laR+ l'intervista

Il virus mette i giovani in panchina, è un'adolescenza al contrario

Contro la pandemia, divieto di fare sport per i maggiori di 16 anni. Quali gli effetti sui ragazzi? Intervista allo psicologo e psicoterapeuta Giona Morinini

(sme)
15 gennaio 2021
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In primavera i centri sportivi furono chiusi completamente, ora sono vietati ai maggiori di sedici anni. Una misura pesante per i giovani? 

Anzitutto occorre non perdere di vista che la priorità è la salute della popolazione. E peraltro se non si può stare bene, il resto viene meno. È chiaro che la situazione comporta rinunce non indifferenti per tutti. Gli adolescenti hanno però una particolarità: la necessità di stare con gli altri, di avere contatti e relazioni. Ciò che, con la pandemia, è decisamente venuto meno. Ricerche condotte negli scorsi mesi in vari Paesi, evidenziano come i giovani s’informino parecchio e siano ben al corrente di ciò che capita; prestano attenzione a disinfettarsi le mani; più avvertono che il contesto vicino a loro è grave e più evitano di trovarsi con altri. Ma finché loro non si sentono direttamente coinvolti, a differenza delle altre fasce di età, sono meno propensi a evitare incontri e assembramenti.

È un atteggiamento sconsiderato?

Non ritengo sia mancanza di senso civico o cattiveria, bensì un bisogno tipico dell’adolescente: incontrarsi e confrontarsi con i propri pari. In questo è compreso il potersi toccare e abbracciare. Se gli adulti già formati, in qualche modo, riescono a gestire la distanza fisica, a un giovane manca un elemento fondamentale nella costruzione di una persona. In tal senso, per venire allo sport, un suo valore aggiunto sta nel fatto che porta ad avere contatto fisico. Incontrando ragazzi che possono continuare a praticare la loro disciplina (minori di sedici anni o nei quadri nazionali) e dunque a mantenere una certa normalità, emerge come facciano meno fatica, rispetto a coloro i quali è ora vietato allenarsi e che per questo vivono le restrizioni applicate a tanti ambiti della loro vita.

Lo sport risponde a un bisogno fisico, è uno sfogo, una scuola di vita, occasione d'incontro e confronto. Il divieto di praticarlo contribuisce a stravolgere la normalità dei giovani come l'avevano sempre vissuta. Cosa comporta per loro?  

Attraverso il confronto con l’altro, l’adolescente apprende a conoscere se stesso e a dare un senso a ciò che vive; a capire come si sta con le persone: come ci si relaziona, si litiga, ci si innamora; come si gestiscono le frustrazioni, un brutto voto a scuola o una delusione da un amico. Tutto questo si impara provandolo sulla propria pelle. La situazione che stiamo vivendo con la pandemia, non è pericolosa; anche perché i giovani hanno una grandissima resilienza e parecchie risorse per stare bene anche in questo periodo. Occorre però, quello sì, prestare attenzione a dar loro i mezzi per confrontarsi su tutti questi temi. È importante che il giovane accetti che rabbia, preoccupazioni e umori sono assolutamente normali; e che l’adulto li sappia accogliere come tali. I sintomi che più sovente presentano gli adolescenti, sono ansia (collegata a paure e rabbia) e depressione (tristezza e apatia).

Quando arrivano emozioni così forti, specialmente se di solito non le si vive, è perché si è immersi in una situazione che stona con ciò che invece ci si aspettava. Malessere e disagio sono espressi attraverso questi stati emotivi più faticosi, che vanno visti come la manifestazione di qualcosa di stravolgente. Idealmente questo potrebbe essere fatto insieme ali adulti di riferimento, ma quella dell’adolescenza è l’età in cui questo è difficile. Lo si può fare anche tra ragazzi ed è interessante osservare i modi di comunicazione che i giovani usano per confrontarsi su tali aspetti. Ovviamente si tengono molto in contatto con i vari strumenti virtuali; ma l’importante è che sia un sostegno, che permetta di vedere che, sebbene a distanza, una relazione c’è; di capire che esistono delle risorse, è una situazione comune e si veda che una fine arriverà, sebbene ancora non sappia quando. Relazioni di questo genere sono quelle che possono fare bene. Al contrario, è più faticoso se nelle rapporto con i propri pari si alimentano sentimenti ed emozioni che rischiano di creare una spirale negativa, senza evoluzione possibile.

