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Intel: 'Alle misure di laboratorio noi preferiamo la realtà'

Intervista a Paolo Canepa, portavoce della multinazionale americana 'scaricata' da Apple in favore di Arm. La replica tecnologica? Si chiama 'Evo'

Un circuito stampato dei nuovi processori Hybrid Technology di Intel (Foto Intel)
16 dicembre 2020
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Mentre il mondo di Apple inizia a conoscere i primi tre computer con il nuovo processore M1, quello dei Pc prova a riassestarsi. Con la sua scelta di scaricare Intel a favore di un proprio chip basato su tecnologia Arm, Cupertino ha promesso più velocità, computer che si accendono istantaneamente, più leggerezza e, soprattutto, una batteria che dura molto di più. Sulla carta i paragoni con i computer che montano processori ideati a Santa Clara (compresi quelli della stessa Apple non ancora convertiti) sono impietosi; per quelli del mondo reale si vedrà. Certo è che, come scrivevamo l’11 novembre scorso, con la sua scelta l’azienda di Tim Cook potrebbe aver dato una spinta decisiva a una tendenza, favorendo il passaggio ad Arm già timidamente in corso anche nel mondo Windows. Di sicuro ha messo l’asticella bella in alto per tutti gli altri computer in termini di reattività e consumi bassi.

Uno standard che andrà in qualche modo pareggiato dai produttori di Pc, che non sembrano avere nessuna intenzione di abbandonare davvero Intel. Esperimenti sono comunque in corso, con la stessa Microsoft – produttrice di Windows – che è già alla seconda generazione del proprio ultrabook basato su Arm. Insomma, quel chip nato negli anni Ottanta con l’idea di privilegiare l’efficienza rispetto alla potenza, sembrerebbe essere arrivato a impensierire persino i big come Intel e Amd, sfruttando proprio le sue caratteristiche che lo hanno reso la scelta principale per tutta l’elettronica che dipende dalle batterie.

«La competizione è sempre positiva», ci tiene subito a dire Paolo Canepa, partner sales account manager di Intel, cui ci siamo rivolti chiedendo se non sono preoccupati che la mossa di Apple possa dare il via a una tendenza più generalizzata. «La concorrenza fa sì che ogni azienda si impegni a tirar fuori il meglio per i propri clienti commerciali, ma – soprattutto – renda sempre migliore l’esperienza per gli utenti finali». Detto questo «Intel ha avuto una crescita incredibile della domanda negli ultimi anni». E la “risposta” all’M1 è già arrivata. «In realtà era già in fase di sviluppo da anni – precisa Canepa –. Ogni volta che si esce con una nuova microarchitettura dietro ci sono anni di sviluppo, per cui non è corretto parlare di una risposta alla decisione di altri, ma di una roadmap già definita». Il riferimento è al programma di innovazione avviato qualche anno fa con il nome in codice “Project Athena” (ora “Evo”), che punta a realizzare pc Windows o Chromebook con durate elevate di batteria e con tempi di avvio fulminei (sotto il secondo). Si tratta di una serie di specifiche relative all’esperienza dell’utente che i produttori di Pc basati su tecnologia Intel devono rispettare. Tra queste una durata di batteria non inferiore alle 9 ore di utilizzo, l’accensione in meno di un secondo e la possibilità di avere almeno 4 ore di batteria con solo mezz’ora di ricarica. Il tutto con al cuore un processore “Intel Core” di undicesima generazione. «C’è persino la riduzione hardware del rumore di fondo nelle videoconferenze e la correzione delle immagini tramite intelligenza artificiale», precisa Canepa, aggiungendo che l’obiettivo delle direttive “Intel Evo” non è quello di eccellere nei test di laboratorio, ma di farlo nella realtà dell’uso quotidiano, «dando all’utente un vero vantaggio percepito.

Per i dispositivi ultrasottili e a basso consumo sono stati presentati i nuovi processori “ibridi” denominati “Lakefield”: quadratini di soli 12 millimetri per lato, capaci di consumare 2,5 milliwatt quando a riposo e in cui sono state impacchettate numerose tecnologie, in modo analogo a quanto proposto da Apple con M1. Si tratta del processore più piccolo prodotto dalla multinazionale di Santa Clara, che viene abbinato a una scheda poco più grande di un attuale smartphone.

“Lakefield”, realizzato con una innovativa tecnologia a più “strati”, è un cosiddetto ‘system on a chip’ (poco meno di un intero computer concentrato in un solo circuito integrato) e comprende nuclei di calcolo capaci di attivarsi quando sono richieste grandi prestazioni e nuclei che consumano poca energia per le applicazioni basilari, così come una scheda grafica e numerosi servizi, dai controller Usb e Thunderbolt 4 fino all’intelligenza artificiale.

D’accordo – commentiamo –, ma è anche vero che fino a ‘Evo’ e fino a ‘Lakefield’, Intel, dall’alto della sua posizione di leader di mercato (con nel proprio paniere Pc e Mac), pareva essere rimasta indietro sulla questione dell’efficienza dei propri processori. O, quanto meno, di non avere spinto con decisione sull’acceleratore per vincere la sfida dei bassi consumi. Tanto da spingere alcuni produttori a cercare nel mondo Arm...

