Una vera società in cui vige l’uguaglianza di genere per ora la si può trovare soltanto in qualche romanzo fantascientifico
A un certo punto tutti i nostri pregiudizi di genere si sono abbattuti su di noi. La situazione era, di per sé, piuttosto complessa: ci trovavamo costretti a individuare un sostituto o una sostituta per il partente Erroi, vicedirettore in uscita con destinazione Comano. Dopo alcune discussioni (prettamente maschili) eravamo giunti a un nome: Cristina. Al sottoscritto è stato affidato il compito di contattarla e invitarla a un colloquio per sottoporle la proposta. Fatto sta che prima che riuscissi a chiamarla, è stata lei a cercarmi: aveva qualcosa da comunicare. “Maledetta Rsi – ho pensato di primo acchito –, dopo Erroi pure Pinho…”. Mi sbagliavo. Ciò di cui Cristina voleva parlarmi non riguardava in alcun modo una sua imminente partenza. «Sono incinta», mi ha detto. Ricordo bene quella telefonata: ero al posteggio di un supermercato a Sant’Antonino, pioveva. «Congratulazioni! – le ho risposto –. Poi ne parliamo meglio quando rientri dalle ferie». Chiusa la telefonata, via libera alle paturnie: cosa facciamo? Mica possiamo proporle la vicedirezione ora che aspetta un bambino: come fanno maternità e carriera ad andare di pari passo? Poco dopo ho condiviso le mie perplessità con chi di dovere, e tutti quei pregiudizi miei sono diventati nostri. Mi sono pure confrontato con una collega, pensando che forse una donna avrebbe potuto aiutarci a superare quelle stupide barriere, talmente insite nella nostra cultura da essere praticamente invisibili. Peggio ancora: quella chiacchierata alla fine è stata la dimostrazione che gli stereotipi e i pregiudizi di genere non sono affatto una prerogativa esclusivamente maschile. Il parere della collega, madre pure lei, è stato categorico: «Non puoi chiederle di diventare vicedirettrice ora che è incinta. Non proporglielo nemmeno, la metteresti in una bruttissima situazione».
Siamo infine arrivati a una decisione, dopo ulteriori riflessioni, ma non è questo il punto. La questione è che ancora oggi, nel 2024, facciamo fatica, tutti, a concepire un mondo di pari opportunità, in particolare – ma non solo – in ambito lavorativo. Lo conferma, tra l’altro, un recente studio dell’istituto Crif, che rileva come in Svizzera le donne che occupano posizioni dirigenziali in azienda siano soltanto il 28,5%, una quota che negli ultimi dieci anni è incrementata di appena quattro punti percentuali.
Chiaro che un certo percorso è stato fatto: se ci si confronta con l’immagine della donna (in bianco e nero) che emerge, per esempio, dal notevole ‘C’è ancora domani’ di Paola Cortellesi, potremmo pensare, anzi illuderci, che le cose non vanno poi così male. Ma sono in gran parte menzogne che raccontiamo a noi stessi. Una vera società in cui vige l’uguaglianza di genere per ora la si può trovare soltanto in qualche romanzo fantascientifico. Come ne ‘La mano sinistra del buio’ di Ursula Le Guin, con il suo mondo immaginario del pianeta ‘Inverno’ abitato da esseri ermafroditi, dove i ruoli di genere e l’impulso sessuale non sono fattori determinanti nei rapporti interpersonali, e dove la separazione della società, basata su una presunta predisposizione biologica degli individui, è inesistente. Una metafora, certo. Ma anche uno specchio nel quale può essere utile guardarci.
La Giornata internazionale delle donne che si celebra oggi è un’ottima scusa per ricordarci quanto la strada verso la parità sia ancora lunga e non priva di insidie. Una strada che in ogni caso siamo chiamati a percorrere.