile marcarlo a uomo, difficile gestire le scelte con lui di fronte: «Anche perché era molto piccolo per difensori della nostra stazza». Piccolo, e con il pallone incollato al piede: «Contro di noi poteva fare quello che voleva».
Sarà anche stato impossibile da marcare, Maradona, come hanno detto un po’ tutti, ma contro la difesa di Herr, el Pibe de Oro non la mise mai dentro. «Beh, non posso dire che sia successo solo grazie a me (ride, ndr). Le cose sono due: intanto, come detto, per gli argentini era un match di preparazione, con tutti i meccanismi ancora da perfezionare, e poi contro di noi che avevamo mille motivazioni in più di fronte ai più forti al mondo. L’altra cosa è che probabilmente Maradona non diede il massimo perché non si trattava di una partita fondamentale. Ma ho visto chiaramente tutta la sua qualità straordinaria. E alla fine, se si guarda bene, anche nel gol di Balbo c’è un suo passaggio».
Un assist di Maradona, uno che era sempre dentro l’azione decisiva e che faceva il suo lavoro comunque, anche a mezzo servizio, anche «con poca voglia di correre, così almeno mi è sembrato quella sera. Io e Alain Geiger in effetti non abbiamo avuto grande lavoro. Lui veniva spesso verso di noi, poi tornava indietro a prendersi palloni giocabili, cercava il guizzo decisivo. Ripeto, quello che potevamo fare era soltanto pensare in anticipo». Fino al pareggio di Türkyilmaz.
Maradona che non c’è più chiama da giorni la cosiddetta “Sindrome dell’epoca d’oro”, quella cosa per la quale il passato è sempre meglio. Calcisticamente parlando, per Dominique Herr «il calcio di quegli anni non era molto differente da quello odierno. Di certo oggi i giocatori sono fisicamente più potenti, il calciatore è più atleta di quanto lo fossimo noi. Ma nell’idea di gioco mi sembra sia cambiato poco. Pressing, fuori gioco, accelerazioni e frenate c’erano anche allora». Magari un po’ di teatralità in meno? Simulazioni? Capitomboli? «Quello sì, tutti gesti abbastanza inutili. Si tratta di una questione di educazione, come insegna il rugby. Certo, la Var è un’ottima cosa, ma il concetto non cambia perché il problema sta a monte. La cosa riguarda allo stesso modo il rapporto con gli arbitri. Penso a professionisti come Vidal contro il Real Madrid».
Quanto ai capitomboli, Maradona era noto per essere uno che se cadeva in terra era perché qualcuno ce l’aveva mandato, non certo per teatralità: «Con tutti i suoi difetti umani, dal punto di vista dell’educazione Maradona ha mostrato ai giovani come si sta in campo. Perché Diego ha giocato secondo le regole. Su quell’insegnamento, è ad alti livelli che si sarebbe dovuti intervenire, ma adesso è tardi. D’altra parte, dare la colpa ai soli giocatori di calcio nemmeno sarebbe corretto. È il sistema, è quella cosa per la quale se vuoi arrivare devi essere disposto a sacrificare la correttezza, cosa che vale dappertutto. Per questo è necessario fissare regole, tracciare linee precise». E sempre parlando del Diez, anche in Dominique Herr vive la sensazione che Maradona fosse un dead man walking, la cronaca di una morte annunciata, una semplice questione di dove e quando, con tutte le recriminazioni del caso: «Sì. Salvo un minimo di smarrimento datomi dalle notizie dei giornali seguite alla sua operazione al cervello, quell’idea che tutto stesse procedendo relativamente bene, che in ospedale lo avrebbero guarito. E quindi, se dello stupore c’è, è solo perché dopo essere stato dimesso non pensavo che la cosa sarebbe stata così veloce. Ma, come abbiamo visto negli ultimi anni, era un Maradona palesemente malato.
In questa pagina scriviamo di un altro stadio, che Dominique Herr ricorda bene. Si tratta, scritto per esteso, dello Stade Olympique de la Pontaise di Losanna, più amichevolmente detto ‘La Pontaise’. Domenica 29 novembre, il Losanna giocherà per la prima volta nel più nuovo Stade de la Tuilière, dopo l’addio alla vecchia struttura lo scorso 8 novembre contro il Lugano. «Non era uno stadio di calcio come li intendiamo oggi, senza le piste d’atletica», anche perché senza, non sarebbe stato ‘Olimpico’. «Perché ci fosse l’ambiente giusto da stadio, perché fosse meno Letzigrund, ci è sempre voluta un sacco di gente e a Losanna questo era un po’ il problema. Ma era mitico». Non poteva essere che mitico uno stadio che ospitò i Mondiali del 1954 e, al suo interno, una battaglia da dodici gol (‘La battaglia di Losanna’, Austria Svizzera 7-5). «Nulla a che vedere con Basilea, San Gallo, Sion, col pubblico vicino al campo, l’ambiente caldo anche nelle partite non fondamentali. La Pontaise era piena solo per i match decisivi contro il Servette, per esempio. Al di fuori di questo, era uno stadio molto freddo ma, nonostante tutto, nessuno lo dimenticherà mai».