A essere onesti, Intel è da sempre tra i principali promotori di innovazioni nel mondo della mobilità, essendo anche la prima azienda a studiare una struttura per la portabilità e la connettività mobile studiata a tavolino. Ai tempi diversi costruttori di computer portatili, per vendere e risparmiare al contempo, montavano sulle proprie macchine componenti destinate ai computer fissi, dovendo quindi raffreddarle con dissipatori di grandi dimensioni e alimentarle con grosse batterie. Ne risultavano dei portatili pesantissimi e ingombranti. Per migliorare la situazione, creammo la piattaforma ‘Centrino’, che imponeva ai costruttori l’uso del processore Pentium M – pensato per la mobilità –, l’inserimento di un chip per la connettività WiFi e fissava delle dimensioni massime per il portatile. Ci siamo ripetuti con la spinta verso gli ultrabook qualche anno dopo e con le memorie ‘Optane’, in grado di salvare le applicazioni più utilizzate in una parte di memoria molto veloce e persistente. Insomma, alla Intel non facciamo solo processori, ma lavoriamo costantemente su tutta l’architettura informatica in modo da eliminare i colli di bottiglia e dare la migliore esperienza possibile agli utilizzatori finali.

Certo che Apple quando si muove è in grado di cambiare le tendenze. E Apple ha deciso di lasciare Intel per passare ad Arm... Ritorniamo alla domanda iniziale: vi preoccupa?

Qualunque tendenza non va certo sottostimata. Tuttavia siamo consapevoli e convinti del nostro percorso di sviluppo tecnologico, che peraltro continuiamo ad aggiornare. Siamo anche estremamente convinti nel favorire un ambiente tecnologico aperto (in contrapposizione a quello “chiuso” dell’ecosistema Apple, ndr). Noi (come pure Amd, ndr) sviluppiamo processori per tutti gli usi: non è un progetto dedicato a un singolo sistema operativo (MacOs, ndr), ma per molti. È poi il nostro cliente a ottimizzarne le caratteristiche in base alle necessità.

Eppure le differenze tra i processori di Intel e quelli su base Arm per quanto riguarda i consumi sono evidenti. Di sicuro sulla carta: decine di watt per i vostri, qualche watt per quelli di Arm. Perché non si è potuto fare di meglio visto la vostra storia di ricerca e innovazione?

Abbiamo prodotti anche per consumi bassissimi. A ogni modo, non bisogna guardare solo ai watt (espressi dal thermal design power) per stimare i consumi di un’architettura, ma anche a quanto un processore è veloce a completare un compito per poi tornare a uno stato di riposo (e quindi di consumi infimi di energia). Il livello di potenza massima di elaborazione, espresso in watt, dice quindi poco o nulla sul consumo effettivo, perché riuscire a elaborare più velocemente (anche se con più consumo di energia di picco) può permettere di ridurre i consumi totali. E se guardiamo alla durata della batteria, già oggi in commercio ci sono portatili che superano di gran lunga una giornata lavorativa.

D’accordo, ma – scusi l’insistenza – per anni a parte della comunità informatica è sembrato che Intel si fosse un po’ adagiata sui suoi successi, senza spingere troppo sui bassi consumi e perdendo un po’ il treno nel passaggio dalla stampa a 14 nanometri a quella a 10 nanometri. Nel frattempo la concorrenza – Amd, prima, e Arm, adesso – hanno... ripreso vigore.

Siamo un’azienda di ingegneri che innova senza sosta, e quando avevamo un prodotto completo e pronto, lo abbiamo subito messo sul mercato migliorando ogni anno la nostra offerta. Anche negli anni passati (con l’aumento della pressione da parte soprattutto di Amd, ndr) abbiamo continuato a migliorarci. Indipendentemente da quanto facevano gli altri. Per noi è centrale portare un vantaggio reale agli utenti finali e ai clienti, fornendo un’esperienza impareggiabile, per cui abbiamo introdotto miglioramenti nell’intera piattaforma Pc, dal processore alle memorie e fino al software e alla connettività. Le nuove componenti devono funzionare bene assieme ed essere tutte aggiornate. L’unico ritardo che abbiamo effettivamente avuto e comunicato è stato nella transizione ai 10 nanometri: nel passaggio tra i processi produttivi, il nostro obiettivo di aumento della densità di transistor si è rivelato troppo ambizioso. Oggi tuttavia operiamo a pieno regime con tre fabbriche di proprietà, dove la produzione è stata aumentata del 25 per cento per riuscire a fornire in modo rapido i nostri prodotti.

La tecnologia

Le risposte si chiamano ‘Evo’ e ‘Lakefield’

È la risposta tecnologica di Intel alle promesse di efficenza e reattività dei processori Silicon di Apple. Ma la verità è che era in agenda da qualche tempo. Si chiama ‘Evo’ ed è una serie di requisiti per computer portatili che impone ai costruttori, oltre all’uso dell’11esima generazione di processori Intel con il nuovo chip grafico Iris X, anche una serie di chiari requisiti, tra cui almeno 9 ore di utilizzo reale del computer per ogni carica e accensione istantanea del computer (sotto il secondo).

A competere con l’M1 sono poi arrivati i nuovi processori ibridi, che rappresentano un significativo balzo in avanti per Intel. I nuovi circuiti integrati sono più piccoli del 56% (il chip è un quadrato di 12 millimetri di lato e 1 millimetro di spessore), consumano fino al 24% in meno, aumentano di quasi due volte le prestazioni grafiche e permettono di ridurre le schede madri alle dimensioni di una memoria di lavoro. Si tratta anche del primo, nuovo, system on a chip di Intel, che – su quattro piani – integra un nucleo di calcolo ‘Sunny Cove’ ad alte prestazioni e quattro nuclei ad alta efficienza energetica della famiglia ‘Tremont’, grafica, Uhd, intelligenza artificiale e sistemi di connettività varia come WiFi 6, Lte e Thunderbolt 4. Il nuovo chip funziona a 7 watt a pieno regime, mentre in stato di riposo richiede solo 2,5 milliwatt. Gli ultimi due strati del chip sono dedicati alle memorie di lavoro, che non dovranno quindi più essere aggiunte separatamente.

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