L'analisi

Cosa succederà dopo il ‘golpe da bagnasciuga’?

Giuseppe Conte per la prima volta è sembrato un vero premier, davanti al suo antagonista Salvini che assume le sembianze di un Giuda

Keystone
21 agosto 2019
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Lui Giuseppe Conte, l’anonimo presidente del Consiglio risorto dalle ceneri, assurto alla popolarità proprio al suo tramonto, quando messo alle corde da ministro degli Interni getta la spugna. Lui che a Palazzo Madama scalda i muscoli dell’oratoria e finalmente ci offre un discorso da statista. Lui l’anti Salvini che attacca a testa bassa. Per dire che rassegna le dimissioni. Giuseppe Conte sembra per la prima volta un vero premier. Denuncia seppur tardivamente lo scandalo dei rubli finiti nelle casse della Lega, stigmatizza l’uso politico del rosario brandito da parte del suo antagonista che assume ormai le sembianze di un Giuda, “opportunista e sleale”.

E Giuda è frastornato: un pugile suonato che barcolla e non riesce neppure a trovare subito la poltrona sulla quale sedersi. Si schermisce invocando il cuore immacolato di Maria. Il leader ganassa, in odor di razzismo che sugli “zingaracci” o sui “rifugiati col Rolex” ha costruito la propria fama e che chiedeva i “pieni poteri” ed evocava la piazza, perde per qualche istante la baldanza.

Forse l’ha fatta grossa decretando la fine dell’alleanza giallo-verde. Anche se – è una certezza – nulla è certo anche perché sulle spiagge è stato osannato dalla folla quasi fosse la Madonna pellegrina. I miracoli del populismo e della comunicazione al tempo di Twitter e dell’antipolitica. Ripete come un mantra, “je ne regrette rien”, ma non convince. “Rifarei tutto da capo”, sentenzia. Il suo j’accuse contro la politica dei no, urlato, però è da operetta, di stampo balneare, proclamato tra maliarde cosce, pance gonfie di birra e qualche bicipite palestrato dalla tribuna del Papeete, il beach club romagnolo protagonista di quest’estate del populismo più rozzo.

Per Conte, Salvini ha anteposto i suoi interessi elettoralistici (leggasi: sondaggi) all’interesse del Paese. L’analisi comunque non fa una piega. Così in Italia si declina da anni la politica. Nel 2013 il settimanale britannico The Economist titolava ‘Send in the clown’, che entrino i pagliacci: sotto campeggiavano due protagonisti, Beppe Grillo e Silvio Berlusconi.

Il circo si è arricchito di nuovi protagonisti. I 5 Stelle scoprono che Conte “è una perla rara” mentre il loro presidente della Commissione parlamentare antimafia ricorda che ostentare il rosario in Calabria è un messaggio ’ndranghetista. Denuncia un po’ tardiva per essere credibile. Il Pd, campione indiscusso di lacerazioni interne, diviso tra Matteo Renzi (favorevole a un nuovo governo con i 5 Stelle) e Nicola Zingaretti (tentato da elezioni anticipate), concede l’onore delle armi al premier uscente. Rimanda all’indomani il leninistico “che fare”.

Il toto scommesse è immediatamente scattato: elezioni in ottobre, come vorrebbero la Lega, forte dei sondaggi, il centro destra e una parte del Pd? Non se ne parla per Beppe Grillo e i 5 Stelle, consapevoli che la loro maggioranza parlamentare potrebbe evaporare dopo 14 mesi confusi e cacofonici al governo. Un Conte bis sempre giallo-verde? Improbabile: al senato dal cilindro il presidente del Consiglio ha estratto improvvisamente un europeismo e un pragmatismo finanziario inediti. In contrasto con i due disordinati populismi che lo hanno fin qui supportato.

Messaggio chiaro. In ballo un rilancio economico e i conti da presentare a Bruxelles. Un’alleanza giallo-rossa che cancelli di colpo anni di veleno distillato regolarmente dal Pd ai pentastellati e viceversa? Un esecutivo istituzionale del presidente? Caduto il governo rimangono solo tanti punti interrogativi. O meglio un’unica quadratura del cerchio. Che il premier uscente consegna ora, lassù al colle del Quirinale, a Sergio Mattarella.