Mettere a confronto il campione del passato col dominatore dello sci odierno è un giochino affascinante, ma difficilmente darà risultati attendibili
Fosse nato altrove, Marco Odermatt – dopo gli straordinari risultati sulla neve – non solo verrebbe invitato alle più importanti kermesse televisivo-canore, ma addirittura gliele farebbero presentare. Essendo però venuto al mondo in Svizzera, è invece destinato a ricevere meno complimenti e onori di quanti ne meriterebbe. Non per colpa sua, ben inteso, ma di un Paese che da sempre fa del basso profilo la sua cifra stilistica. La cronica incapacità di trasformare i campioni sportivi in autentiche icone pop è del resto incisa a fuoco nel Dna elvetico.
Fatta eccezione per Federer, infatti, nessun altro atleta è mai riuscito a trascendere appieno il ristretto ambito da cui proveniva – appunto quello agonistico – per diventare qualcos’altro, e cioè un fenomeno sociale e di costume davvero trasversale. E anche nel caso di Roger, tocca ammetterlo, è successo soltanto perché – essendo lui nel frattempo assurto a simbolo per il mondo intero – a un certo punto non fu più possibile evitare che lo diventasse anche in patria.
Nel corso del weekend appena concluso, vincendo la sua ennesima gara, Odermatt si è laureato Re della Coppa del mondo generale per la terza volta consecutiva, e lo ha fatto – calendario alla mano – con un anticipo imbarazzante. Da qui al termine della stagione il nidvaldese disputerà un’abbondante manciata di altre competizioni, fra cui quattro giganti – il suo giochino preferito – e c’è dunque da scommettere che il suo vantaggio in classifica su ogni rivale sia destinato ad aumentare a dismisura, fino a fargli stabilire il nuovo record personale di punti conquistati. Ma, soprattutto, il ‘cannibale’ di Buochs con estrema probabilità si porterà a casa – oltre alla generale e al globo del gigante – anche le coppe della discesa e del superG.
Siamo dunque davvero di fronte a uno di quei fenomeni che, sulla faccia della Terra, appaiono soltanto ogni dieci o vent’anni. Ci sarebbe insomma materiale per fare di Marco un emblema universale del made in Switzerland, come fosse un prestigioso orologio o la celeberrima barretta di cioccolato a forma di piramide. E invece, come detto, ci limitiamo ad ammirarlo e, al massimo, a metterlo a confronto con un altro marziano – Pirmin Zurbriggen – che ormai quarant’anni fa dominava il Circo bianco con la sua medesima autorevolezza. Anzi, secondo alcuni addirittura in modo ancor più dispotico ed egemonico, data la capacità del vallesano di imporsi in tutte le specialità dello sci alpino, compreso lo slalom speciale, disciplina di cui invece Odi, almeno per ora, pare non riesca a carpire i segreti.
Simili paragoni, per quanto affascinanti e divertenti, sono però assai difficili da imbastire, e quasi mai danno risultati attendibili. Gli esperti, d’altro canto, ve lo confermerebbero: troppe cose sono infatti mutate dagli anni 80 del Novecento, a cominciare dai materiali, dai metodi di allenamento e dal numero di gare in calendario, andato notevolmente crescendo. Ma c’è un altro dato, ancor più importante, che rende ozioso comparare stili e carriere dei due fenomeni rossocrociati: Marco a 27 anni è nel pieno di un percorso che immaginiamo debba durare ancora diverse stagioni, mentre Pirmin alla stessa età semplicemente smetteva di sciare.