Frena l'ascesa dell'ultradestra di Salvini, d'accordo. Ma per funzionare deve conciliare due anime diversissime
Non sarebbe stato meglio andare a votare? La risposta a questa domanda dipende parecchio da come si valuta la ‘minaccia’ leghista, e da quello che ci si può aspettare da un governo giallorosso.
In caso di elezioni anticipate sarebbe stato assai probabile un governo Salvini, con tutte le preoccupazioni del caso: basti ricordare l’agire livoroso contro i migranti, i diversi, gli avversari politici; la scarsa propensione al rispetto delle regole costituzionali, sacrificate alla conquista dei ‘pieni poteri’ via social (e resa ancora più minacciosa dalla possibilità di scegliersi il prossimo presidente della Repubblica); il bigottismo spacciato per religiosità; l’antieuropeismo ringhiante e sproporzionato al reale potere negoziale del paese. Un governo così può farne parecchi, di disastri.
Per evitarli, però, l’alternativa M5S-Pd deve davvero reggere fino a fine legislatura: evitare il deterioramento economico a breve e medio termine, blindare la scelta del presidente, eventualmente adottare una (discutibile) riforma proporzionale che freni l’ascesa della Lega. E sperare magari in qualche scandalo in odor di Russia che travolga Salvini. Se invece l’alleanza dovesse inciampare in pochi mesi, ecco che si tornerebbe alle urne con un Salvini ulteriormente rafforzato dallo statuto di povera vittima dei ‘giochi di potere’.
E così l’Italia farebbe un altro giro sulla spirale che percorre da almeno un decennio: vince la destra, fa danni, è sostituita da un centrosinistra che non vince un’elezione dal 2006 ed è scelto dal Quirinale solo per raccogliere i cocci; poi si torna al voto, e un paese sempre più esasperato e diviso si sceglie una destra ancora più aggressiva.
La scommessa è di quelle difficili. Anche perché i grillini hanno poco in comune con un pur suonatissimo Pd: il recente trasformismo del M5S non cancella i vecchi afflati putiniani, maduristi, anti-Tav e anti-Vax, il brutale giustizialismo, la convinzione di poter sostituire gli equilibri costituzionali coi plebisciti digitali. In più c'è un Pd diviso al suo interno, addirittura col rischio di una scissione fra renziani e zingarettiani. Poi magari andrà tutto bene (speriamo). Ma è una strada in salita.