Ricercatrici losannesi dimostrano che il gioco ‘aiuta a non far riaffiorare e consolidare nella memoria le immagini traumatiche dei flashback del parto’
Ricercatrici dell’Ospedale universitario (Chuv) e dell’Università di Losanna (Unil) hanno sviluppato un’attività terapeutica di breve durata che fa capo al gioco del Tetris per ridurre i sintomi della sindrome da stress post-traumatico legato al parto. Il disturbo colpisce dal 4 al 6% delle madri ed è caratterizzato da flashback, sensazioni dolorose o immagini che ritornano spontaneamente alla mente, come ad esempio la visione del bambino inerte dopo la nascita. Questi frammenti di ricordi possono perturbare parecchio la vita quotidiana. Attualmente, esistono pochi rimedi e di solito richiedono ripetuti appuntamenti con un terapeuta.
Le ricercatrici losannesi hanno esplorato una nuova strada, concentrandosi sui meccanismi di riconsolidamento della memoria, che permettono di lavorare sull’esperienza traumatica di un evento. L’attività terapeutica, di circa un’ora, è stata proposta a 18 donne che soffrono di flashback regolari e che hanno partorito in media da due anni. Comportava un breve resoconto del parto seguito da una sessione di Tetris. “Crediamo che un compito visivo-spaziale come il Tetris aiuti a fare in modo che le immagini traumatiche dei flashback non vengano riconsolidate nella memoria e non riaffiorino in modo inopportuno nella mente”, spiegano Antje Horsch e Camille Deforges del team di ricerca. I risultati di questo studio pilota, pubblicato nel Journal of Affective Disorders, mostrano che i flashback legati al parto sono diminuiti dell’82% dopo la terapia, e che nel complesso i sintomi della sindrome sono diminuiti del 57%. La ricerca suggerisce che una singola attività compiuta in un solo appuntamento potrebbe essere efficace nel sostenere le donne colpite. Più in generale, potrebbe essere utile per chiunque abbia vissuto un evento traumatico e soffra di flashback.
Il finanziamento del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS) dovrebbe permettere alla professoressa Horsch di testare questo metodo in uno studio clinico più ampio, conclude la nota.