laR+ Atletica

Justin l'uomo, Gatlin il campione e quell'ultimo Galà

I 100 m del meeting di Bellinzona potrebbero essere l'ultima gara in carriera per il 39enne sprinter statunitense, che ha deciso di raccontarsi a laRegione

11 settembre 2021
|

Uno, due, tre, quattro. E basta. È il numero di uomini che nella storia dell’atletica sono riusciti a correre i 100 metri più veloce di Justin Gatlin e del suo 9”74 centrato il 15 maggio 2015 a Doha. Cinque medaglie olimpiche (di cui l’oro nella disciplina regina ad Atene 2004) e dieci mondiali (quattro titoli, due nei 100 m, uno nei 200 e uno con la staffetta 4x100 m) sono invece la parte più luccicante di una carriera nella quale non sono mancate anche le ombre, con due squalifiche per doping che lo hanno in particolare fermato per quattro anni tra il 2006 e il 2010. Una dicotomia tra luce e oscurità che ritroviamo anche nei suoi occhi, quando ce lo troviamo davanti. Occhi lucidi e arrossati, che sommati ai lineamenti gentili del volto esprimono una fragilità per certi versi inattesa e in contrapposizione con l’esplosività e la fermezza che esprime in pista, ma che in seguito ritroviamo anche nelle risposte alle nostre domande.

Piaccia o no, il 39enne americano che molto probabilmente chiuderà la sua attività agonistica martedì con il Galà dei Castelli è stato uno dei personaggi che hanno segnato gli ultimi 18 anni della velocità mondiale. Già, un personaggio, perché come spesso capita in questi casi la figura del campione prevale, nel bene e nel male, sulla persona che ci sta dietro. Ed è proprio quella persona che abbiamo inizialmente cercato di conoscere un po’ meglio.

«In effetti sono due cose ben diverse – ci conferma il velocista a stelle e strisce, che incontriamo al termine di una sessione di allenamento allo stadio Comunale –. Gatlin è un campione, è feroce, un combattente tosto che ama la competizione, uno a cui piace mettere in piedi un bello spettacolo e affrontare sfide impegnative. Justin invece è molto più tranquillo e disteso, calmo, anche più riflessivo e decisamente meno impulsivo. È appassionato di cinema, gli piacciono attori come Leonardo di Caprio e Danzel Washington, così come adora la musica. In particolare quando si tratta di rilassarsi al di fuori delle competizioni (ma la usa anche tra una gara e l’altra, nel riscaldamento e in allenamento) ascolta dall’R&B all’hip hop fino al rock’n’roll, ha tutto sui Black Sabbath, Guns n’Roses, Drake e Cypress Hill. Ama poi viaggiare ed esplorare e conoscere posti nuovi. È vero, in questi anni di carriera spesso Justin è rimasto nascosto, per certi versi si è quasi sottomesso a Gatlin, ma dentro di me è sempre stato presente ed stato importante anche lui, perché non sarebbe potuto esistere uno senza l’altro».

Lei è anche papà giusto?

Esatto, mio figlio Jace ha ormai undici anni mentre otto mesi mia moglie Daynise ha dato alla luce Jacks. Cerco di essere un papà divertente e serio al punto giusto, quello che mi preme di più è poter insegnare ai miei figli come stare al mondo, parlando loro sia delle cose belle sia di quelle meno belle. Non è sempre facile, in particolare ora che il primo sta diventando grande e comincia a vedere e affrontare i veri problemi. Oltretutto spesso devo farlo a distanza, perché non mi possono certo seguire in giro per il mondo, però devo anche dire che essendo costretti a stare spesso lontani, poi apprezziamo ancora di più il tempo che possiamo condividere. È anche grazie a loro se sono riuscito ad arrivare fino a 39 anni a questi livelli, sono stati una grande fonte di motivazione.

E seguiranno le orme di papà nell’atletica?

Mi piacerebbe, ma non li forzerò. A dire il vero, Jace è piuttosto robusto, è un “big boy”, tanto che ha undici anni ma ne dimostra almeno 13. E non a caso attualmente pratica football americano. Jacks invece è ancora molto piccolo, ma posso dire che gattona già molto veloce e questo potrebbe essere un buon segno (ride, ndr).

E la sua infanzia, com’è stata?

È stata felice, ho vissuto a Brooklyn fino a circa sei anni e poi la mia famiglia si è trasferita in Florida. Ho avuto la fortuna di poter fare molte esperienze, ho suonato la tromba, il sassofono e il piano, così come ho potuto praticare più sport, dal football al baseball, pure il nuoto, ma alla fine ho scelto l’atletica. Ho sempre saputo di essere molto veloce, ma non sapevo che l’atletica fosse un vero sport, organizzato con dei campionati e tutto il resto. Quando me ne sono reso conto, non ho avuto dubbi, mi sono detto “ecco quello che fa per me”.

