Domenica lo scontro tra Tampa Bay e Kansas City, sfida tra l'eterno Tom Brady e il suo erede Patrick Mahomes. Sullo sfondo di pandemia e Black Lives Matter
Per un giorno almeno, gli Stati Uniti cercheranno di dimenticare la catastrofe nazionale della pandemia e si raduneranno di fronte ai televisori (si spera muniti di mascherine) per assistere all’evento sportivo per antonomasia: il Super Bowl. Come spesso accade, negli States l’importanza di un avvenimento è sancita dallo share televisivo e delle dieci trasmissioni con più alto indice di ascolto nella storia della tivù statunitense, nove sono Super Bowl. E anche quest’anno i numeri dovrebbero essere da record, per quanto le due finaliste non rappresentino i mercati più importanti del Paese. All’atto conclusivo sono giunte Kansas City (campioni in carica) e Tampa Bay, che sarà la prima squadra, nei 55 anni di storia del Super Bowl, a giocare nello stadio di casa. Sì, perché la finale si disputerà al Raymond James Stadium di Tampa (alle 18.30 ora statunitense, mezzanotte e mezza di domenica su lunedì da noi), in una Florida che non ha mai proibito la presenza di pubblico agli eventi sportivi e che accoglierà domani sera 25’000 spettatori in un impianto dalla capacità di 75’000 posti.
Il Super Bowl LV sarà in primo luogo uno scontro generazionale in quello che è il ruolo più difficile dello sport: la posizione di quarterback. Da una parte ci sarà l’eterno Tom Brady, 43 anni suonati, nove finali alle spalle e alla ricerca del settimo anello; dall’altra Patrick Mahomes, 25 anni, che del “Goat” è considerato l’erede. Entrambi sono stati protagonisti di stagioni eccellenti: 65,7% di completi, 4’633 yarde, 40 touchdown e 12 intercetti per Brady, 66,3%, 4’740, 38/6 per Mahomes. E se per il prodotto di Texas Tech, Mvp della Lega nel 2018 e campione nel 2019, certi numeri rappresentano la logica di una carriera ormai al vertice, per Brady non era affatto scontato ritrovarsi ancora una volta a giocarsi il Vince Lombardi Trophy. Non a 43 anni, non dopo aver lasciato New England e coach Belichick, non al primo anno con una squadra che dal 2000 a oggi ha avuto soltanto otto stagioni vincenti e che solo nel 2002 ha ottenuto un record migliore rispetto all’11-5 di questa stagione (12-4 e unica vittoria al Super Bowl). Certo, al suo fianco ha ritrovato un degno cast di supporto (Gronkowski, Fournette, Evans, Godwill…) che negli ultimi anni a Boston gli era mancato, ma lui ci ha messo la proverbiale capacità di saper condizionare l’esito di una partita con pochi gesti al momento giusto, anche nel contesto di una prestazione non brillantissima (come successo nei playoff, dove ha tra l’altro estromesso gli altri due grandi vecchi della Nfl, Drew Brees e Aaron Rodgers). Una dote riservata solo ai grandissimi.
Ciò nonostante, i bookmaker vedono favorita Kansas City (14-2 in stagione). Con ogni probabilità sarà una finale molto tirata, sulla falsariga della sfida andata in scena nella regular season il 29 novembre (sempre in Florida) e vinta dai Chiefs 27-24. Come sempre, la trama oscura della partita si svilupperà nelle trincee, con una linea offensiva di Kansas City priva dei due tackle titolari, contro il “front seven” di Tampa Bay (48 sack in stagione, 9,5 per Pierre-Paul, 9 per White, 16 in più degli avversari). I Buccaneers dovranno mettere sufficiente pressione a Mahomes, senza per altro lasciarlo uscire dalla tasca a sfruttare le sue capacità di corsa. Il pericolo è che la coperta risultati corta da qualsiasi parte la si tiri. Andare in massa alla caccia del quarterback avversario aprirebbe spazi per il tight-end Travis Kelce lungo le “seam” e per il ricevitore Tyreek Hill, tra i migliori nel saper tramutare un lancio breve in un enorme guadagno. D’altra parte, fermare il trio Mahomes - Hill - Kelce darebbe la possibilità al runner Edwards-Helaire di trovare spazi da sfruttare, contro quella che comunque è la miglior difesa della Lega sulle corse. Insomma, per coach Bruce Arians una bella gatta da pelare.
Sull'altro fronte per i Chiefs non sarà facile mettere le mani addosso a Brady e si sa che lasciare troppo tempo al californiano equivale a un suicidio sportivo. Coach Andy Reid dovrà fare affidamento soprattutto sulla capacità della sua secondaria di francobollare Evans e Godwin, in modo da garantire al pass rush il tempo necessario per mettere a disagio Brady, la cui mobilità non è evidentemente più quella di un tempo.
