Che la pensione di Federer sia ormai prossima lo conferma lui stesso lanciando indizi, quasi a volerci preparare all'inevitabile. Ma forse non è immiente
La parole hanno sempre un significato, il modo in cui ci si esprime è sempre indicativo di uno stato d’animo, di un pensiero. Roger Federer, rispettoso, giudizioso, sicuramente non esuberante a livello di dichiarazioni, bensì chiaro e piuttosto diretto, si è augurato che l’anno prossimo possa annoverare anche lui tra i protagonisti, lasciando intendere che se non dovesse essere il caso «non c’è modo più bello di uscire di scena che con il riconoscimento di “miglior sportivo degli ultimi 70 anni”» attribuitogli domenica sera. Parole colme di significato (qualche anticipazione già circolava sui suoi canali social) che assumono una valenza speciale, proprio perché proferite da uno che le sa pesare. Ne consegue che stavolta è lecito che i dubbi sorgano. Gli interrogativi nascono spontanei, il cui tenore è più o meno questo: vuoi vedere che si ritira? Brutti pensieri. Perché brutti? Perché di Federer non se ne può far a meno, pur dovendo mettere in conto che presto accadrà.
Non è uno che le spara, per intenderci, né gli è mai piaciuto che si speculasse troppo circa il suo ritiro, sicuramente prossimo, magari non imminente, chissà. Stavolta, però, il sasso nello stagno lo ha gettato. Inevitabilmente l’onda si propaga, spinta dal “dico e non dico”, benzina per le interpretazioni più libere. Anche per qualche illazione che fa parte del gioco,
Troppe ne ha già sentite, la prima volta più o meno dodici anni fa (ai primi accenni di crepe nella corazza dell'invincibilità che per un po’ lo aveva accompagnato a 25 e 26 anni), per alimentare un dibattito involontariamente. Segno che la sua prospettiva è davvero mutata, circa la fine della carriera, argomento che a più riprese è stato sollevato da qualche solerte analista esperto (?) del settore, generando in lui una sorta di fastidio, peraltro molto mal celato.
Non può non essere un tema, la fine della corsa, proprio alla luce del contenuto delle due dichiarazioni a margine dell'ennesima premiazione che lo ha visto protagonista, quella suddetta del miglior sportivo degli ultimi 70 anni, un riconoscimento al quale la sua magnificenza di campione trasversale ha tolto un po’ di significato: che fosse lui, il prescelto, era scontatissimo. Un atto dovuto a chi lo sport elvetico - e mondiale - ha segnato per sempre. Chi se non lui?
Che si discuta del suo ritiro, quindi, è inevitabile. Che lui stesso abbia aperto le porte all’eventualità, pur non ponendola come la priorità che sembrerebbe ancora dare al rientro alle competizioni (i tempi, però, sono sconosciuti…) è quantomeno indicativo di un Roger che ci sta seriamente pensando. Come del resto è giusto che sia. Vuoi per gli interventi al ginocchio dai quali ha ammesso di non aver ancora recuperato come avrebbe voluto; vuoi per la banalissima e traditrice anagrafe che tra nove mesi lo consegnerà alla realtà non più verdissima degli “anta”, quando poi tutto corre molto più velocemente. Vuoi anche per l'emergenza sanitaria che ha scombussolato il mondo, e con esso lo sport, e quindi anche il tennis, la cui ripartenza non è definita. Il cui futuro è oggetto di analisi e valutazioni, con l’incertezza quale unico denominatore comune.
Ha davvero ancora voglia di rimettersi in gioco in un contesto condizionato dal virus, in un tennis che non è più il suo, in quanto monco e privato dei tifosi che sono parte della sua carriera di sportivo di altissimo livello? Per quanto ci possiamo sforzare per sfuggire al realismo che si impone, non possiamo che ammettere che purtroppo non mancano le ragioni che inducono a propendere per una risposta negativa al quesito di cui sopra.
Benché il pensiero sia nella sua testa ormai da tempo - lo ha del resto ammesso in tempi non sospetti di aver individuato la parete nella quale martellare il chiodo per appenderci la racchetta - c’è però ancora qualche argomento a sostegno della tesi di un rientro, di un crepuscolo a tappe, concedendosi qualche puntatina qua e là, nei luoghi più rappresentativi in cui per anni ha deliziato la platea adorante. È pur sempre (diventato) anno olimpico, il 2021: perché non provarci un’ultima volta a vincere l’oro?
Che non debba più dimostrare niente è palese. Di più, è fin irriverente ricordarlo. Che però abbia, lui, ancora voglia di dimostrare qualcosa, soprattutto a se stesso, anche questo è un appiglio sicuro, e non solo per quelli innamorati di lui che non si capacitano all’idea di un addio. Per quel moto d'orgoglio e di amore per la sua disciplina che lo hanno ancora tenuto lì quando solitamente ci si gode la pensione, che gli hanno permesso di vincere ancora quando vincere normalmente dovrebbe spettare ad altri. Per non uscire di scena da tennista convalescente al quale è stata negata la possibilità di un’ultima passerella, un ultimo e definitivo inchino, magari dopo aver vinto una partita, un torneo. Meglio ancora, ancorché improbabile, uno Slam. Se fosse Wimbledon, pensate che meraviglia, sul suo addio dopo la finale ci scommetterei il suo patrimonio, se fosse mio...
Un teorema, due tesi. Stessimo parlando di matematica, potremmo anche scervellarci alla ricerca di una soluzione razionale. Ma è tennis, anzi è vita. Materia decisamente più empirica, complicata da decifrare. Non ci resta che affidarla al tempo, la soluzione. Consapevoli - pessimisti, illusi, realisti o speranzosi poco importa - che il ritiro è un tema. Chi fa più fatica a digerirlo, inizi pure a farsene una ragione (fatemi spazio, grazie, mi metto anch’io tra voi). Così, forse, farà meno male quando succederà.