In casa bianconera si cerca di gestire la pausa forzata con allenamenti, amichevoli e con il sorriso, prerogativa di un gruppo che si è sempre dimostrato molto unito
Un filotto di risultati negativi, una sconfitta (se non di più) talmente brutta da risultare quasi vergognosa, le contestazioni della piazza, le critiche aperte di presidente e/o allenatore (con tanto di reazioni a volte fuori luogo ed esagerate), un avvicendamento in panchina, il possibile cambio di proprietà del club e via dicendo. Nel corso delle ultime cinque stagioni - ossia dal ritorno in Super League - spesso a Lugano la squadra ha dovuto affrontare situazioni complicate, dalle quali è riuscita a uscirne anche (se non soprattutto) grazie alla forza e all’unione del gruppo. E la ricetta non cambia nemmeno adesso che la formazione bianconera è confrontata con un problema, il coronavirus, che con il calcio ha ben poco a che fare, ma che proprio per questo risulta particolarmente destabilizzante.
«Il gruppo è sempre fondamentale, ma effettivamente lo è ancora di più in una situazione del genere - ci spiega il difensore del Lugano Fabio Daprelà -. In particolare, è molto importante riuscire a tenere alto il morale. Già ci hanno tolto il piacere di giocare lasciandoci solo gli allenamenti, che oltrettutto per mantenere un buon stato di forma devono anche essere piuttosto duri, se venisse a mancare pure l’allegria sarebbe un disastro. Devo dire che per ora però non c’è questo rischio, il gruppo è sano e lo si vede anche da come affronta situazioni impreviste e complesse come questa. D’altronde non possiamo certo chiuderci in casa e piangerci addosso. Capisco che sia una cosa da prendere con serietà, ma non bisogna nemmeno farsi troppi problemi mentali. Anzi, per sdrammatizzare ci scherziamo su, per il resto però cerchiamo, nel limite del possibile, di vivere la vita come sempre».
Senza le partite e senza sapere quando e in che modo si potrà tornare in campo, visto che la Swiss Football League ha deciso di sospendere le attività nella migliore delle ipotesi fino al 21 marzo, più probabile sino al 4 aprile… «Chiaramente non poter giocare pesa, è il nostro mestiere e il nostro pane quotidiano, perché tutto quello che si fa è in funzione delle partite, per cui è come se alle nostre giornate mancasse qualcosa. E non sapere quando tutto tornerà come prima rende il momento ancora più complicato da gestire, soprattutto sul piano mentale. Purtroppo però non c’è molto che possiamo fare se non come detto provare a comportarci come se nulla fosse, ossia lavorando seriamente sul campo e tenendo alto il morale nello spogliatoio».
I club della Sfl si riuniranno nuovamente venerdì per capire come muoversi in base all’eventuale prolungamento (o ritiro) dello stop alle manifestazioni che coinvolgono più di mille persone imposto dalla Confederazione, divieto che al momento è previsto sino al 15 marzo. L’ultimissima data per poter riprendere e concludere il campionato prima degli Europei (sulla carta al via il 12 giugno, ma anche questo è tutto da vedere) a porte aperte (ma giocando ogni 2-3 giorni) sembrerebbe essere il 18 aprile, anche se è molto probabile che diverse partite verranno disputate senza pubblico... «Posto che secondo me la possibilità di non concludere la stagione non è da prendere in considerazione, se non ci fossero alternative sarei pronto a giocare a porte chiuse - ci spiega Mijat Maric, compagno di reparto di Daprelà e uno dei giocatori più rappresentativi (nonché l’attuale miglior marcatore con 5 gol) del Lugano -. Non sarebbe certamente il massimo, perché in fondo si gioca anche per il pubblico e i nostri tifosi sono importanti per noi, ma la salute delle persone va messa al primo posto e in questo senso penso che si stia facendo un buon lavoro. Senza contare che siamo persone anche noi e per quanto si faccia attenzione, entriamo in contatto con altra gente e credo che sia solo una questione di tempo prima che un giocatore di qualche squadra risulti positivo al virus. È una situazione strana, come tutti aspettiamo notizie e ci alleniamo, anche se non è facile farlo senza un obiettivo preciso e senza sapere se e quando si riprenderà a giocare. C’è un sacco di incertezza e rimanere concentrati in un contesto del genere è complicato, ma siamo professionisti e dobbiamo farlo, in modo da essere pronti a ogni eventualità».
