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Nba, l’All star game torna alle origini

Domenica a Indianapolis il tradizionale match d'esibizione, che dopo qualche anno ripropone la formula Est contro Ovest

17 febbraio 2024
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La settantatreesima edizione dell’Nba All star game si terrà domenica al Gainbridge Fieldhouse, casa degli Indiana Pacers a Indianapolis, e sarà un appuntamento ancor più particolare del solito perché segnerà il ritorno della sfida fra i giocatori della Eastern conference e quelli della Western conference, formula utilizzata per l’ultima volta nel 2017. Dopo sei anni di Team LeBron contro Team Yannis/Durant/Curry, si torna infatti al format che aveva accompagnato questa speciale partita fin dalla sua nascita. La regola adottata negli ultimi sei anni prevedeva invece che venissero votati due capitani che formavano poi la propria squadra scegliendo a turno gli altri giocatori, senza distinzione fra Est e Ovest.

Ritorno alle origini

Si torna dunque all’intuizione originaria di Augustine Brown, ideatore dell’All star game. In effetti l’idea di far sfidare i migliori giocatori della lega è da ricondurre all’allora proprietario dei Boston Celtics Walter Augustine Brown. In un incontro con il presidente Nba Maurice Podoloff, Brown spiegò che una simile partita avrebbe riportato attenzione – e di conseguenza soldi – alla lega, dopo che scandali nel basket universitario (come scommesse e partite truccate) avevano gettato un’ombra sul gioco. Brown credeva così tanto in questa partita che, nonostante il pessimismo di Podoloff, rimase ottimista e si offrì di ospitare la partita nel proprio stadio, coprendo i costi e le eventuali perdite economiche.

Il primo All star game si disputò il 2 marzo 1951 al Boston Garden, sede dei Celtics. Brown aveva ragione, alla partita accorsero oltre 10’000 persone, folla nettamente superiore alla media delle partite normali, che era di 3’500. Il successo fu tale che questo speciale incontro divenne subito un appuntamento fisso, arricchito nel corso dei decenni di spettacolari eventi collaterali, come ad esempio le gare delle schiacciate e del tiro da tre punti: la sola volta che non venne disputato fu nel 1999, a causa del lockout. Dalle 10’000 persone presenti alla prima edizione si è arrivati a oltre 108mila nel 2010, tutt’oggi la partita di basket con maggiore affluenza.

Gli attori

A dirigere la squadra Ovest ci sarà Chris Finch, coach dei Minnesota Timberwolves, mentre sull’altra panchina ci sarà Doc Rivers, tecnico dei Milwaukee Bucks. Nel quintetto base orientale di quest’anno ci sono Tyrese Haliburton (Pacers, alla sua seconda apparizione), Damian Lillard e Giannis Antetokounmpo (entrambi dei Bucks e all’ottava presenza), Jason Tatum (Celtics, 4 precedenti) e Joel Embiid (Sixers, settimo All star game per lui). I cinque titolari a Ovest sono invece Luka Dončić (Mavericks, 5a volta), Shai Gilgeous-Alexander (Thunder, 2), Kevin Durant (Suns, 14a apparizione), Nikola Jokić (Nuggets, 6) e LeBron James dei Lakers, addirittura alla ventesima presenza, nuovo record soffiato al leggendario Kareem Abdul-Jabbar.

Molto più di una semplice partita

Uno dei momenti più memorabili degli All star game riguarda Shaquille O’Neal e la sua imponente schiacciata su David Robinson nel 1996. Normalmente in queste partite si tende a difendere poco, lasciando spazio alle giocate spettacolari. Non fu però così quella volta, con l’Ammiraglio (Robinson) che provò davvero a fermare Shaq, ma senza fortuna: ne scaturì una delle schiacciate più iconiche della storia del basket.

Cinque anni dopo, invece, Allen Iverson offrì una delle migliori prestazioni mai viste in quest’ambito. A 9 minuti dal termine la sua squadra (Est) perdeva di 21 lunghezze, ma poi lui si scatenò: segnò 15 punti, servì 5 assist, rubò 4 palloni e condusse una rimonta coronata dal successo per 111 a 110. Iverson, non a caso, quell’anno non solo fu Mvp di quella partita, ma fu votato il migliore dell’intera stagione Nba.

Tuttavia, l’edizione più memorabile fu certamente quella del 1992, disputata dopo che Magic Johnson aveva annunciato di aver contratto l’Hiv e di volersi ritirare. I fan votarono comunque affinché giocasse anche Magic, che quella stagione non era mai sceso in campo. Lega e giocatori furono dunque ‘obbligati’ ad accogliere il fuoriclasse dei Lakers. Il weekend dell’All star game si trasformò in una serie di celebrazioni per uno dei giocatori più amati di sempre. Lo stadio era una bolgia, tutti cantavano per lui.

Saranno però soprattutto gli ultimi due minuti di partita a passare alla storia. Magic fece un assist strepitoso per Dan Majerle, ebbe la meglio in 1 contro 1 in difesa sia di Isiah Thomas sia di Michael Jordan e chiuse il match con una sua tripla. La partita non era finita, mancavano 25 secondi, ma a nessuno importava: tutti (compagni, avversari, allenatori e staff) corsero ad abbracciare Magic. Ancora oggi rimane la prima e unica partita della storia a essere stata sospesa per troppi abbracci: una bella vittoria per tutto il mondo dello sport.

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