Casa di Pictor a Mendrisio, un foyer che da 40 anni accoglie bambini e ragazzi che vivono particolari difficoltà familiari e che qui ritrovano serenità
Ha un nome di fantasia, Pictor, il personaggio nato dalla penna di Hermann Hesse, ma per il Foyer di Mendrisio quel ’vissero felici e contenti’, spesso in coda a molte fiabe, è sempre stato un cammino non scontato e tortuoso, tanto da definirsi come “il simbolo della trasformazione continua, dell’impossibilità di fermarsi, di cristallizzarsi, ma anche il simbolo della consapevolezza e dell’accettazione di portare dentro di sé gli opposti, le diversità, le contraddizioni”. Da dicembre ne è direttore Giordano Cusini, già coordinatore delle strutture educative della Svizzera italiana: «La nostra è una storia piuttosto lunga (lo scorso anno ha segnato i 40 anni, ndr). Per la sua natura e specificità la struttura di accoglienza per minori gode di una vitalità incredibile. Tanto che io stesso, appena arrivato, sono rimasto stupito dalla grande professionalità ed entusiasmo, dalla forte partecipazione a un progetto che è soprattutto ’di vita’ e a quei valori espressi da sempre da Comunità familiare. Siamo, dunque, uno dei fiori di un albero che ha radici preziose e importanti. Non siamo soltanto la traduzione di un mandato istituzionale o una prestazione offerta, ma incarniamo e portiamo avanti quei principi che crediamo debbano restare come patrimonio stesso del territorio ticinese».
Giordano Cusini
Ampio il ventaglio dell’Associazione Comunità familiare che quest’anno festeggerà il 50° di fondazione. Direzione e segretariato a Lugano, si compone, oltre del foyer mendrisiense, del Consultorio familiare a Lugano e Bellinzona, del Servizio per le dipendenze da sostanze con le attività di Antenna Icaro e Centro di competenza a Bellinzona e Muralto, di Laboratorio21 ad Arbedo-Castione, e da gruppi per l’infanzia e colonie dove ruotano 200 volontari, e un’utenza che spazia dai portatori di andicap, alle famiglie, ai bambini e giovani. Casa Pictor, dal canto suo, può accogliere 12 ragazzi stazionari, dai 6 ai 20 anni, e seguirne altri 3 che intraprendono un percorso di progressiva autonomia in appartamenti esterni. «Attualmente a Mendrisio – ci fa sapere il direttore – vivono 8 ragazzi residenti di cui tre neo maggiorenni che hanno deciso di fermarsi in foyer perché stanno continuando gli studi o hanno necessità, come capita ai giovani in famiglia, di un tempo di preparazione prima di affrontare un progetto di autonomia. Inoltre stiamo accompagnando due ragazzi che hanno iniziato una loro esperienza all’esterno del foyer. Si tratta di percorsi individualizzati che garantiscono un sostegno all’apprendimento e alla gestione delle tante responsabilità e aspetti implicati nell’andare a vivere da soli. Il supporto educativo, oltre a momenti garantiti di scambio e confronto, viene declinato in azioni molto concrete quali la ricerca di un appartamento, la stipula di un contratto, la gestione della quotidianità domestica».
La pandemia ha però inciso sui collocamenti in quanto anche la ’rete di protezione’ ha subìto dei rallentamenti: «Stiamo piano piano riprendendo. Quando sono entrato in servizio il coronavirus era già, purtroppo, esploso da tempo. Diciamo, dunque, che, come molti di noi, eravamo già diventati piuttosto esperti di misure preventive e azioni a controllo di questa situazione. Chiaramente i limiti maggiori che si respirano nelle strutture come le nostre sono quelli imposti dall’uso della mascherina, dalle sanificazioni, dalla distanza sociale. Tutto ciò ha creato problematiche di tipo logistico, penso agli accompagnamenti o come, semplicemente, al pranzare insieme. La caratteristica del nostro foyer è, infatti, quella di essere legata alla dimensione domestica, all’idea di casa più che di istituto. Quindi è chiaro che alcune misure sono state percepite come innaturali perché essendo l’essere umano sociale e rivolto alle relazioni affettive che si manifestano anche attraverso la vicinanza, l’abbraccio, lo stare insieme, lo stare vicini, ecco che questi ’contenimenti’ sono stati sentiti particolarmente. Devo dire però che sia gli educatori sia i ragazzi hanno risposto bene e sono molto attenti. Del resto abbiamo un piano di protezione abbastanza rigoroso che ha imposto la mascherina anche ai minori di 12 anni e che ben dà il senso della gravità della situazione. Il tutto gestito con il coinvolgimento degli stessi ragazzi, in quanto crediamo fortemente nella partecipazione e nell’ascolto dell’opinione di tutti. Puntiamo a una convinzione interna piuttosto che a una imposizione esterna».
