Il sì alla 13esima Avs, il probabile no in autunno sulla riforma Lpp: definiranno i rapporti di forza nel dibattito sul futuro della previdenza vecchiaia
25 settembre 2016: l’iniziativa sindacale ‘AvsPlus’ viene respinta. Il 59,4% dei votanti e la stragrande maggioranza dei cantoni non ne vogliono sapere di aumentare del 10% le rendite.
3 marzo 2024: il 58,2% degli aventi diritto e un’ampia maggioranza dei cantoni approvano un’iniziativa praticamente analoga, che comporta un aumento dell’8,33% delle rendite del primo pilastro.
La sinistra riusciva talvolta a bloccare col referendum i progetti voluti dalla maggioranza ‘borghese’ del Parlamento. E negli ultimi anni (2021: cure infermieristiche; 2022: pubblicità dei prodotti del tabacco) ha dimostrato di poter incidere anche sulla Costituzione. Mai prima d’ora però aveva portato al successo un’iniziativa popolare per rafforzare lo Stato sociale. Adesso anche qui il suo potere di veto si trasforma in forza (pro)positiva.
Cos’è cambiato, in questi 8 anni scarsi?
Il contesto, anzitutto. Quando l’iniziativa per la 13esima Avs è stata lanciata (maggio 2021), nessuno poteva immaginare che presto si sarebbe innescata una spirale inflazionistica. Nel frattempo l’inflazione ha mollato la presa. Ma il potere d’acquisto si è eroso. E i timori nella popolazione restano ben presenti. Per un’iniziativa che vuole dare più soldi alle persone “il timing è perfetto”, aveva scritto il ‘Tages-Anzeiger’.
Inflazione, ma anche pandemia, guerre: in tempi simili la sensazione di insicurezza cresce. La fiducia nella capacità di autoregolazione dell’economia (e nelle organizzazioni che la propugnano) si incrina, quella nello Stato protettore si consolida. E poi decine di miliardi sono stati messi sul tavolo per aiutare privati e aziende durante il Covid, per accompagnare alla morte il Credit Suisse, per la ricostruzione dell’Ucraina, per l’esercito; com’è possibile che adesso lo Stato non ne trovi 4 o 5 all’anno per i pensionati?
Il contesto però non spiega tutto. Il voto di ieri è anche una dimostrazione di fiducia nell’Avs. Per molti svizzeri il primo pilastro è il vero pilastro dello Stato sociale. Tanto più – appunto – in tempi di crisi come questi.
Invece, le volubili rendite delle casse pensione sono da tempo in caduta libera. E in autunno voteremo su una riforma della previdenza professionale (Lpp) che graverebbe parecchio sui redditi medi e bassi e sulle aziende nei settori dove questi sono preponderanti (tanto che persino Gastrosuisse ora si schiera per il no). Il presidente dell’Unione sindacale svizzera Pierre-Yves Maillard si è già affrettato a dire che nei prossimi anni sarà il primo pilastro a dover essere rafforzato e che i 2,1 miliardi previsti per finanziare questa riforma della Lpp potranno venire dirottati – dopo il no del popolo – sull’Avs.
Il sì di ieri, il probabile no in autunno: definiranno i contorni del dibattito sul futuro dell’intero sistema pensionistico. E i rapporti di forza saranno con ogni probabilità favorevoli all’Avs.
Il Consiglio federale, che ha già aperto il cantiere della grande riforma del primo pilastro per il dopo-2030 (attesa entro fine 2026), deve ora approntare in tempi brevi un apposito progetto per finanziare la 13esima Avs. Tutte le ‘classiche’ opzioni (aumento dei contributi, dell’Iva, o di entrambi) sono sul tavolo. Tranne un aumento dell’età di pensionamento, improponibile dopo il flop dell’iniziativa dei Giovani Plr. Non è escluso inoltre che prima o poi si parli anche di aumentare l’imposta federale diretta. Sia quel che sia, qui la sinistra può guardare fiduciosa al prossimo scontro. E anche a quelli sui premi di cassa malati (giugno) e sulle rendite del secondo pilastro (settembre).