Se proprio si vuole trovare il rovescio positivo della medaglia, è forse il fatto che la pausa forzata potrebbe permettere agli infortunati (tra i quali non figura ormai più lo stesso Maric, che ha saltato le ultime due prove dei bianconeri prima dello stop) di recuperare… «Effettivamente questo è un aspetto positivo, considerando anche che poi saremo probabilmente chiamati a giocare molte partite ravvicinate. Inoltre abbiamo più tempo per provare schemi che finora non ci riuscivano e affinare i meccanismi. È una situazione nuova per tutti, non possiamo che adattarci e provare a sfruttarla nel miglior modo possibile».
Compito questo (gestire lo stop forzato) che spetta in primis al tecnico Maurizio Jacobacci… «La speranza è che le cose cambino in fretta e in positivo, ma per il momento non possiamo che accettare la situazione e lavorare - le parole dell’allenatore bernese -. Qualcuno paragona questa pausa a quelle per le nazionali, ma non è così, è ben diversa. In generale per il particolare contesto globale creato dal virus, guardando più all’aspetto sportivo soprattutto per il fatto di non sapere quanto durerà. Di conseguenza ancor prima che dal punto di vista fisico, io e lo staff dobbiamo lavorare sull’aspetto mentale in modo da mantenere alta la tensione nervosa e la concentrazione. Per farlo bisogna provarle un po’ tutte, offrendo nuovi e diversi stimoli ai giocatori ad esempio alternando il più possibile il tipo di lavoro, inserendo momenti più leggeri e altri a intensità più elevata, sia all’interno delle singole sessioni sia sull’arco della settimana. In sostanza è come affrontare una seconda preparazione, con la differenza che il campionato può ricominciare da un momento all’altro».
Fondamentali proprio per tenere alta la tensione e per non perdere il ritmo partita le amichevoli, anche se l’emergenza sanitaria (e un pizzico di diffidenza nei confronti di chi suo malgrado è più vicino al focolaio italiano) pesa in maniera pesante pure su questo… «L’ideale sarebbe riuscire a disputare almeno un test a settimana, ma comincia a diventare complicato. Ad esempio avremmo dovuto giocare a Lucerna sabato prossimo, ma le autorità locali non ce l’hanno permesso e hanno declinato anche il nostro invito a giocare da noi. Poco male, probabilmente affronteremo ancora il Chiasso (come capitato nel weekend, vedi correlato, ndr) che è un ottimo “sparring partner”, però è una situazione piuttosto discutibile in quanto anche oltre San Gottardo ci sono parecchi casi di contagio e non si capisce perché sembra che tutti debbano evitare solo le squadre ticinesi, mentre ad esempio lo Zurigo può giocare a Kriens».
Infine anche Jacobacci sottolinea l’importanza di recuperare tutti i suoi giocatori, a maggior ragione «visto che poi saremo chiamati a giocare molte partite ravvicinate. In questo senso la speranza è che tutti ritrovino le migliori sensazioni, gli infortunati o anche solo acciaccati come Sabbatini, Guidotti, Holender e lo stesso Maric, ma anche chi semplicemente deve ritrovare il ritmo partita, come il nuovo arrivato Janga o Rodriguez, sul quale finora non avevo ancora potuto contare. E quando si riprenderà a giocare, avremo bisogno di tutti».
Quando si parla di recupero fisico, il principale responsabile è il preparatore atletico... «Fisicamente la squadra stava bene, per cui da questo punto di vista la pausa forzata è un peccato, però allo stesso tempo ci dà l’opportunità di recuperare alcuni giocatori ancora non al meglio, come ad esempio il nostro capitano Sabbatini. Ciò non toglie che tutti avremmo preferito continuare a giocare».
Ma il lavoro sul campo com’è cambiato? «Abbiamo aumentato i volumi di carico inserendo anche dei doppi allenamenti e per ora il gruppo ha reagito positivamente, ma non avevo dubbi visto che questo è un collettivo sano e che ha sempre lavorato bene. L’importante è modulare i carichi atletici e tattici con quelli nervosi, perché alla fine a dare gli stimoli è il sistema nervoso centrale e questo lo si lavora ad esempio attraverso esercizi intensi con la palla come 5 contro 5, 6 contro 6 e via dicendo. O ancora creando competizione. Un po’ come in una preparazione classica, ma con la differenza nonché la difficoltà principale data dal non sapere esattamente quando si ricomincerà a giocare».