In questo periodo i giovani sono costretti a fare il contrario di ciò che vorrebbero fare: a stare, cioè, a contatto con gli adulti dai quali vorrebbero invece staccarsi. Come comportarsi, da adulti, con i ragazzi?

Il ruolo dell’adolescente è staccarsi dai genitori e identificarsi come persona a sé. Per questo arriva a creare un conflitto con essi, in modo che si trovi un nuovo equilibrio in cui ognuno diventa una persona adulta, un’entità propria. Quando ci sono gli scontri, è fruttuoso che l'adulto ricordi che il giovane non ha nulla di personale contro di lui, e che la divergenza è la dinamica che serve al ragazzo per potersi staccare. Non è sempre semplice, intendiamoci. Ma se tiene presente questo, il genitore riesce a rispondere al giovane in lotta ‘col mondo’ in maniera più funzionale. Essere in conflitto con qualcuno, è una delle modalità relazionali; se però diventa l’unica, è sfinente per entrambe le parti. Nonostante possa essere più facile a dirsi che a farsi, è utile capire come proporre momenti con i figli, in cui non si entri per forza in conflitto ma si valorizzi l’altro, cercando quindi maggiormente una relazione collaborativa. Incuriosendosi del punto di vista dell’altro, capendo cosa vorrebbe fare o, in maniera più pratica, pianificare assieme vacanze o weekend, piuttosto che imporli. Poi certo, l’adulto resta il genitore e ci sono limiti entro i quali bisogna rimanere; però se il giovane sente di avere anche una porta oltre la quale viene ascoltato, è una risorsa che può dare energia a entrambe le parti.

Lo stop all'attività sportiva, hobby o competizione che sia, toglie ai giovani momenti loro e crea vuoti anche in termini di tempo. Ciò appesantisce una situazione globalmente già complessa?

Sì. Ma questo è il contesto con cui si deve avere a che fare. La risorsa è proprio capire come e dove trovare aspetti benefici, pur in una condizione del genere. Da un lato credo che la creatività degli adolescenti sia vasta; dall’altro entra in gioco la resilienza. Vale a dire la capacità di attivare le risorse che ci fanno stare bene. Questa può essere anche l’occasione di ricordarci quali siano, questi elementi che contribuiscono al nostro benessere, e di rimetterli sul tavolo.

Ai teenager si chiede di rinunciare al ‘fare branco’ di cui hanno bisogno; vivere i primi innamoramenti mantenendo le distanze; privarsi delle espressioni, con i visi nascosti dalle mascherine. I sedici, diciassettenni di oggi non potranno rivivere questa età senza costrizioni. Stanno perdendo parti essenziali per le donne e gli uomini che saranno?

È vero che i giovani in questi mesi non possono vivere l’adolescenza come l’abbiamo vissuta noi adulti. D’altra parte, se non puoi sperimentare qualcosa che non conosci, in realtà non so quanto possa mancare. In tutto ciò ritengo siano fondamentali le parole che si usano. Parlare solo di periodo difficile, di mancanze che i ragazzi proveranno, di situazioni in cui avranno delle carenze, farà credere loro che di sicuro c’è qualcosa che manca e l’accento verrà posto su ‘cosa ci stiamo perdendo’, rimanendo delusi. Un contesto come l'attuale penso invece sia importante viverlo come qualcosa sì di diverso, tenendo però conto che una particolarità dell’adolescente è che vive il tempo in maniera rapidissima. Si innamora, si arrabbia, si reinnamora nel giro ‘di una giornata’. Nei mesi della pandemia un giovane ha vissuto paure, tristezze e dubbi; ma pure gioie, divertimento e risate. Quindi quella di oggi non è un’adolescenza priva di emozioni: è sicuramente un periodo differente da quello vissuto prima e che si vivrà dopo; ma la maniera di raccontarlo apre a un’altra prospettiva. Se invece di dire che hanno un’adolescenza mancata, diciamo hanno un’adolescenza diversa, la percezione cambia. Non significa edulcorare la situazione; bensì trasmettere il concetto che si prende atto di tutte le fatiche che ci possono essere, ma che in mezzo a esse ci sono sicuramente anche momenti di altre emozioni: risate, gioia, sorprese. È, per i giovani, ‘semplicemente’ un periodo dissimile da come lo si aspettava, nel quale ci si può lasciar sorprendere da qualcosa che può essere comunque bello.

