Tecnologia

L’efficienza 2.0 per gestire le risorse

L’Internet delle cose è una realtà sempre più diffusa. Creare delle reti per far ‘parlare’ gli oggetti è fondamentale per aprire nuovi orizzonti

E se potessimo sapere in anticipo quanta energia rinnovabile potrebbe essere prodotta in un giorno specifico?
(depositphotos)

Di sicuro non siamo ancora ai Pronipoti (i Jetsons), la fortunata serie di cartoni animati degli anni 60/70 in cui una famiglia del futuro viveva tra astronavi, bizzarre invenzioni e robot senzienti che svolgono i lavori di casa, o a film e romanzi fantascientifici più attuali, ma è comunque certo che oggi il digitale permea sempre più la nostra vita. Non solo perché in particolare grazie ad internet ne siamo diventati utilizzatori, oltre che consumatori, spesso spasmodici e compulsivi, ma anche perché ormai sempre grazie a internet questo mondo permea, o inizia a permeare, anche i nostri oggetti, che in tal modo acquisiscono una loro identità, digitale ovviamente, così da poter comunicare con altri loro simili e dunque fornire servizi supplementari agli utenti, spesso ad alto valore aggiunto.

È il cosiddetto Internet delle cose (IoT, acronimo dell’inglese Internet of Things), o degli oggetti che dir si voglia, una tecnologia che sta dando vita ad ecosistemi digitali sempre più performanti e complessi. Un paradigma tecnologico dal potenziale applicativo sconfinato che è in grado di incidere sulla competitività delle imprese, sull’efficienza delle pubbliche amministrazioni e in generale sulla qualità della nostra vita.

Dalla ricerca all’applicazione

Cesare Alippi, professore ordinario presso la Facoltà di scienze informatiche all’USI, di IoT se ne occupato e se ne occupa tuttora. Col tempo è passato a “un livello di astrazione superiore, dunque di maggior valore”, spostandosi “dall’Internet delle cose in senso stretto, dove l’intelligenza in forma primitiva è sull’unità, alla cooperazione tra più unità intelligenti, che comunicano per risolvere un problema”. Dall’individuo alla società, insomma, “dall’intelligenza individuale all’intelligenza distribuita tra varie unità senzienti”. Elementi necessari alla ricetta “una serie di sensori per acquisire delle informazioni, possibilmente degli attuatori con la capacità di rispondere ad una richiesta di servizio interagendo con l’ambiente e un algoritmo che decida quale sarà la strategia da intraprendere, la politica per il bene: a queste condizioni si parla di Internet delle cose”.

Siamo in un’università, per cui nel gruppo diretto dal prof. Alippi “l’attenzione è sempre rivolta alla ricerca di base (che prevede competenze di matematica, statistica, elettronica, informatica ecc.), la quale è fondamentale e diventa poi la leva per risolvere al meglio della tecnologia scenari applicativi molto complessi”. Va da sé che, indipendentemente da dove arriva l’input per partire (dalle aziende che richiedono uno studio all’USI per risolvere un problema o dai ricercatori stessi), “ogni volta che iniziamo una ricerca abbiamo già in mente possibili applicazioni”. In ogni caso “ogni volta che intravvediamo delle potenzialità, siamo noi che ci mettiamo in contatto con delle aziende potenzialmente interessate”, anche se può accadere che “siano loro a scoprire di cosa ci stiamo occupando e ci contattino”.

Energia calcolata al watt

Ad esempio, il prof. Alippi e il suo gruppo hanno messo a punto per la città di Arbon (TG) e la Siemens “algoritmi di predizione avanzati per conoscere la necessità energetica della città nel futuro prossimo, in modo che possa approvvigionarsi correttamente e garantire una erogazione del servizio senza problemi”. Quali i vantaggi di questo meccanismo molto sofisticato di predizione è presto detto: “Se ho la possibilità di conoscere per tempo quanto è il consumo medio di ogni edificio della comunità, mettendo in rete tutti i singoli contatori posso inferire quale sarà la necessità energetica del giorno o dei giorni successivi. C’è un’intelligenza locale, ma a noi quello che interessa è l’intelligenza complessiva dell’insieme. Più la predizione è accurata, minori saranno i costi”, sia di acquisto che di esercizio, e “i rischi di blackout”; inoltre si riduce l’impatto climatico, ossia il CO2, “perché si può sfruttare al meglio l’energia immessa sul mercato”, ad esempio, come accade in Italia, consumando per prima quella prodotta da fonti rinnovabili.


