Apprendisti sottopagati, non seguiti, vittime di nonnismo: i meccanismi di controllo ci sono, ma in questi tempi ‘ristretti’ non arrivano ovunque
A ogni tappa evolutiva, nel percorso scolastico dei bambini – affermano gli esperti in pedagogia steineriana –, corrisponde un determinato contenuto didattico. Così, per esempio, in terza Elementare, nel momento del cosiddetto “passaggio del Rubicone”, quando nei piccoli la vita interiore acquisisce maggiore spessore e indipendenza, si va dalla scrittura in stampatello a quella più personale in corsivo. Oppure in quinta classe, quella che nelle scuole Waldorf viene definita “l’età dell’oro”, età portatrice di ordine e armonia, si introducono la storia e la mitologia greca. Una corrispondenza che riguarda un altro presupposto della pedagogia antroposofica: a grandi linee il percorso formativo di ogni bambino rispecchia la storia dello sviluppo dell’intera umanità.
C’è poi un altro percorso scandito da varie tappe, quello della trasformazione della forza lavoro in merce, ovvero in una massa amorfa di lavoro “astrattamente umano”. Un processo iniziato verso la fine del feudalesimo, quando i mezzi di produzione diventarono “capitale”; approfondito agli inizi del Ventesimo secolo grazie all’organizzazione scientifica del lavoro di Frederick Taylor; processo di scomposizione e alienazione del lavoro proseguito tramite la catena di montaggio fordista e ulteriormente perfezionato col modello nipponico denominato ‘toyotismo’: specializzazione estrema delle singole unità produttive e inesistenza di un processo di produzione integrale all’interno della fabbrica.
Oggi, nel mondo del lavoro, la robotica e l’Intelligenza artificiale stanno portando “un cambiamento epocale” (Oliviero Pesenti, laRegione del 12 luglio), e allo stesso tempo rappresentano l’apice del percorso di espropriazione del sapere operaio. Un cambiamento epocale che implica anche una sfida enorme per quel che riguarda la formazione delle nuove generazioni di lavoratori, cioè degli apprendisti.
Apprendisti che in Ticino, stando a quanto riferito di recente da alcune voci sindacali, verrebbero (non tutti, non sempre) scarsamente formati; sfruttati come manodopera a basso costo, soprattutto nelle professioni di cantiere; sottoposti a ritmi e turni di lavoro non in linea con le disposizioni di legge, in particolare nel settore sociosanitario; vittime di nonnismo, mobbing e molestie sessuali. Non un quadro molto edificante, a dire il vero.
I meccanismi di controllo da parte dello Stato per evitare queste degenerazioni ci sono, ma purtroppo non arrivano ovunque. Una questione quantitativa (il numero di ispettori di tirocinio attivi sul territorio), ma pure qualitativa: in effetti, non solo le aziende e i docenti andrebbero sensibilizzati. Anche chi è chiamato a sorvegliare sul buon funzionamento del sistema, sia dalla parte dei formatori sia da quella degli apprendisti, dovrebbe essere adeguatamente preparato. Questo implica, per il Cantone, poter disporre di risorse sufficienti: finanziarie e umane (all’altezza del proprio compito). In questi periodi di “ristrettezze” tutto ciò non è affatto scontato.
Il rischio, qualora certe anacronistiche idee di rigore (finanziario e umano) continuassero a prevalere a livello politico – e a livello culturale –, sarebbe quello di indirizzare i giovani verso percorsi di (non) formazione professionale, in cui si finirebbe per rispecchiare un processo involutivo di alienazione e sfruttamento che il Ticino, con tutte le sue specificità, sta sperimentando da ormai troppo tempo.