Doveva de-nazificare l’Ucraina, ma i suoi metodi non sono così diversi da quelli nazisti
Con un blitz e una parata voleva riportare l’Ucraina nelle braccia della madre Russia ("di cui fa storicamente parte"), e invece la massacra come mai prima. Con un programma allucinante si proponeva di "denazificare" il paese fratello e invece i metodi nazisti entrano ancor più nei metodi di un Cremlino vendicativo a causa delle sconfitte sul terreno militare. Con un parallelismo illogico e improponibile, definisce ‘terroristico’ l’attacco al ponte di Kerch (che unisce l’annessa Crimea alla terraferma) mentre non sarebbe ‘terroristico’ ciò che è avvenuto ieri: una pioggia di missili che si è abbattuta su Kiev – dopo parecchie settimane di relativa ‘tregua’ per la capitale – e diverse altre città, con centinaia di morti e feriti. Metteteli in fila, e sarà una fila assai più lunga dello squarcio provocato dall’attacco ucraino al ‘Ponte di Putin’. Tante vite ‘valgono’, a Mosca, quei pochi metri di macerie.
I due ordigni fatti brillare in un punto dei 19 chilometri della struttura – fondamentale per la logistica dell’esercito russo, trasporto di tank, armi, uomini – non hanno provocato vittime, non c’è stato un solo ferito o un morto, il traffico stradale è stato ripristinato in poche ore, e si trattava di un legittimo bersaglio militare, oltre che altamente simbolico. No, la rappresaglia del Cremlino doveva essere ben altra cosa, doveva essere di diversa intensità, atrocità e significato: colpire unicamente i civili, prendere di mira, e sventrarne i palazzi residenziali, circa una decina di città, distribuire terrore a piene mani e non solo – come ‘ufficialmente’ avvenuto finora – cercare obiettivi e bersagli che, anche se in modo assai approssimativo, sono legati a centri militari e logistici del nemico.
Mentre al di qua della cortina d’acciaio crescono preoccupazioni e timori per una "Armageddon" nucleare ("siamo disposti a tutto, e non sto bluffando", ha minacciato il ‘boss’ russo) a Mosca è stato scientemente deciso che siano gli innocenti, donne bambini anziani soprattutto, e non i militari ucraini, che stanno avanzando e riconquistando terreno nel ‘sacro Donbass’, a finire nel mirino dei missili a lunga gittata, che si pretende Kiev non debba invece possedere. In quasi otto mesi di guerra, non ci sono stati civili russi uccisi (salvo, ed è un morto di troppo, la figlia e collaboratrice del filosofo Dugin, il vate di una Russia nazional-bolscevica-imperiale che muova guerra ‘all’Occidente’, il ‘demoniaco Occidente globale’); tra gli oltre quaranta milioni di ucraini sono invece loro, i civili, a essere le principali vittime del fuoco nemico, vittime anche di esecuzioni sommarie, torture e stupri.
Ieri, soltanto sulla capitale, sono stati lanciati oltre settanta missili: in gran parte intercettati e neutralizzati in volo dai sistemi antimissile ucraini (anche quelli, secondo il Cremlino, Stati Uniti e alleati non dovrebbero garantirli a Zelensky), ma una ventina sono riusciti a perforare lo scudo difensivo, ed è stata strage. Si comprende benissimo come l’inferno scatenato da Vladimir Putin abbia più destinatari, è un messaggio che deve arrivare a orecchie e menti e paure che non sono solo quelle dei civili massacrati e terrorizzati.
Il messaggio putiniano, cioè, non è rivolto solo a loro. A chi altro? Primo: a chiunque, in Occidente, si fosse ‘illuso’ (non noi) che la Russia sia già militarmente al tappeto. Secondo: all’Alleanza euro-statunitense, che deve ficcarsi in testa che lo ‘zar’ è davvero "disposto a tutto". Terzo: alla sua opinione pubblica interna – che comincia a dubitare, quando non può espatriare per evitare reclutamento e invio al fronte (meno del trenta per cento dei russi possiede un passaporto per recarsi all’estero) – per ‘tranquillizzarla’ sulla forza militare della nazione. Quarto: ai ‘falchi’ (tacitamente alleati e forse ispiratori del feroce ceceno Kadyrov, e di Prigozin, fondatore dei mercenari ‘macellai’ della Wagner di estrema destra, finanziata dal Cremilino) che da tempo chiedono a Putin di usare metodi più efficaci, più duri, più risoluti, compreso il ricorso alla bomba tattica nucleare: come ha ‘suggerito’ Kadyrov, prima definito ‘troppo emotivo’ ma subito dopo promosso generale-colonnello con tanto di cerimonia al Cremlino e di nuove medaglie appuntategli al petto da Putin in persona.
Si ipotizza da settimane uno scontro nel sottobosco del Cremlino, fra una e l’altra torre dell’edificio simbolo del potere centrale sulla Piazza Rossa, torri che ospitano una gli uffici dell’esercito e l’altra i vertici dei servizi segreti: con questi ultimi che vorrebbero mettere a tacere il più possibile i militari, far fuori il ministro della difesa amico di Putin, eliminare i generali incapaci ma anche quelli soltanto dubbiosi su tattica e strategia imposta dal capo, non lasciar campo a ipotesi di trattative con nemici (soprattutto Usa) e probabilmente anche pacifisti, tanto più in una fase di indiscutibile debolezza sul terreno del conflitto. Ed eventualmente, nei labirinti del Palazzo, scatenare la guerra intestina di successione.
Così: bersagli mancati, frustrazione, orgoglio ferito, timori per la sopravvivenza politica (e non solo politica) di Putin da una parte, e dall’altra lotte intestine e interrogativi di una componente minoritaria ma non così piccola e irrilevante dei cittadini russi, si intrecciano e accendono la miccia della feroce e sanguinosa rappresaglia. Del tutto coerente, del resto, con l’inaugurazione della nuova guida dell’Armata, quel generale Sergei Surovikin noto per essere stato il pianificatore dei bombardamenti sulle città siriane in rivolta contro il dittatore Assad, alleato di Mosca. Terrore piovuto dal cielo medio-orientale su abitazioni, scuole e anche ospedali. Il ‘modello siriano’ della terra bruciata e delle ‘città morte’, applicato ora all’Ucraina.
Altro non resta – se non la minaccia del fuoco atomico – a un esercito russo che in una manciata di mesi ha perso in Ucraina fra i 50 e i 60mila soldati, mentre il prezzo per i russi in dieci anni di occupazione militare dell’Afghanistan fu di 13mila morti. Non cominciò forse allora l’inizio del collasso dell’Urss? Un pensieraccio, un monito perenne, un ricorrente fantasma, per Vladimir Putin.
Articolo pubblicato in collaborazione con naufraghi.ch