“Da quando c’è stato il cambio della presidenza del Plr ho dovuto mio malgrado constatare che sembrava non si perdesse occasione per rendere più difficile il mio operato. Quasi si facesse maldestramente apposta”. Per comprendere lo stato d’animo di Laura Sadis confrontata con l’invito della società civile (400 cittadini le hanno chiesto di ricandidarsi), si dovrebbe tornare a rileggere le dichiarazioni della consigliera di Stato liberale radicale pronunciate durante lo scorso 18 maggio. Nella medesima occasione, Sadis precisò: “Mi sono ritrovata molto sola a difendere decisioni governative e parlamentari”. Annuncia la sua non ricandidatura alle elezioni 2015 e lo fa senza aver avvisato i vertici del partito. Quei vertici che cita all’inizio. Quel presidente del Plr che sin dalla sua elezione le gioca contro pubblicamente, spaccando di fatto il fronte liberale radicale e, peggio, alleandosi con chi – nella più totale inaffidabilità – dileggia Sadis ogni domenica. Con l’incomprensibile silenzio, va detto, di tutti coloro che non avrebbero dovuto starci (radicali in testa). È questo il contesto in cui ha lavorato per tre anni e mezzo la ‘ministra’ del Dfe, dipartimento che fra l’altro ha proposto e ottenuto consensi su non poche riforme davvero necessarie (evitando di cavalcare la demagogia leghista). Unica liberale radicale in Consiglio di Stato – dopo la disastrosa tattica del 2011 sfociata in una lista debolissima e generatrice di laceranti divisioni – qualsiasi partito se la sarebbe ‘coccolata’ e protetta, se non altro per salvaguardare la base di ripartenza in vista della prossima occasione. L’attuale vertice del Plr (che, andrebbe ricordato, è stato eletto dal congresso con pochissimi voti di scarto dal secondo in lizza), invece, ha pensato bene di azzoppare la gallina dalle uova d’oro. Quali siano i motivi, a tutt’oggi sfugge. La situazione si è così presentata con un’importante parte del Paese che chiede a Sadis di ripensarci e il vertice del Plr che non ci pensa proprio. Per tenere unito il partito, naturalmente. Ma a chi serve un Partito liberale radicale unito sulle attuali posizioni? Vogliamo ricordarle? Meno Stato, con meno servizi per tutti e più tagli alla spesa, anzi, revisione drastica delle prerogative pubbliche, maggior selezione nella scuola dell’obbligo, maggior sicurezza dei cittadini, identificazione dei lavoratori frontalieri come la causa di tutti i mali ticinesi. Temi e concetti estrapolati dal programma elettorale approvato recentemente a Lugano con pochissime voci dissenzienti. Cosa distingue i liberali radicali ticinesi di oggi dai democentristi? Dov’è finita l’anima sociale, pubblica e interclassista del partito? Senza Sadis in lista per il governo e, in particolare, senza una quadratura del cerchio capace di riportare il partito là dove s’è ispirato (e ha fatto del Plr il padre della Patria), i liberali radicali ticinesi corrono ora il rischio di ridursi alle percentuali nazionali. Perché il Paese – superata la sbornia leghista – prima o poi ripartirà verso una modernità che non può gettare in soffitta l’integrazione e la gestione dei conflitti interculturali, ma anche sociali. Chi saprà meglio interpretare il cambiamento, sarà la nuova forza egemone.