laR+ IL COMMENTO

A cadere a pezzi è una politica giudiziaria inconcludente

Il no dei cittadini (persino a Lugano!) all’acquisto dello stabile Efg è uno schiaffo politico a Gobbi. L’assenza di una regia a Palazzo delle Orsoline

In sintesi:
  • Non ha fatto presa l'infausto e ingannevole slogan del comitato a favore dell’operazione
  • Terzo potere e priorità da evadere nel brevissimo termine: primo banco di prova, l’audizione stamane in parlamento del Consiglio della magistratura
Il consigliere di Stato Norman Gobbi, capo del Dipartimento istituzioni
(Ti-Press)
10 giugno 2024
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Quasi il sessanta per cento di no. Il verdetto popolare non poteva essere più chiaro. E suona come un sonoro schiaffo politico a Norman Gobbi, il consigliere di Stato leghista titolare di un dossier che le urne hanno asfaltato, come direbbero in via Monte Boglia. Per la maggioranza dei ticinesi che hanno votato, una maggioranza importante, l’acquisto dello stabile Efg – il costoso (76 milioni di franchi) elemento principale dell’ambizioso progetto di ‘Cittadella della giustizia’ – non è una priorità. Neppure per i cittadini di Lugano, sede del sontuoso immobile, che hanno bocciato l’operazione caldeggiata invece dal Municipio, in primis dal sindaco anch’egli leghista. Non è una priorità soprattutto in questo momento, in cui lo Stato predica risparmi e annuncia manovre di rientro dolorose per poter risanare, contabilmente, le pubbliche finanze. Le preoccupazioni di chi ha votato ieri sono altre: lo confermano i sì del nostro cantone alle due iniziative nazionali per limitare sui budget delle famiglie l’impatto dell’incessante incremento dei premi di cassa malati.

Non ha dunque fatto presa l’infausto, nonché ingannevole slogan del comitato a sostegno dell’investimento/spesa: ‘La giustizia cade a pezzi’. Ingannevole perché la giustizia, quella che veramente importa alla popolazione, quella che persegue gli illeciti e dirime le controversie, funziona, come attesta il rapporto 2023 del Consiglio della magistratura, l’autorità che vigila sullo stato di salute del terzo potere in Ticino. Certo, potrebbe e dovrebbe funzionare meglio, ma questo dipende solo in parte dalla logistica. Uno slogan ingannevole perché, appunto, un lussuoso Palazzo di giustizia non riduce comunque il numero di cause in entrata, non è garanzia di sentenze di qualità e di decisioni rese in tempi ragionevolmente celeri, non risolve i problemi di natura organizzativa degli uffici giudiziari, così come non evita mobbing o personalismi nei tribunali (il riferimento è alla situazione creatasi al Tribunale penale cantonale). Senza poi dimenticare che lo stabile sarebbe stato agibile fra alcuni anni, mentre i fascicoli giudiziari non diminuiscono e i magistrati e i loro collaboratori non aumentano. Tornando agli argomenti sollevati dai fautori dell’acquisto dello stabile in vista del 9 giugno, i paragoni con gli investimenti nell’edilizia scolastica erano e sono improponibili. La scuola è chiamata a formare anche e soprattutto dei cittadini, delle persone oneste e dotate di senso civico. E che per questo potrebbero non aver mai a che fare con la magistratura.

A cadere a pezzi, alla luce dell’indiscutibile responso di ieri delle urne, è semmai una certa politica giudiziaria. Quella portata avanti anzitutto dal direttore del Dipartimento istituzioni Gobbi. Una politica di fatto inconcludente. ‘Giustizia 2018’, la riforma che nelle intenzioni del ministro avrebbe dovuto rendere maggiormente performante l’azione della magistratura, si è arenata. Di questa politica inconcludente è però responsabile pure il Gran Consiglio: ha per esempio impiegato anni per assegnare, tramite un ritocco legislativo a costo zero, competenze decisionali ai segretari giudiziari nei procedimenti contravvenzionali e alleggerire di riflesso il carico di lavoro sui procuratori. E sono tuttora ferme al palo proposte per cambiare il controverso e logoro sistema di designazione dei magistrati. Per reintrodurre la figura del sostituto procuratore e potenziare di conseguenza l’autorità inquirente penale.

Insomma, non c’è una regia a livello politico, come ha dichiarato di recente il procuratore generale Andrea Pagani. Una regia che indichi per esempio di quante risorse, fra magistrati e funzionari, necessitano le singole autorità giudiziarie. Perché servono dati su cui poter ragionare. Una regia che fissi delle priorità – ma da trattare ed evadere nel breve, anzi brevissimo termine – all’indirizzo di governo e parlamento, tenuti ad assicurare alla giustizia, come abbiamo ricordato a più riprese, condizioni operative adeguate. Una regia che sappia trovare i piani B anche per quel che riguarda la logistica (la Corte d’appello e revisione penale, cioè la massima autorità penale in Ticino, non ha più un’aula dove celebrare i processi: serve un locale che non deve essere per forza con pavimento e pareti di marmo…). Una regia che potrebbe essere assunta, finalmente, dalla commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’, presieduta ora dal centrista Fiorenzo Dadò. Questa mattina il primo banco di prova, con l’audizione del Consiglio della magistratura. Lasciamoci sorprendere.

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