Oggi l’emergenza sanitaria ci ha portato in eredità ragazzi sempre più sofferenti, carichi di stress e sovraccarichi di emozioni. Lo si avverte anche a Casa Pictor? «La principale preoccupazione di noi educatori – risponde ai nostri interrogativi Cusini – è che i ragazzi non siano sganciati dalla realtà ma siano inseriti nel contesto sociale, tanto che frequentano le scuole e hanno un continuo contatto con l’esterno. È vero però che abbiamo una dimensione di comunità e quindi un possibile contagio, che finora non si è verificato, determinerebbe un grande impatto. Così chiediamo loro di mantenersi ’centrati’, soprattutto nella gestione del tempo fuori dal foyer. E i ragazzi, in generale, hanno dimostrato di essere più coscienti e responsabili di molti adulti o anziani. Alcune limitazioni, non va dimenticato, hanno però determinato per qualcuno un disagio, penso alla limitazione o alla richiesta di interrompere le visite non indispensabili da parte degli esterni. Diversamente, proprio per questa dimensione di foyer e non di istituto, abbiamo sempre promosso quello che avviene in ogni casa, l’invito del compagno di scuola per far merenda e giocare per esempio. La limitazione è, perciò, un’alterazione della normalità che sta iniziando a pesare. È vero che i ragazzi hanno un tempo dedicato alle relazioni a scuola, ma è anche vero che è organizzato dentro una cornice precisa che è quella della scuola, dello sport. L’incontro nel tempo libero è molto importante perché prezioso in quanto permette di crescere, maturare sotto tutti i punti di vista e questo ultimamente viene un po’ meno. L’infanzia e la gioventù di oggi in questo momento sono particolarmente provate. Hanno sofferenze e privazioni di possibilità che noi non abbiamo mai avuto. Dall’altra parte – continua il direttore – il foyer ha al proprio interno, e può essere una visione forte ma non provocatoria, delle risorse che a volte in una casa non ci sono. Siamo una piccola comunità, cerchiamo di essere una famiglia, è vero anomala, ma molto numerosa. Qui c’è un microcosmo che in parte compensa e garantisce delle relazioni diversificate. I pranzi, le cene, sono momenti straordinari, di incontro piacevole, dove invece, magari in una famiglia, sono pause legate strettamente al nutrimento e finite le quali poi ognuno corre ai propri interessi. Da noi ci si ferma perché ci sono storie da raccontare e storie da ascoltare, e dunque esiste un ’nutrimento’ anche dal punto di vista sociale. Peraltro abbiamo la caratteristica di essere un gruppo verticale, avendo bambini piccoli e ragazzi che potrebbero arrivare teoricamente fino ai vent’anni. Ed è interessantissimo il meccanismo interno che si crea fra piccoli e grandi».
Come è cambiato il tipo di utenza? «Le necessità dell’utenza – ci illustra i mutamenti Deborah Solcà, direttrice generale di Comunità familiare, sotto il cui cappello sta il CEM Foyer Casa di Pictor – seguono l’evoluzione della società. Noi siamo da sempre attenti a raccogliere i bisogni che emergono sul territorio ticinese e quindi a calibrare l’offerta di presa in carico. Nell’ultimo decennio le necessità delle varie persone che a noi si rivolgono esprimono una maggior solitudine e fragilità, che vengono da un sovraccarico di stimoli e richieste di responsabilità che non tutti sono in grado di cogliere. Famiglie che si sgretolano e che, quindi, se non supportate adeguatamente, possono arrivare a vivere un momento di grande disagio e ad appoggiarsi ai nostri servizi. Per questo insistiamo molto nel carattere preventivo: quando in una famiglia, nel nucleo di una coppia o nella singola persona si ravvisano dei momenti di difficoltà non si dovrebbe aspettare che questi si acerbino, compromettendo la situazione, ma sarebbe opportuno chiedere aiuto il prima possibile. E soprattutto in un periodo come quello attuale dove le fragilità sono spesso emerse, così come le ansie e le incertezze».