È dunque degli adulti - genitori, insegnanti, allenatori, ma anche giornalisti -, la responsabilità di come si illustra la situazione attuale.

Ne sono convinto. La responsabilità di crescere un ragazzo è dell’adulto, così come la responsabilità di come va l’allenamento è di un coach. Questa è a mio avviso una risorsa positiva: significa che possiamo davvero presentare all’adolescente il mondo in un modo in cui in questo mondo si possa stare bene. Il messaggio è che, raccontando diversamente un contesto nuovo e incerto per tutti come una pandemia, si danno altre possibilità anche se ci si trova in un momento di fatica, difficoltà e sofferenza.

Il coronavirus sta colpendo duramente il Ticino. Malattia, morte di una persona cara, preoccupazioni legate al lavoro toccano molte persone e sono complicate da affrontare anche per un adulto. Come trovare, nella propria sofferenza, la forza di trasmettere a un figlio una visione di speranza, che non sia solamente negativa?

Parto dall’idea che i figli conoscano i genitori e quindi si rendano conto se la mamma o il papà stanno male, sono preoccupati o tristi. È importante non fingere. Non significa investire il figlio di tutte le proprie preoccupazioni, quanto osare dire "oggi faccio fatica, è un periodo faticoso". Mi rendo conto che non sia facile, vuol dire anche mostrare la propria fragilità ai figli. Però si guadagna in fiducia nella relazione: il teenager capisce che è trattato come una persona con cui si può essere sinceri, ciò che nel percorso per diventare adulti è un aspetto assai benefico. Se un giovane avverte questa sincerità, quando si sentirà dire dal genitore "oggi sto bene’" saprà che è vero. Al contrario se non c’è la trasparenza, gli sarà difficile credere a mamma o papà.

Persone fragili e anziane, economia, situazione negli ospedali: per le autorità non mancano gli aspetti di cui occuparsi e preoccuparsi. Ritiene che ai ragazzi sia stata rivolta poca o minore attenzione?

Sì, in particolare nella prima fase della pandemia quando erano ‘ridotti’ a essere quelli che non rispettavano le regole. Ora la sensazione è che si sia sempre più attenti anche a questa fascia di popolazione. Forse perché pure i giovani stanno avvertendo il peso del contesto e cresce il numero di chi si rivolge a psicologi e psicoterapeuti. Sono dunque stati loro stessi a farsi sentire e far capire che ci fosse un bisogno. Credo che nella gestione di una situazione tanto complessa, si sia andati per priorità: in un primo tempo si è pensato soprattutto agli anziani, perché erano loro che stavano morendo. Gli adolescenti facevano parte delle persone in salute e all'inizio l'urgenza era salvare le vite. So però di colleghi che da subito, in primavera, hanno lavorato parecchio con i giovani; magari non se n’è parlato diffusamente sui media, ma strutture e figure professionali attive con i giovani, hanno creato una rete solida.

È preoccupato per il futuro dei ragazzi?

No, no. Dobbiamo però preoccuparci di prendercene cura, non fare finta di nulla; prendere atto di tutti gli stravolgimenti che ci sono e accompagnare i giovani. Loro hanno risorse e voglie grandissime e quindi no, non crescerà una generazione che non sta bene. Quando incontro ragazze e ragazzi, emerge forte la loro voglia di vivere, che batte anche il coronavirus.