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Il flusso idrico potrà anche essere predetto (nella foto, il Cassarate di questi giorni)

Un altro progetto applicativo, questa volta elaborato in collaborazione con una grande azienda ticinese, è stato di trovare un sistema “per stabilire quanta energia fotovoltaica si riuscirà a ottenere nel giorno seguente”. Si è trattato qui di “mettere in rete vari siti di produzione distribuiti nel territorio”, incrociare i dati ottenuti con quelli meteo e infine “mettere a punto degli algoritmi che ci consentano di definire appunto quanta potenza verrà verosimilmente prodotta il giorno successivo in vari istanti temporali”. I predittori messi a punto dal team dell’USI “non si basano solo su siti di un’azienda elettrica, ma di tutte le aziende: sono correlate, c’è un legame di dipendenza che le unisce, che noi sfruttiamo per migliorare le nostre previsioni rispetto ai metodi tradizionali” non legati all’IoT.

Una forma di predizione questa molto interessante, che si rivolge soprattutto a quei mercati, come ad esempio l’Italia ma anche altri Paesi europei, dove l’energia rinnovabile è obbligatoriamente consumata per prima. “Prenda una giornata come quella di oggi (piove, ndr.)”, ci spiega Alippi. “Se io so con relativa certezza che nel pomeriggio ci saranno delle schiarite, quindi che la mia produzione di fotovoltaico salirà, e riesco anche a stabilire di quanto, ecco che posso giocare al meglio sul mercato dell’energia, che oggigiorno ha un valore economico estremamente elevato”.

Predire il futuro non è mai stato così possibile

Cambiando materia prima, “un altro progetto su cui stiamo lavorando è di predire i flussi di portata dell’acqua nel giorno o nei giorni successivi all’interno di un bacino fluviale”, bacino ovviamente che può anche essere molto ampio. “Questo serve per la distribuzione idrica, sia per valutare fenomeni di siccità o al contrario di esondazione, dunque anche il trasporto fluviale”. Lo studio è svolto a livello europeo, e i bacini di riferimento sono “uno in Turchia, uno in Finlandia, ma quello più importante è quello del Danubio. Qui i sistemi di misurazione sono circa 800”, in base ai quali tramite i soliti algoritmi “noi andiamo a predire la portata dell’acqua all’incirca per una settimana”. Ancora una volta “noi abbiamo dei sensori, ognuno dei quali avrà una sua intelligenza locale che acquisisce e gestisce le informazioni, che poi viene portata a un livello di astrazione superiore, perché noi sfruttiamo le informazioni del gruppo di sensori per migliorare le previsioni, perché in una intelligenza distribuita l’incertezza si riduce”.

Totalmente diverso è invece il progetto in corso con un’azienda ticinese e la sede di Agroscope di Cadenazzo. L’obiettivo è “identificare la popolazione di popillia japonica (il coleottero giapponese, ndr.)”, un insetto invasivo particolarmente dannoso e infestante, di cui si vuole conoscere la presenza e la propagazione sul territorio. “Gli insetti vengono attirati in speciali trappole dove dispositivi di intelligenza artificiale dapprima li distinguono tra le varie specie e poi li contano”. Ogni trappola – o cosa nell’accezione IoT – naturalmente è in rete.

Naturalmente anche la domotica (la casa intelligente) “è Internet delle cose, anche quella è una forma di intelligenza” sia pure di livello più elementare rispetto agli esempi precedenti. Per contro “quando l’IoT si sposta verso una realtà industriale, si parla di Industry 4.0”, ossia di aziende munite di sistemi di misura e attuazione con dispositivi dotati di una qualche forma di intelligenza che aiutano a risolvere problemi e ottimizzare processi produttivi. Una domotica di livello superiore.

È ancora importante definire i paletti

In estrema sintesi “l’Internet delle cose serve a gestire meglio e al meglio ogni nostra attività attraverso la messa a punto di una piattaforma sensoriale che acquisisce delle informazioni dall’ambiente, qualunque esso sia e che, contestualmente, ha la possibilità di interagire con l’ambiente medesimo. I livelli di intelligenza dati, eventualmente centralizzati, danno un valore ulteriore al bene e al servizio”.

È ipotizzabile quindi che si vada – come già sperimentiamo – verso una società nella quale “i sensori troveranno sempre più spazio (si pensi al nostro cellulare o all’autoveicolo), per cui si potranno offrire servizi molto più evoluti che consentiranno di ottimizzare le nostre attività e gestire al meglio le risorse disponibili. Le ipotesi applicative in questo senso possono essere “infinite”. Quanto poi questa forma di intelligenza sarà sempre più autonoma e di conseguenza invasiva nella vita quotidiana delle persone, credo che questo dipenda anche se, non soprattutto, da noi e dagli enti regolatori”, ossia dalla politica.

Non per nulla nei mesi scorsi l’UE ha messo a punto la prima legge al mondo sull’Intelligenza artificiale (IA). Perché oltre l’Internet delle cose c’è appunto l’IA. Ma questo è un altro, lungo e ancor più complesso discorso.

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