Deborah Solcà
Fragilità che a Casa di Pictor sono entrate sotto svariate forme: «Diversi fattori determinano un collocamento – evidenzia Cusini –. Generalmente sono collocamenti d’autorità (Arp, giudice). Più raramente ci sono collocamenti volontari dove cioè le famiglie si rendono conto di non potercela fare. Vi è dunque una situazione non idonea per il minore che porta a quella che, chiaramente, deve restare un’estrema ratio. Abbiamo casi di genitori che hanno problemi legati al consumo di sostanze, oppure a un disagio psichico e/o psichiatrico, oppure situazioni di violenza o di abuso, o ancora di minori non accompagnati, presenti sul territorio senza genitori, magari affidati ad altri parenti per esempio che poi non riescono più a garantire quello che è un contesto armonico e di sviluppo sereno per il bambino». Vi sono poi le nuove dipendenze: «Penso al gioco, all’indebitamento, a tante questioni che magari un tempo non erano così presenti nella nostra società – aggiunge il direttore –. Ma nel cambiamento della società vi è anche un aspetto positivo. Rispetto al passato c’è un maggior coinvolgimento delle famiglie nei progetti. Esse sono una parte importante e attiva con la quale costruire, mantenere e sviluppare un dialogo continuo e costante. E l’altro aspetto è la rete: noi siamo fortemente e profondamente inseriti in una rete che sempre più si parla, e che sempre più è sinergica nell’offrire una risposta che non può e non vuole essere frammentata e frammentaria. Ciò per dire che è cambiata anche la presa a carico».
Minori più sereni e famiglie più ’armoniche’ così da uscire quanto prima dal tunnel delle criticità: «È importante sia per i minori, perché a nessuno possiamo togliere, anche in una situazione di maggiore difficoltà, la legittimità del bene e quello che può rappresentare anche simbolicamente il proprio genitore, sia per i genitori che vivono il disagio, penso a coloro in carcere e che non possono fisicamente occuparsi del figlio ma che comunque non devono essere estromessi né percepire di essere stati sostituiti. Il nostro è, quindi, un lavoro di mantenimento dei legami che a volte sono anche molto sottili, sono appena puntati perché rischiano veramente di rompersi per tutta una serie di eventi. Legami che vanno alimentati anche in momenti difficili, nella speranza che il lavoro di rete possa dare il frutto finale che è il ritorno dei bambini e dei ragazzi se non a vivere in famiglia quanto meno, diventati grandi, a sentirsi sempre parte di essa. Per questo il tempo di permanenza di un minore in un istituto o foyer dipende da due fattori: la gravità della situazione di partenza e soprattutto la possibilità di risoluzione di questi problemi. La nostra struttura generalmente accoglie le situazioni più complesse, o dove i bambini sono più piccoli o soprattutto dove i tempi per un rientro in famiglia si prevedono più lunghi».
C’è tutto un mondo di bisogni e richieste nel minore, che non è solo quello del foyer: «Certamente vi sono bisogni reali, quelli ’puliti’ da tutti i condizionamenti sociali e che per i minori sono sempre gli stessi – non manca di puntualizzare Cusini –, come la ricerca di continuità, stabilità, gradualità, ritualità, che appartengono del resto all’essere umano in sé. Parte proprio da qui la necessità oggi di ’educare’, ovvero rendere consapevoli, soprattutto gli adulti nel riconoscimento dei bisogni specifici dei bambini. Spesso li fraintendiamo andando a rispondere a qualcosa che invece è indotto. I bambini, nella società di oggi sono maggiormente immersi in uno stato di stress; vivono situazioni molto più dinamiche indotte dalla necessità degli adulti di conciliare casa-lavoro e delegando dunque a terzi la loro crescita. Hanno a che fare già in precoce età con tante e più figure differenti. Ciò comporta per loro, da una parte, una minor stabilità e, dall’altra, crescendo, l’essere sottoposti a una pressione sociale data anche dagli strumenti che sono sempre più a loro disposizione e penso agli smartphone, alle varie applicazioni, ai social». Con tutti gli scompensi del caso. Nella loro ’protezione’ c’è dunque un giusto equilibrio in Ticino fra domanda e offerta? «Credo sia adeguata – conclude Cusini –, anche perché in prospettiva l’obiettivo non è quello di andare ad aumentare le strutture perché, in realtà, vorrebbe dire sottolineare il fallimento di una politica preventiva».