Ben consolidata la collaborazione fra Usi e Ethz. Si pensa di creare una Scuola di dottorato congiunta. ‘Scongelati’ anche i rapporti con l’UniBe
Una rete fittissima, e in crescita, lega "chi fa scienza" in Ticino ai ricercatori della Svizzera interna: soprattutto, al Politecnico federale di Zurigo (ETHZ), una delle università top del mondo (è costantemente nei primissimi posti delle classifiche internazionali, accanto ad atenei come Harvard, Cambridge, o il MIT di Boston). È una ragnatela, non sempre facile da identificare per chi è fuori da questo mondo, che aiuta moltissimo soprattutto la ricerca medica, e che ha dato un contributo essenziale alla nascita della Facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana (USI). Nel 2023 usciranno i primi laureati in medicina a Lugano – un fatto storico... – e almeno la metà di loro è attualmente impegnata in un percorso che li ha portati a frequentare i primi tre anni (il bachelor) all’ETHZ, e gli ultimi tre (il master) all’USI, dove affronteranno poi gli esami finali, in contemporanea con tutte le altre università svizzere, per conseguire il titolo di medico. Ma i legami con la Svizzera tedesca passano anche attraverso l’Università di Basilea (da lì proviene un altro gruppo di studenti che frequentano i corsi di scienze biomediche all’USI) e, sulla base di un accordo firmato poche settimane fa, anche attraverso l’Università di Berna, che dal 2023 manderà circa 15 studenti, ogni anno, al master dell’USI (dove il bachelor non è ancora presente).
«Abbiamo un’ottima collaborazione con il Politecnico di Zurigo – conferma Giovanni Pedrazzini, decano della Facoltà di scienze biomediche dell’USI –. Due nostri docenti, Andrea Alimonti e Federica Sallusto, sono professori ordinari anche all’ETHZ. Ma anche altri docenti dell’USI collaborano con i colleghi del Politecnico, e numerosi progetti di ricerca sono stati avviati lungo l’asse Ticino-Zurigo. Dal punto di vista organizzativo/amministrativo siamo costantemente in contatto con i responsabili dell’ETHZ che si occupano del corso di laurea in medicina. A Zurigo apprezzano il modello innovativo che abbiamo introdotto nel nostro corso di laurea (molto gradito, fra l’altro, anche dagli studenti, ndr), e questo ci onora».
Non esiste ancora, invece, una struttura istituzionale per coordinare la Ricerca. «Quello che vorremmo creare (e siamo abbastanza a buon punto) – continua Pedrazzini – è una scuola di dottorato congiunta ETHZ-USI, avviando percorsi di "MD/PhD Joint Degree": un termine tecnico, forse complicato da interpretare per i non addetti ai lavori, che indica un intreccio innovativo fra il normale percorso di formazione medica e il contemporaneo avvio verso un’attività di ricerca».
Non è stato facile, in verità, vincere le resistenze, e le diffidenze, da parte delle facoltà storiche di medicina (Università di Zurigo, Berna, Basilea, Losanna e Ginevra), che per lungo tempo avevano frenato la nascita di facoltà nuove, come quella di Lugano, ma anche quelle di Lucerna e San Gallo, considerate un’impresa troppo complessa e costosa. «Il Ticino è stato un po’ il catalizzatore del "movimento" che ha portato ad aumentare l’offerta di corsi di medicina in Svizzera (per ovviare alla carenza di medici formati nella Confederazione) – spiega Alain Kaelin, direttore del Neurocentro e della Scuola di dottorato di ricerca in biomedicina dell’USI –. Quando il Ticino ha detto con forte determinazione "noi vogliamo farlo", ha contribuito a far cadere una serie di veti, e a facilitare il percorso (stabilito dal Parlamento) che, finalmente, ha portato anche le università storiche a incrementare l’offerta dei corsi di medicina. Adesso si formano, in Svizzera, circa 1’000 medici in più all’anno, rispetto a cinque anni fa».