Il Super Bowl LV mette la parola fine a una stagione senza precedenti sotto molti aspetti. Ovviamente, quello della pandemia. In uno sport nel quale le squadre sono formate da oltre 50 elementi e che prevede grande contatto fisico, non era per nulla scontato riuscire a portare a termine il campionato. La Nfl ce l'ha fatta, senza dover ricorrere a bolle e con un numero di infezioni tutto sommato limitato che non ha inficiato la regolarità del campionato (qualche partita è stata rinviata, ma nel complesso le persone positive sono state messe in quarantena permettendo alle squadre di proseguire l’attività).
Ed è pure stata la prima stagione all’insegna di “Black Lives Matter”, in una lega nella quale il 70% dei giocatori è di colore. Il movimento scoppiato dopo l’omicidio di George Floyd è, in qualche maniera, figlio della protesta solitaria iniziata da Colin Kaepernick nel 2016 (il fatto di inginocchiarsi durante l'inno statunitense). L’ex quarterback di San Francisco fu massacrato a livello mediato e letteralmente scaricato dalla Nfl (tagliato dai 49.rs, non ha più trovato un ingaggio). Nell’ultimo anno, però, la Lega ha mutato il suo approccio, convinta forse dal numero crescente di suoi giocatori che hanno aderito a Black Lives Matter. Si è così impegnata in maniera attiva nella lotta al razzismo con molte iniziative via web e negli stadi. Inutile dire che ha trovato l’appoggio di numerose stelle, in primis proprio Patrick Mahomes (Brady, al contrario, non ha mai nascosto l’amicizia con Donald Trump), uno degli otto Qb di colore titolari nella stagione 2020 (il 25%), numero che negli ultimi 20 anni non ha conosciuto una sensibile progressione (nel 2000 erano 6). E in uno sport a stragrande maggioranza nera, sono sempre pochi i posti di responsabilità affidati a professionisti appartenenti a una minoranza etnica. A livello di head coach, l’introduzione nel 2003 della Rooney Rule (una squadra alla ricerca di un capo allenatore è obbligata a contattare anche tecnici appartenenti a minoranze) aveva portato il totale da 3 a 8, ma quest’anno si è tornati al punto di partenza: soltanto Brian Flores a Miami (per altro di origine ecuadoriana), Anthony Lynn a Los Angeles sponda Chargers (nel frattempo licenziato) e Mike Tomlin a Pittsburgh sono allenatori di colore. E la situazione è ancora peggiore quando si parla di general manager, con soli due casi (Chris Grier a Miami e Andrew Berry a Cleveland). Insomma, c’è ancora molto da fare, la Nfl lo sa e si sta muovendo. Con colpevole ritardo, ma, come si suol dire, meglio tardi che mai. Proprio come con colpevole ritardo il commisioner Roger Goodell ha ammesso le colpe della Lega, in particolare nei confronti di Kaepernick, affermando in conferenza stampa che l’ex quarterback merita «riconoscimento e apprezzamento» per la sua lotta, aggiungendo che la Nfl crede in Black Lives Matter e che ha sbagliato a non aver incoraggiato i giocatori a esprimere la loro pacifica protesta. Come si diceva, meglio tardi che mai…
E, scivolando da Black Lives Matter alla parità di genere, la finale di Tampa sarà la prima che vedrà in campo un arbitro donna: Sarah Thomas, 47 anni del Mississippi, dal 2015 impiegata a tempo pieno nella Nfl... «Per me si tratta di un grande onore e spero serva a mia figlia e a tutte le ragazze per comprendere che, con la giusta dedizione, qualsiasi traguardo può essere raggiunto», ha affermato.
Tutto questo è il Super Bowl, partita iconica anche al di fuori degli Stati Uniti. Ma è anche altro. È lo show di metà partita che negli anni ha attirato il meglio dello spettacolo (lo scorso anno Shakira e Jennifer Lopez, ma anche i Rolling Stones, McCartney, gli U2, Prince, Bruce Springsteen, gli Who, Kate Perry, Lady Gaga, i Coldplay…). Quest’anno l’onore spetterà al canadese The Weeknd (a “e” manca, non è un errore di battitura). A cantare l’inno prima dell’inizio della partita saranno invece Eric Church e Jazmine Sullivan.
Attesissimi sono pure gli spot pubblicitari, come sempre spettacolari e innovativi. Quest’anno la Cbs ha venduto gli spazi al prezzo di 5,5 milioni di dollari per 30 secondi.
Due parole, infine, sul cibo tradizionale della domenica del Super Bowl. Si stima verranno consumate, tra le altre cose, 1,42 miliardi di ali di pollo e 12,5 milioni di pizze. È stato calcolato che se si mangiassero tre ali al minuto occorrerebbero oltre 900 anni per consumarle tutte. E se le si allineassero una dopo l’altra, coprirebbero 19 volte la distanza che separa il Raymond James Stadium dall’Arrohead Stadium di Kansas City.