'Me lo immagino così, portato via, in trionfo, cullato da quell’onda rossocrociata che invase il Westfalenstadion di Dortmund nel 2006'
Ricordo Köbi Kuhn con grande affetto, per quell’espressione un po’ così, simpatica e distaccata, apparentemente inconsapevole del peso della carica che rivestiva, quando era il ct di una Nazionale svizzera che ha condotto a ben tre tornei importanti di fila, gli Europei del 2004 e del 2008, e i Mondiali del 2006.
Quell’aria da padre affettuoso, o nonno, di tutti noi appassionati di calcio, lo ha avvicinato alla gente che ne ha sempre apprezzato l’umanità e la cordialità, ma gli si è ritorta contro quando si è trattato di congedarlo, al termine di un Europeo casalingo triste nel suo svolgimento, misero nel suo epilogo, imputabile proprio a una certa sua passività.
Affabile, disponibile, schietto, non ha mai brillato per comunicatività, ma erano anni, quelli della sua parentesi rossocrociata, in cui ancora ci si poteva limitare al compitino delle conferenza stampa, senza l’attuale deriva web e social che esige ai protagonisti del calcio di esibire immagini più aggressive e studiate. Era spontaneo, schivo e di poche parole, quantomeno con i cronisti.
L’ho conosciuto che era Ct, ma come non ricordarne i fasti da calciatore, bandiera del suo Zurigo e della Nazionale, in anni in cui con Karl Odermatt e l’amico Rolf Blättler, fuoriclasse con cui ho condiviso memorabili maratone tennistiche all’ultimo ‘quindici’, diede vita al centrocampo più forte che il calcio elvetico abbia mai avuto.
Pacato e affabile lo diventò con il passare degli anni, perché da giocatore, per sua stessa ammissione, non fu un cliente facile, per i suoi allenatori. Tanto che forse, quel suo carattere non sempre docile finì col costargli la carriera in Nazionale, per la quale non venne più convocato a seguito dello ‘scandalo’ di Oslo agli Europei del 1976 (in ritiro, pare che non avesse rispettato il coprifuoco) che fece il pari con la fuga notturna di 10 anni prima a Sheffield, durante i Mondiali inglesi.
Aneddoti la cui ricostruzione è ancora oggi avvolta nel mistero. Ciò che invece gli è sempre stato riconosciuto, sono la grande umanità e l’amore per la moglie Alice, morta nel 2014, vittima di un ictus poco prima degli Europei del 2008 che allontanò Köbi per un po’ dalla sua Nazionale che prontamente riabbracciò.
Fu lui a risollevare le sorti di una selezione rossocrociata che, a partire dagli Europei del 2004, ha fatto l’abbonamento alle fasi finali. In Portogallo portò con sé il giovanissimo Johan Vonlanthen, e ne fece il più giovane marcatore della storia degli Europei (segnò contro la Francia). In Germania offrì al ticinese Mauro Lustrinelli, oggi apprezzato tecnico della Nazionale U21 che fu trampolino di lancio per lo stesso Köbi, una ribalta mondiale a 29 anni. Quella Coppa del mondo passò alla storia per l’entusiasmo venutosi a creare proprio per l’ambiente gioviale e positivo in seno alla squadra che contagiò l’intero paese. Indimenticabile, sul piano personale, ma anche su quello statistico, l’incredibile invasione rossocrociata di Dortmund, e il ‘muro’ rosso dei 50’000 tifosi che presero possesso dell’allora Westfalenstadion per la sfida contro il Togo. Lo dobbiamo a lui, quel momento storico irripetibile, che ha segnato la storia del calcio svizzero. Ne ha avuti tanti, di meriti, ma quel Svizzera-Togo li batte tutti.
Lo immaginiamo così, portato via, in trionfo, cullato da quell’onda rossocrociata che contribuì a generare con il suo modo di essere, semplice e genuino. Un’emozione impagabile che mai più avremo modo di rivivere.