I referendum hanno portato sonore sconfitte alle urne, meglio forse pensare come essere più influenti in governo e parlamento senza andar via col pallone
Sarà stata una spiacevole combinazione di agende e calendario, ma l’asfaltata presa sulla riforma fiscale il giorno dopo un congresso – invero un po’ dimesso – che ha ratificato il via libera a un altro quadriennio di Laura Riget e Fabrizio Sirica alla testa del Ps dimostra quanta strada abbiano di fronte i socialisti. E tutta in salita.
Il progetto rossoverde, vera bandiera dell’ultimo quadriennio, non ha dato i frutti sperati. Gli arretramenti, tra Gran Consiglio e parlamento federale, non sono stati indifferenti. Ma al di là delle percentuali, ciò che deve davvero far suonare l’allarme in casa socialista è il distacco sempre più grande tra le proprie rivendicazioni, la pompa magna con alto tasso di drammaticità con cui vengono portate avanti, e la rispondenza davanti al popolo. Tra il pessimo e il fallimentare. Da un ‘Decreto Morisoli’ che senza validazione alle urne probabilmente sarebbe stato messo in un cassetto dal governo e lì dimenticato, a una riforma fiscale che di fatto ha sancito ancora una volta che i ticinesi non hanno alcuna intenzione di vedersi aumentare le imposte, men che meno di risanare in questo modo le finanze cantonali, gli esempi non mancano. E non è una questione di temi, anzi. La sinistra ha fatto la sinistra, contrastando in ogni modo la riforma fiscale appena votata. Ma in un momento di estrema difficoltà da parte della popolazione, le parole consegnate ai media da Riget subito dopo l’esito, riassumibili come una sorta di condanna all’egoismo che ha portato molti votanti a pensare prima al proprio portafogli e poi alla coesione sociale e alla solidarietà, spiega molto del voto e del pessimo periodo che sta vivendo elettoralmente la sinistra.
Esaurito il tema riforma fiscale, molto resta sul tavolo della politica cantonale. Dal Preventivo 2025 alla ulteriore manovra di rientro, dai sussidi di cassa malati in pericolo – stavolta, non essendoci elezioni all’orizzonte, per davvero – ad altri tagli. Ma per risultare credibili oltre alla solita storia dei referendum che saranno lanciati per contrastare le cesoie del governo e del parlamento – cesoie, lo ricordiamo, messegli in mano dal popolo a più riprese – a sinistra, e soprattutto nel Ps, dovranno davvero invertire la rotta.
Innanzitutto nel rapporto tra diritti e doveri. In una società sempre più frammentata e che fa sempre più fatica a trovare una bussola, compito di Riget e Sirica sarà quello di capire che non si può essere a favore solo di quello che piace e contrari a tutto quello che non piace. In un parlamento servono maggioranze, in un sistema collegiale si tratta finché si vuole ma poi bisogna trovarsi davanti a una sintesi. E quella sintesi va difesa. Certo, ci saranno tutte le linee rosse che il Ps vorrà mettere. Ma esse avranno un senso ultimo e uno scopo concreto solo se interpretate come una base di partenza di trattativa. Con lo scorso Preventivo tutti hanno lasciato qualcosa sul terreno: il Plr ha rinunciato al taglio dei sussidi di cassa malati, la Lega a riduzioni dei contributi per i richiedenti l’asilo. Il Ps, come al solito, ha detto no. Per carità, niente di illegale: ma solo coi no non si va da nessuna parte, perché il rischio è di autoescludersi da un vero ruolo in governo – una consigliera di Stato su cinque, che comunque è sul battagliero andante – ma soprattutto dal parlamento. Prendere ogni volta il pallone e andarsene quando c’è qualcosa che non piace rifletterà il rapporto di forze, con la sinistra in minoranza, ma non farà nulla per invertirlo. O per far capire che quella rappresentanza entra in alcuni compromessi e volge a proprio favore non tutto – pretesa infantile – ma almeno qualcosa.