Timori vecchi e nuovi attorno alla corsa più famosa al mondo che scatta oggi a Copenaghen
Quello che prenderà il via oggi a Copenaghen è un Tour de France che, ancor prima di veder la luce, già si porta appresso un paio di fardelli di cui tutti avremmo voluto fare a meno. Il primo riguarda il Covid, il cui recente ritorno nel gruppo ha costretto le squadre a rivedere le liste dei partecipanti e gli organizzatori a rendere più rigorosi i protocolli sanitari. L’altro è invece relativo a possibili casi di doping: gli inquirenti francesi hanno infatti già ordinato alla polizia danese di effettuare perquisizioni. E così gli uomini della Bahrain ieri mattina all’alba sono stati buttati giù dal letto e minuziosamente ispezionati, così come le loro camere e i loro mezzi di trasporto. Non è una novità, né in generale né per quanto concerne il team in questione, da qualche tempo chiacchierato per alcuni successi strabilianti e al centro di un’indagine francese in corso ormai da un anno che finora però non ha dato frutti. I segugi ad ogni modo non hanno mai mollato, segno della loro convinzione che prima o poi qualcosa di grosso salterà fuori. Si sa che dalle analisi del capello di alcuni atleti della Bahrain, mesi fa, era emerso l’uso di tizanidina, farmaco usato nel trattamento di malattie come la sclerosi multipla o la Sla. Non è considerato dopante, ma certo è strano vederlo somministrare a uomini giovani e in perfetta salute. Sta di fatto che per l’ennesima volta - e non solo per motivi dipendenti dall’umana volontà - la corsa più importante al mondo si presenta al pubblico avvolta da timori e sospetti. Staremo a vedere.
La corsa parte come detto in Danimarca, con una breve crono individuale (13 km) che fa gola ad almeno un paio dei soli quattro svizzeri presenti quest’anno in Francia (nel 2015, per dire, erano 10). Parliamo di Stefan Küng e Stefan Bissegger, tutti e due turgoviesi ed entrambi specialisti delle gare contro il tempo. Dietro il favoritissimo Filippo Ganna - duplice iridato nella disciplina – e dopo il padrone di casa Pedersen, che conosce ogni centimetro del tracciato, i due rossocrociati figurano fra i possibili indossatori della prima maglia gialla. Sarebbe un sogno, considerato che l’ultimo elvetico a vestire il simbolo del primato fu Fabian Cancellara nell’ormai lontano 2012. Gli altri nostri portacolori sono Silvan Dillier, che lavorerà per Van der Poel (nipote dell’eterno secondo Raymond Poulidor) e Marc Hirschi, che pareva destinato a starsene a casa, ma che invece è stato inserito nella rosa dell’UAE all’ultimo momento per sostituire Matteo Trentin, bloccato dal Covid. Sarà fra i gregari più preziosi di Tadej Pogacar, trionfatore delle ultime due edizioni della Grande Boucle e certamente favorito numero 1 anche quest’anno. Il fenomenale sloveno, 23 anni e mezzo, è forte su ogni terreno: dovrà forse fare attenzione soltanto nel corso della prima settimana, nelle cosiddette tappe facili, dove il vento, il pavé e le distrazioni potrebbero tendere tranelli. Le prime frazioni, sai sa, non sono certo quelle dove si vince il Tour de France, ma purtroppo possono essere quelle in cui lo si perde.
A dar fastidio a Pogacar ci saranno innanzitutto il suo connazionale Primoz Roglic - che nel 2020 chiuse al secondo posto – e il danese Vingegaard. Corrono entrambi per la Jumbo, squadra che con Van Aert, già vincitore di 6 tappe nella corsa più celebre al mondo, darà la caccia anche alla classifica a punti. Altri nomi papabili per il successo finale vengono indicati in Thomas, che il Tour lo ha vinto nel 2018, Vlasov (trionfatore al Romandie quest’anno) e Mas, che in salita sta diventando sempre più affidabile. Come si vede, nemmeno stavolta alcun francese figura fra i favoriti, e nemmeno c’è il rischio che alla fine ne emerga uno come outsider. I francesi non vincono la loro corsa dal 1985, ben 37 anni fa, quando Bernard Hinault firmò il suo quinto successo: un sortilegio ormai al confine fra la barzelletta e l’incubo.
Secondo tradizione, le non troppo impegnative frazioni iniziali saranno consacrate ai velocisti, la cui corporazione quest’anno sarà purtroppo priva di califfi come Bennett e Cavendish, capace di firmare addirittura 34 vittorie alla Grande Boucle, record condiviso con Eddy Merckx. Dare spettacolo in volata toccherà dunque soprattutto a Peter Sagan (12 successi al Tour) e Caleb Ewan (5 volte a braccia alzate). Due le località svizzere direttamente coinvolte dagli organizzatori: a Losanna è previsto l’arrivo dell’ottava tappa sabato 9 luglio, mentre il giorno seguente la carovana ripartirà da Aigle, che del ciclismo mondiale è un po’ la Mecca. Gli scalatori avranno a disposizione ben cinque tappe con arrivo in salita: una nei Vosgi (Planche des Belle Filles), un paio sui Pirenei (Peyragudes e Hautacam) e due sulle Alpi: Col du Granon e Alpe d’Huez, capolinea della tappa regina, quella che partirà da Briançon il giorno della festa nazionale francese e che, prima di giungere al traguardo, vedrà il gruppo superare pure Galibier e Croix de Fer. Altre salite leggendarie in cartellone in questa edizione numero 109 sono il Télégraphe, l’Aspin e l’Aubisque.
Manca, come si vede, il Mont Ventoux. Peccato, scalarlo sarebbe stato un bell’omaggio al povero Tommy Simpson, vittima non soltanto di se stesso e delle sue scelte. Sulla salita cara al Petrarca gli scoppiò il cuore proprio 55 anni fa. Fatica, fornace, anfetamine e cognac si combinarono nel peggiore dei modi e al Monte Calvo l’inglese sacrificò la vita a trent’anni non ancora compiuti. Bel ciclista: aveva vinto il Mondiale, il Fiandre, la Sanremo, il Lombardia e nel 1962 era stato il primo britannico a vestire la maglia gialla. Nel 1966 un incidente sugli sci lo tenne lontano dalle competizioni – e dunque dai premi e dagli ingaggi – per alcuni mesi. Una volta rientrato, cercò in tutti modi di recuperare il tempo e il denaro perduto. Disputò un’infinità di gare, chiedendo troppo al suo corpo esausto e aiutandosi a sopportare il surmenage con ciò che passava il convento a quei tempi, cioè le anfetamine, evidentemente dandoci dentro un po’ troppo.