L’exploit della Svizzera agli Europei visto da Luigi Nonella, che ha avuto l’onore di lavorare con il sud-sudanese. ‘Si vedeva che aveva fisico e gambe’
Da un lato le lacrime di un’inconsolabile Sarah Atcho-Jaquier per la cocente delusione dopo la malaugurata finale della 4 x 100 m rossocrociata. Dall’altro il radioso sorriso di Dominic Lobalu, fresco di titolo sui 10’000 m. Sono i due fotogrammi dell’ultima serata degli Europei, che per la Svizzera si chiudono in modo trionfale. Una gioia, quella del fondista sangallese d’adozione condivisa da Luigi Nonella, responsabile dei campi di allenamento specifici dei quadri della nazionale svizzera, che ben conosce il 25enne sud-sudanese finito sotto l’ala protettrice del tecnico Markus Hagmann, e con cui ha avuto l’occasione di lavorare, ricavandone subito un’ottima impressione. «Le due medaglie vinte a Roma (oltre a quella d’oro sui 10’000, quattro giorni prima aveva infatti vinto il bronzo sui 5’000 m, ndr) sono il giusto premio per un ragazzo che ha sempre lavorato sodo, con umiltà», sottolinea Nonella. Lui se la ricorda ancora bene la prima volta che l’ha incontrato: «È stato durante un allenamento della scuola di corsa che avevo programmato con Tadesse Abraham a St. Moritz. Sarà stata una domenica mattina di 3 anni fa, nell’ambito del campo di preparazione in vista dei Giochi di Tokyo. A un certo punto Tadesse si assenta un attimo; qualche istante più tardi eccolo comparire in compagnia di 3-4 suoi amici africani che volevano provare. Fra di loro c’era appunto Dominic: ho subito visto che aveva le gambe e il fisico per farsi strada».
Impressioni confermate quando, in un successivo campo di allenamento, Nonella si ritrova nuovamente a lavorare con Lobalu: «Ricordo che una volta stavo lavorando con un gruppo di 6-7 fondisti, fra cui c’era nuovamente Dominic. Io, in bici, facevo l’andatura, spronando il gruppo a fare il giro di pista sui 62-64 secondi. Abbiamo ripetuto l’esercizio venti volte, con un minuto di pausa. Quando, terminate le serie, il resto del gruppo è andato a togliersi le scarpe e cambiarsi per il defaticamento, Dominic è venuto da me chiedendomi di andare avanti. L’ho fatto, girando pure più veloce, attorno ai 58-60 secondi, per altre quattro volte. Finita lì? Macché, terminata pure quella serie, Dominic mi ha pregato di fermarmi, perché voleva provare un giro di pista spingendo a tutta. Ha corso in 52 secondi e mezzo. Gli altri lo guardavano a bocca aperta. Quando mercoledì l’ho visto a Roma, nell’ultimo giro dei suoi sensazionali 10’000 m, ho ripensato a quell’allenamento».
Vi siete sentiti dopo le due medaglie? «Gli ho scritto appena aveva tagliato il traguardo dei 5’000 m per complimentarmi con lui. Immagino che subito dopo sia stato fagocitato da messaggi e richieste di interviste. Ma l’indomani mi ha risposto, ringraziandomi: ecco, anche questo è un segno della grande umiltà del ragazzo. Dopo i 10’000 m no, non ci siamo sentiti, ma fra qualche giorno, quando tutto il clamore di questa sua nuova impresa si sarà un po’ sopito, sicuramente lo chiamerò per fare qualche chiacchiera con lui».
Oltre che da St. Moritz, la strada che ha condotto Dominic Lobalu fino a Roma passa anche da Lugano, dove nel 2021 aveva chiuso al secondo posto assoluto la 10 km della StraLugano, battuto unicamente da Tadesse Abraham. «A Lugano è poi venuto anche in seguito, ma solo nei panni di spettatore: in pochi allora lo conoscevano, ma io sì, e l’avevo rivisto volentieri». Dopo Roma, però, le cose cambieranno anche per lui: grazie alle due medaglie messe al collo a questi Europei, il volto e le qualità di Lobalu ora sono ben note a tutti...
Oslo, Stoccolma e infine Roma: sono queste le tappe di una primavera corsa a rotta di collo da Lobalu, che aveva piazzato il suo primo grandissimo acuto nella capitale norvegese polverizzando il record svizzero sui 5’000 m: «A Oslo ha realizzato qualcosa di eccezionale, andando a prendersi un record che resisteva da quarant’anni. E non l’ha fatto per un soffio, se si pensa che ha abbassato di quasi 17 secondi il precedente primato, stabilito da Markus Ryffel alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, portandolo a 12’50"90». Al di là di tutto, l’oro nei 10’000 m non era affatto scontato... «No, per nulla. Sapevo che aveva i mezzi per ambire concretamente a una medaglia, ma dopo aver corso delle ottime gare a Osolo, Stoccolma e poi ancora nei 5’000 m a Roma, era anche possibile che potesse risentire di un certo affaticamento. Invece ha risposto alla grande, andando a prendersi con straordinaria leggerezza il titolo».
A Roma la Svizzera ha vissuto sei giornate intense, chiuse con un bottino sensazionale: 9 medaglie, di cui ben 4 del metallo più pregiato, tutte arrivate dalle gare individuali, quando in passato in queste specialità non si era mai andati oltre la singola unità. Per la prima volta sono poi arrivate le due medaglie centrate nella stessa prova (i 200 m, con Mumenthaler e Reais) e, dulcis in fundo, l’altra primizia: quella della difesa vittoriosa di un titolo, con Mujinga Kambundjii a confermarsi sul trono dei 200 m. «Muijnga è stata straordinaria. Nella semifinale ho visto che la delusione patita nei 100 m era assorbita: ero fiducioso. In finale, ad ogni modo, ha fatto un ulteriore passo avanti. Mujinga è una grande lavoratrice, spesso purtroppo battuta sul filo di lana. Stavolta però le cose per lei sono andate all’esatto opposto: sono davvero contento per lei, il titolo se l’è meritato».
Nel complesso, sul fronte svizzero era difficile, se non impossibile, chiedere di più: «Swiss Athletics può essere più che soddisfatta di questi risultati: si puntava a 6 medaglie, a conti fatti ce ne ritroviamo ben 9 nel carniere! Al di là dell’Italia, che è stata stratosferica, la Svizzera ha dimostrato di poter stare al passo con le grandi nazioni europee dell’atletica: qualcosa di inimmaginabile ancora tre anni fa. In generale, a Roma ho visto gare molto appassionanti». Nonella snocciola poi i nomi di alcuni protagonisti della ribalta continentale: «Mi ha impressionato l’italiana Nadia Battocletti (oro nei 5’000 e nei 10’000 m), che per tecnica ricorda un po’, al femminile, Alberto Cova. Ottimo è stato pure il norvegese Ingebritsen, che ha vinto i 1’500 m con una gara da manuale.