Ci permetta di aprire una parentesi visto oltre a essere americano, è nato e ha vissuto i primi anni della sua vita a New York. Domani (oggi, ndr) ricorre il 20esimo anniversario degli attacchi alle Torri Gemelle, che ricordi ha e che sensazioni le suscita?

Mi vengono ancora i brividi. Ricordo benissimo quel giorno, avevo 19 anni, ero al College e terminata la prima ora di lezione sono tornato al dormitorio, dove la tv era accesa e stava riportando quanto successo, con la prima torre che era già stata colpita e il secondo aereo dirottato. Sono rimasto lì a guardare con i miei compagni, eravamo tutti scioccati e non potevamo credere a quello che stava succedendo. Ed è stato devastante rendersi poi conto di quante persone avevano perso la vita. Da quel giorno, l’undici settembre per noi americani è una giornata molto triste, ma è giusto ricordarla, per rispetto di chi non c’è più ma soprattutto perché cose simili non devono più accadere.

Tornando all’atletica, le chiedo in maniera molto diretta: il Galà dei Castelli di martedì sarà l’ultima gara della sua carriera?

Non ne sono ancora sicuro, ma è molto probabile. Finita la stagione, mi prenderò del tempo per valutare se avrò ancora la volontà e i mezzi per andare avanti un altro anno e per partecipare ai Mondiali che si svolgeranno proprio negli Stati Uniti, a Eugene. In ogni caso, se dovesse essere la mia ultima gara, sarò contento che sia proprio a Bellinzona, un posto e un meeting di cui mi sono innamorato. Sin dalla mia prima partecipazione nel 2018, sono rimasto colpito dallo scenario in cui si inserisce il meeting, con le montagne e la natura che mi hanno fatto sentire anche più vicino a Dio. Inoltre, il Galà è una piccola (ma dalla qualità altissima) manifestazione che sprigiona un’energia incredibile, a cominciare dalla vicinanza con gli spettatori e con la gente del posto, tanto che uno dei miei momenti preferiti è la visita al mercato cittadino (oggi dalle 11, ndr). Sì, chiudere qui non sarebbe affatto male.

L’idea di chiudere un capitolo che ha riempito la maggior parte dei 39 anni della sua vita, che sensazioni le provoca?

Strane, una sorta di mix. Da una parte sono contento di quanto ho ottenuto in tutti questi anni e sono pronto a dire basta, dall’altra ammetto che sono anche un po’ nervoso e spaventato, perché la corsa è stata il centro della mia vita finora. Inizialmente era solo un sogno, speravo di diventare un professionista e di poter competere ai maggiori livelli, ma poi una volta raggiunto questo obiettivo, correre è diventato tutto, l’unica cosa che contava. E so già che mi mancherà, ma sono anche consapevole che nella vita ho ancora molto da dare all’infuori dell’atletica. E per quanto come detto un po’ intimorito, sono pronto a compiere questo passo, a lasciare un mondo al quale rimarrò comunque vicino come tifoso e magari perché no come consulente (per allenare mi ci vorrà più tempo credo) e a esplorarne uno nuovo, che finora era abituato a osservarmi e a criticarmi come Gatlin, ma al quale voglio far conoscere anche Justin.

A proposito di mondi, quello dell’atletica com’è?

Per nulla facile. In particolare negli Stati Uniti, è uno sport magari meno considerato di altri ma sul quale c’è molta pressione. Un giorno vinci e tutti ti applaudono, il giorno dopo perdi e vieni fischiato. Devi continuamente dimostrare di essere all’altezza e oltretutto sei praticamente da solo. Nelle discipline di squadra se non sei al cento per cento, magari lo compensano i compagni, ma nell’atletica non è così, devi sempre essere al massimo perché se sei al 95 per cento, non basta.

E in questo mondo che sta per lasciare e che tanto le ha dato, lascia anche dei rimpianti? Magari per degli errori che ha commesso?

So che si aspetta che dica di sì… E forse un rimpianto effettivamente ce l’ho ed è quello di essere stato troppo ingenuo. Onestamente, tutto ciò che è successo nella mia carriera, è ciò che sono. Se non fossi stato costretto a rimanere lontano dallo sport per quattro anni, se non avessi vissuto quella che per me è stata una tragedia sportiva, non sarei cresciuto e non sarei diventato l’atleta e soprattutto la persona che sono oggi. Justin Gatlin.