Losanna non è solo stadio ma anche squadra e trampolino di lancio per Dominque Herr; squadra grazie alla quale, dal 1988 al 1992, il difensore del Losanna divenne tale anche per la Nati. «Partii dal Basilea – racconta – dove c’era una pesante crisi finanziaria, non ricevevamo più stipendi; cercai una soluzione per continuare a giocare a un certo livello e ricevetti l’offerta del Losanna, la chance che stavo aspettando. Ero uno dei molti giovani, insieme a Marc Hottiger, Christophe Ohrel, Stéphane Chapuisat, e venimmo affiancati da giocatori con esperienza, dai quali potevi solo imparare». Gente come Giancarlo Antognoni: «Era ‘L’italiano’, ben vestito, un elegantone in mezzo a ragazzini con i jeans. Era una star, alla fine della sua carriera, ma un nome ancora eccezionale. E anche una persona eccezionale».
Di quel Losanna, il difensore svizzero ricorda quel «mélange decisivo» tra gente che aveva appena cominciato e altra gente che mostrava come fosse la vita di un professionista. «Gente come Frank Verlaat, che veniva dall’Ajax, messo insieme a giovani che ancora dovevano formarsi ma che, anche grazie ai ‘vecchi’ come lui, hanno fatto carriera. Magari in Germania, come Chapuisat, o in Inghilterra come Hottiger. O come me, meno lontano di loro, a Sion». Ma, stadi a parte, a Dominique Herr che tra le altre cose della vita ha marcato Maradona, il calcio non manca? «Ora collaboro con l’FC Basilea. Correre sul campo, fare sport in generale mi manca perché fisicamente ho dolori ovunque. Ma, fortunatamente, riesco a sentirmi ancora dentro questo mondo, e ne sono felice».
Una festa a metà. Anzi, di festa nemmeno si può parlare per l’esordio del Losanna nel nuovo “Stade de la Tuilière” domani contro lo Young Boys che andrà in scena a porte chiuse. Un debutto molto discreto, come del resto non particolarmente brillante fu il commiato dalla vecchia Pontaise contro il Lugano tre settimane fa (1-0 per i bianconeri, a segno con Maric su rigore).
66 anni di onorato servizio
La Pontaise aveva 66 anni, più della metà della storia del Lausanne-Sport risalente al 1896. «Per il club – ha sottolineato Vincent Steinmann, direttore marketing dei vodesi – questo trasloco cambia tutto. La Pontaise ha vissuto vent’anni di troppo ed era diventata inadeguata». A maggior ragione dopo la svolta societaria con l’avvento del potente gruppo Ineos nel 2017. Un ingresso coinciso più o meno con l’avvio del cantiere di un progetto pianificato da molti anni inserito nella politica di sviluppo della città denominato “Metamorfosi”.
Per lo stadio la città ha investito 80 milioni di franchi, il Cantone ha contribuito con 5 milioni che il Gran Consiglio deve però ratificare. Anche Ineos ha investito, ma non si sa quanto. Il ritardo di qualche mese dovuto al coronavirus non ha mutato granché gli scenari: la “prima” alla Tuilière avverrà senza pubblico e sarà tutto fuorché un’inaugurazione che «avrà luogo quando sarà possibile riempire lo stadio con la gente, per trascorrervi un bel momento di festa», precisa Steinmann.
Il nuovo impianto testimonia la crescita di un club che intende stabilirsi a lungo in Super League dopo aver sofferto un paio di stagioni in Challenge. Concepito all’inglese, lo “Stade de la Tuilière” ospiterà 12’000 posti a sedere (12’544 in modalità campionato con il settore dei posti in piedi) e avrà naturalmente anche finalità commerciali, non solo sportive.
La Città di Losanna resta proprietaria dell’impianto, la cui gestione è però dell’Ineos forte di un mandato di gestione e di sfruttamento di quindici anni. Un logo gigantesco è visibile dall’esterno, i seggiolini sono blu e bianchi. Sarà l’impianto del Lausanne-Sport più che di Losanna intesa come città. Il club conta sul nuovo impianto per fare lievitare gli incassi. Per decuplicarli, «grazie alla vendita dei biglietti e l’hospitality, più in generale grazie all’attrattività che un nuovo impianto ha agli occhi di investitori e sponsor».