Il Politecnico di Zurigo, che voleva entrare con forza nell’ambito biomedico, ha scelto ben presto l’USI come partner, dopo un’attenta ricerca, e la collaborazione – dicevamo – è subito partita bene e si sta rinforzando sempre di più. Più complesso e difficile, invece, il rapporto con l’Università di Berna. Ma l’arrivo del nuovo decano della Facoltà di medicina, il professor Claudio Bassetti, ha facilitato una serie di accordi di collaborazione. Proprio in questi giorni, per esempio, il "Cardiovascular Research Cluster Bern", creato dalla Scuola di dottorato di Berna, ha proposto anche all’USI di collaborare, nell’ambito di una rete svizzera di ricerca cardiovascolare. «Questo è importante – sottolinea Kaelin (che a sua volta è arrivato in Ticino dall’ospedale universitario di Berna) – perché significa che, in futuro, uno studente di Berna potrà venire da noi a seguire un corso che non esiste lì (per esempio, quello del professor Lucio Barile sulle cellule staminali del cuore), e viceversa: uno studente del Cardiocentro potrà andare a Berna, a seguire un corso nell’ambito di questa collaborazione. È un’iniziativa nuova, che è partita quest’anno».
In realtà gli "scambi" di corsi fra l’USI e la Svizzera tedesca sono già collaudati, soprattutto con l’ETHZ e con l’Università di Zurigo: si tratta di quelli che, nel gergo tecnico, vengono chiamati "Common trak and courses". Ma è attiva anche una "co-tutela", con l’Università di Zurigo (e con due università italiane: Humanitas University di Milano, e l’Università di Padova). Co-tutela significa che gli studenti svolgono una parte del progetto di dottorato di ricerca presso gli istituti partner e conseguono, alla fine, un titolo congiunto.
I collegamenti fra il Ticino e la Svizzera tedesca sono dunque in crescita, nell’ambito della ricerca di base (quella che si svolge soprattutto in laboratorio), ma ancora devono trovare una forma di coordinamento stabile. Ben diversa, e più radicata, è invece la collaborazione sul piano della ricerca clinica, quella che arriva direttamente, cioè, al letto del paziente, come si dice. «Da più di cinquant’anni – spiega l’oncologo Franco Cavalli, presidente della Fondazione IOR –, nell’ambito dei tumori esiste in Svizzera un Gruppo cooperativo nazionale, che si chiama SAKK (Gruppo Svizzero per la Ricerca Clinica sul Cancro, o Schweizerische Arbeitsgemeinschaft für Klinische Krebsforschung) e riceve un finanziamento dalla Confederazione, oltre ad altri fondi di aziende e donatori privati. Alla SAKK aderiscono tutte le strutture oncologiche svizzere che fanno ricerca ospedaliera: per quanto riguarda il Ticino, lo IOSI (Istituto oncologico della Svizzera italiana). Anzi, per meglio dire, tutti i centri oncologici devono partecipare a questa organizzazione nazionale. In tale modo i contatti fra i responsabili degli istituti oncologici svizzeri, e naturalmente anche ticinesi, sono continui. E chi si occupa, ad esempio, di tumori del colon fa parte del gruppo, all’interno della SAKK, che studia queste forme di cancro, garantendo cure omogenee e avanzate in tutti i cantoni. Sono previsti incontri mensili fra i ricercatori, e ogni sei mesi vengono organizzati anche grandi meeting in cui ci si trova tutti. Insomma, dal punto di vista della ricerca clinica la collaborazione è molto ben strutturata, intensa, vorrei dire quotidiana».
L’idea iniziale era quella di creare una sorta di grande Istituto nazionale dei tumori decentralizzato, ma non è stato possibile metterla in pratica fino in fondo. Per questo si è scelto il "modello" della SAKK. Qualcosa di simile non esiste, invece, negli altri ambiti della medicina, come la cardiologia, o la neurologia. In questi settori la collaborazione fra i ricercatoti clinici ticinesi e quelli della Svizzera interna prende le vie della ricerca di base: quindi segue percorsi legati molto spesso a contatti personali o a progetti avviati da singoli istituti, sempre con l’intento, comunque, di crescere e migliorare. C’è uno slogan del professor Kaelin che riassume bene tutto questo: Small is beautiful, but big is necessary. Quality and Flexibility. «Small is beautiful, piccolo è bello: questo è il Ticino – precisa Kaelin – però non è sufficiente. Dobbiamo pensare in grande, ma in modo assolutamente flessibile, e puntando al massimo sulla qualità».
Una rubrica a cura di Ticino Scienza per