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L’epopea della Jugoslavia dalla voce dei protagonisti

Alessandro Toso firma il ritratto di un movimento che dagli anni Settanta alla dissoluzione del Paese ha dominato la palla a spicchi europea

(Vlade Divac, testimone della fine di un’epoca)
4 gennaio 2025
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La passione per la pallacanestro si accende in tutta la Jugoslavia all’alba degli anni Settanta, quando la Nazionale di Ranko Žeravica vince il Mondiale organizzato in casa. La finale del 1970 con l’Unione Sovietica si gioca a Lubiana, con le gare dei gironi disputate nelle varie Repubbliche del Paese. Poi sarà la televisione pubblica a dare popolarità a questo sport, questo perché il presidente della Stella Rossa di Belgrado è anche il direttore della tv di Stato e ogni domenica pomeriggio si può così vedere una partita di campionato. I giocatori iniziano a diventare personaggi, secondi solo a quelli del calcio che rimane comunque lo sport più amato e quello che da cui molto spesso partono anche i futuri cestisti. Bosna Sarajevo, senza stranieri in formazione, vince nel 1979 la prima Coppa dei Campioni, e quello jugoslavo si trasforma nel miglior basket d’Europa. Dal 1985 al 1992 Cibona Zagabria, Jugoplastika Spalato e Partizan Belgrado conquistano sei Euroleghe quasi di fila. Un dominio vero. Attraverso una serie di interviste ai protagonisti di un ventennio di basket, che va appunto dal 1970 alla dissoluzione del Paese, Alessandro Toso, nel libro appena uscito per Bottega Errante Edizioni che si intitola ‘Jugobasket’, cerca di rendere più chiari gli avvenimenti nella ex Jugoslavia, spesso nebulosi sia visti dalla Svizzera che dall’Italia. Il primo con cui l’autore è occorso di parlare è Bogdan Tanjević, uno che si definisce anche adesso “stra jugoslavo”, le parole del coach introducono il lettore a personaggi noti come Toni Kukoč e a quelli meno conosciuti come Duci Simonović. Tutti (meno uno) vengono intervistati dallo scrittore. Simonović è stato un genio della pallacanestro, uno capace di abbandonare per protesta la Nazionale dopo una sconfitta con Portorico all’Olimpiade di Monaco, per via di un caso di doping degli avversari. Da quel momento “ufficialmente per la storia del basket jugoslavo io non esisto”, dice il giocatore all’intervistatore. La sua è una storia da romanzo di formazione. “Non avendo un salario sufficiente a sostenermi, mi nutrivo con quello che capitava, e spesso avevo attacchi di ipoglicemia. A casa mio fratello studiava, mio papà non aveva soldi da mandare a Belgrado, perciò mi mantenevo come potevo. Questo ebbe anche degli effetti a lungo termine sul mio fisico, io ero ottanta chili distribuiti su un metro e novantacinque di altezza; avrei avuto bisogno di diete specifiche, non di mangiare un giorno su due…”. Il capitolo più intenso è probabilmente quello sul campione che non c’è più. Toso ha intervistato il figlio di Mirza Delibašić. Mirza è stato un campione in campo e un bohémien fuori. Durante la guerra non ha abbandonato Sarajevo per non tradire la sua gente e magari anche per un’incapacità di ambientarsi al di fuori della sua città. Negli ultimi anni di vita fu derubato, anche della medaglia d’oro di Mosca, da uno sconosciuto al quale aveva dato senza particolari motivi piena fiducia. “Forse era rimasto ai tempi della Jugo al sicuro da tutti”, dice il figlio. Toso ha il merito, anche grazie a spostamenti continui nelle Repubbliche ex jugoslave per lavoro, di andare a parlare di persona con i vari personaggi. Oltre a quelli citati ha “confessato” Željko Jerkov, Dražen “Praja” Dalipagić, Aleksandar “Aco” Petrović, Želimir “Žele” Obradović, Dino Rađa, Vlade Divac e Predrag “Saša” Danilović.

“La passione per la pallacanestro – spiega a ‘laRegione’ – come quella per la musica travalica il concetto nazionalista: un campione croato per esempio può essere amato anche in Serbia, in Slovenia o in Bosnia. In Europa si crede ancora che l’ostilità tra le varie Repubbliche sia viva a 360 gradi, ma non è così”. Allora ci facciamo spiegare cosa successe tra Dražen Petrović e Vlade Divac, e la loro grande amicizia tra croato e serbo rotta allo scoppio della guerra. “Petrović, che aveva i genitori provenienti da Repubbliche diverse ed era l’idolo di tutta la Jugoslavia, ha fatto una scelta politica: dopo il bombardamento su Sebenico prese una posizione chiara, non si sarebbe fatto mai più vedere insieme a compagni serbi. Divac mi ha detto che ora capisce la scelta di Dražen, perché se li avessero visti insieme avrebbero strumentalizzato entrambi. Il fatto è che Petrović avrebbe voluto mettere l’amicizia con Divac in pausa senza chiuderla completamente, ma Vlade non accettò: un rapporto è per sempre o mai”. Non sapremo mai se sarebbero tornati a frequentarsi perché Petrović morì il 7 giugno 1993 a soli 28 anni. Lo Jugobasket, se non scomparso completamente, era già stato modificato dagli eventi della storia.