Matteo Badilatti commenta la caduta di Evenepoel al Lombardia: 'Nel nostro mestiere il rischio esiste, ma dobbiamo tutti impegnarci per ridurlo al minimo'
Prima la terribile caduta di Fabio Jakobsen sul traguardo della tappa inaugurale del Giro di Polonia, poi quella di Primoz Roglic al Delfinato (con ritiro), infine il sabato nero del Lombardia, con il volo di Remco Evenepoel nella discesa dal Muro di Sormano e con lo schianto, nei chilometri finali, del tedesco Max Schachmann contro un'auto privata che aveva invaso il percorso di gara. Il ciclismo è ripartito e con esso le polemiche su un tema che a tutti sta a cuore, dai corridori agli organizzatori: la sicurezza in gara. Sabato sulle strade del Monumento Lombardia c'era anche il poschiavino Matteo Badilatti (Israel Startup Nation)... «L'incidente di Evenepoel non l'ho visto direttamente, ma sono passato sul ponte pochi secondi dopo, con il gruppetto immediatamente alle spalle del belga. Ho visto la bicicletta a terra e la gente che guardava giù dal parapetto. E, devo dire la verità, mi sono spaventato. Proprio perché c'era la bici a terra, tutti che guardavano di sotto e del corridore nessuna traccia. In quei momenti, però, sei nel bel mezzo dell'azione e non puoi soffermarti a pensare a ciò che hai visto, devi rimanere concentrato e andare avanti. Una volta al traguardo mi sono informato subito per capire cosa era capitato»
Fosse andato a sbattere sul muro una decina di metri più avanti, sarebbe precipitato per davvero giù dal ponte, con conseguenze che nessuno vuole immaginare... «Il punto in cui Remco è caduto è senza dubbio pericoloso. Sono situazioni che non dovrebbero mai succedere, ma che purtroppo a volte capitano. Una certa dose di pericolo è insita nel ciclismo e non può essere rimossa del tutto. Sarebbe utopico pensare di poter allestire delle cose al 100% sicure. Una certa dose di rischio fa parte del nostro mestiere e noi l'accettiamo, ma è vero che basterebbe l'attuazione di qualche piccolo stratagemma per aumentare e di molto il fattore sicurezza».
Occorre maggiore attenzione da parte degli organizzatori, ma anche un accresciuto senso di responsabilità da parte delle persone comuni. Ne sa qualcosa Schachmann... «È difficile per chi organizza una corsa tenere il percorso completamente sbarrato. Sta al singolo impegnarsi per rendere tutto il più sicuro possibile per i ciclisti. Occorrerebbe maggiore buonsenso, perché tutti capiscono che sarebbe impensabile dover transennare 230 km di strada. Gli organizzatori fanno il possibile e anche di più per avere una corsa senza incidenti: è nel loro interesse, nessuno desidera che la propria corsa venga associata a pubblicità negativa».
A ogni modo, queste prime settimane di competizione hanno ribadito come quello della sicurezza si un capitolo da affrontare con la massima urgenza... «Si va sempre più forte e l'incolumità dei ciclisti deve essere garantita, nel limite del ragionevole. Non dimentichiamo che dopo tanti mesi di stop dovuto ala pandemia la ripresa delle competizioni ha portato in gruppo tanta euforia, tutti vogliono correre, tutti vogliono mettersi in mostra, tutti sono motivati, con la conseguenza di velocità sempre più elevate. A mio modo di vedere, occorrerebbero regole più chiare, l'Uci dovrebbe poter ispezionare con maggiore attenzione i percorsi delle varie corse. Nessun ciclista vorrebbe cadere, tutti abbiamo rispetto dei nostri avversari, ma ci vorrebbe un'istituzione terza e indipendente che lavori su questo tema. Troppo spesso si attende che succeda una tragedia prima di intervenire con delle contromisure: molte volte ci va bene, abbiamo fortuna e non succede nulla di irreparabile, ma prevenire è meglio che curare. Nell'interesse di tutte le parti in causa, le quali desiderano poter proporre corse accattivanti, spettacolari e prive di incidenti».
Di concreto cosa si potrebbe fare? «Per quanto riguarda l'incidente in Polonia, io non c'ero e non lo posso commentare. Ma da quanto ho letto sono state tirate in ballo le transenne di protezione: bisognerebbe che l'Uci imponesse dei criteri uguali per tutte le corse, in modo che non possano essere scelte transenne pericolose o non a norma. Poi, per le tappe destinate alla volata, si potrebbe aumentare il numero di secondi prima che scatti il "buco", come fatto lo scorso anno al Tour de Suisse in un finale con una curva pericolosa (vittoria di Sagan): i velocisti farebbero la loro volata, ci sarebbe meno gente lì davanti a limare, chi non è interessato alla vittoria di tappa se la prenderebbe più comoda e tutto si svolgerebbe in maniera più tranquilla. Piccoli accorgimenti che possono cambiare molto».
La stagione è ripartita e al giorno d'oggi la parola "sicurezza" si declina anche in relazione al coronavirus... «Prima di tutto, lasciami dire quando è stato bello riprendere a gareggiare, poter riattaccare i numeri sulle maglie, ritrovare quell'adrenalina che tanto ci era mancata. Per quanto riguarda l'aspetto Covid-19, l'Uci e tutte le squadre hanno allestito piani di sicurezza che, al momento, sembrano funzionare. In pratica, viviamo all'interno di "bolle" che nessuno può violare. Il pubblico indossiamo sempre la mascherina e cerchiamo di mantenere le distanze sociali: tutto è molto più curato».
Il ciclismo è uno sport nel quale i contatti interpersonali sono frequenti: con il pubblico nelle sedi di partenza e arrivo, con lo staff e le alte squadre negli alberghi... «In camera continuiamo a dormire in due, ma prima di iniziare una corsa dobbiamo sottoporci al test che, se negativo, ci permette di entrare nella "bolla". Qualcosa è mutato a tavola, in quanto non ci sono più i tipici buffet ai quali eravamo abituati, ma veniamo serviti direttamente al tavolo. Nella sostanza, però, cambi poco, se vuoi il bis basta chiedere. Per il momento il protocollo di sicurezza allestito sembra funzionare: ognuno deve metterci del suo, anche con qualche sacrificio, ma di problemi non ve ne sono stati».
Veniamo all'attvità agonistica in senso stretto... «Ho ripreso bene, come avevo fatto a inizio anno in Colombia. Anche nelle gare in Italia la gamba girava bene. In Romania sono salito due volte sul podio, con il secondo posto di tappa e il terzo nella classifica generale finale».
E sabato scorso, il Lombardia... «È stata la mia prima classica monumento della carriera, chiusa al 23° posto, nel secondo gruppo. È stata un'esperienza bellissima. Corsa dura come piace a me, precorso splendido. Non posso davvero lamentarmi».
Appuntamenti futuri? «Nei prossimi giorni definiremo il programma assieme alla squadra. Al momento so di prendere parte al Giro d'Ungheria (29 agosto - 2 settembre), per il resto rimangono aperti diversi scenari. Tra le possibilità, anche la partecipazione al Giro d'Italia».
E dall'anno prossimo in squadra ci sarà anche Chris Foome... «Il suo arrivo porta entusiasmo e permetterà alla Israel Statup Nation si superare un ulteriore scalino di crescita. Una notizia che ha rallegrato tutti. Per quanto mi riguarda, il mio contratto scade al termine dell'attuale stagione. Per il momento non abbiamo intavolato trattative per il rinnovo, vedremo più in là. Sono tranquillo, motivato a far bene e a regalare emozioni a tutti gli appassionati».