Intervista a Giovanni Pedrazzini, decano della Facoltà di scienze biomediche, sull’importanza della ricerca per garantire cure di qualità
Una fondazione indipendente per promuovere in maniera più efficace e coordinata la ricerca clinica dell’Ente ospedaliero cantonale e dell’Università della Svizzera italiana: il nuovo strumento è stato presentato ieri in conferenza stampa durante la Giornata della ricerca in medicina umana (vedi intervista a Giovanni Pedrazzini, decano della Facoltà di scienze biomediche).
Il fondo fa parte della strategia per la ricerca 2021-2024 di Eoc e Usi e avrà lo scopo di sostenere in maniera maggiormente sistematica i progetti di ricerca clinica, nei quali l’ente ospedaliero è molto attivo. Perché, ha spiegato il direttore medico e scientifico del neurocentro Alain Kaelin, la ricerca clinica è indispensabile per una medicina di qualità, però in Svizzera non riceve finanziamenti all’interno del sistema sanitario e non esistono neanche strutture nazionali.
Da qui la necessità di un ente indipendente che non solo raccolga risorse, ma valorizzi i progetti in corso e faccia da garante con i donatori. I dettagli sul fondo, che ha già all’attivo alcuni progetti di ricerca, sono stati illustrati da Chiara Pedrazzini: un comitato avrà la responsabilità di sostenere e promuovere il fondo, mentre della valutazione scientifica si occuperà una Commissione di valutazione composta da rappresentanti delle due istituzioni.
Giovanni Pedrazzini, siamo alla decima edizione della giornata.
Questa iniziativa è nata dieci anni fa come un esperimento, un tentativo di riunire per un giorno i ricercatori attivi nei diversi ambiti della ricerca medica. Questi dieci anni combaciano con l’inizio del master in medicina umana e quindi la giornata è diventata un evento importante al quale parteciperanno oltre trecento persone, una parte in presenza e gli altri collegati online, sempre con l’obiettivo di conoscersi e confrontarsi. Uno spirito a 360 gradi che tocca la ricerca di base, prodotta da istituti come l’Istituto di ricerca in biomedicina (Irb), l’Istituto oncologico di ricerca (Ior) o l’Istituto Eulero dell’Usi e anche i gruppi di ricerca traslazionale e di ricerca clinica operativi all’interno dell’Eoc. La ricerca medica rappresenta una priorità per l’Eoc, per la facoltà di scienze biomediche dell’università e indirettamente per tutto il Ticino: si sta creando l’humus per costruire un futuro di ricerca importante.
La ricerca è una delle missioni dell’università. Per l’Eoc?
È una riflessione che è stata fatta all’interno dell’ente ospedaliero un paio di anni fa. Si sa che un ospedale che ambisce ad avere un buon livello di trattamento e a fare della formazione deve anche condurre della ricerca: la ricerca tiene il medico, il reparto in cui il medico lavora, l’ospedale in cui si opera, al fronte delle conoscenze, rappresenta un’opportunità di crescita globale. C’è quindi un aspetto sicuramente culturale ed educativo. Inoltre facendo ricerca si possono portare in Ticino ricercatori importanti, persone che credono in un futuro universitario del Ticino. L’ambizione, perché penso sia importante essere ambiziosi, è puntare nel medio termine al ‘label’ di ospedale universitario. Essere un ospedale universitario vuol dire essere attivi su tre ambiti: quello clinico, quindi la cura complessa, con la medicina altamente specializzata e multidisciplinare che il Ticino sta sviluppando in più ambiti; la formazione pre-graduata con il master, per formare i medici che andranno a lavorare negli ospedali, e la formazione post-graduata, con la possibilità anche di una specializzazione in medicina di famiglia; e la ricerca. Questi tre ambiti vanno perseguiti con la stessa determinazione, se vogliamo puntare a questo obiettivo.
In Ticino operano diverse aziende farmaceutiche. Quale spazio ha la ricerca privata?
Progressivamente si sta creando una collaborazione. È chiaro che una collaborazione non bisogna definirla solo sulla base di una volontà ma anche di una opportunità: il settore farmaceutico ha determinate aspettative; se queste corrispondono agli ambiti di interesse della ricerca la collaborazione funzionerà molto bene. È un terreno sul quale si sta costruendo una rete: è un discorso ancora in divenire, ma siamo coscienti che in Ticino c’è un’industria farmaceutica sempre più importante e c’è margine di collaborazione.
Siamo un piccolo cantone: immagino sia una priorità fare rete a livello nazionale e internazionale.
La ricerca per definizione è internazionale: tutti i ricercatori sono in contatto con la rete mondiale delle persone che lavorano in quel determinato ambito. Oltretutto oggi, e questo la pandemia lo ha mostrato bene, si lavora in modalità di “open access”: ognuno mette a disposizione i risultati raggiunti. Lo scopo della ricerca in Ticino è creare le condizioni affinché i ricercatori possano entrare in contatto con la rete internazionale. E ne abbiamo già un numero importante, di ricercatori che sono punti di riferimento, figure che parlano dal Ticino e che il resto del mondo conosce.
La pandemia come ha influito a livello di ricerca?
Ci troviamo ancora in una fase “fresca” della post-pandemia, per valutare i risultati occorrerà ancora del tempo ma di fatto quello che è successo a livello di ricerca è che le comunità scientifiche hanno deciso di collaborare, di condividere i risultati e lo hanno fatto senza limiti e a una velocità molto alta. Questo significa che tutta la comunità ha capito che si trattava di un’emergenza mondiale che ha permesso di produrre un numero immenso di dati, come forse non era mai capitato.
Questa accelerazione non ha portato a confusione?
Non credo: è chiaro che, in situazioni come queste, la confusione c’è sempre, ma è cambiato il metodo di lavoro: si fa ricerca e la si condivide. È chiaro che sta al ricercatore e al gruppo di ricerca fare in modo che i risultati abbiano un senso, ma se prendiamo in considerazione il semplice fatto che in un anno si è prodotto un vaccino – un progresso mai visto nella storia della medicina – ci rendiamo conto che i risultati ci sono.
Gli sforzi si sono concentrati sul coronavirus: ci saranno conseguenze per gli altri ambiti di ricerca?
Penso che adesso ognuno ritornerà a lavorare sui suoi temi ma quello che è importante sottolineare è che fare ricerca in un determinato ambito apre porte anche in altri settori. I ricercatori che si sono dedicati temporaneamente al Covid hanno appreso nuove competenze. Credo che queste trasversalità diventeranno la regola: il futuro della ricerca sarà sempre più basato sull’integrazione di diverse discipline e la ricerca biomedica lavorerà con informatica, robotica, intelligenza artificiale. E questo lo si potrà fare molto bene anche in Ticino, pur non avendo un numero di pazienti paragonabile a quello di grandi città o ospedali.