laR+ IL COMMENTO

Le avventure di Giorgia Meloni in Africa

La proposta della premier di aiutare la Tunisia sull’orlo della bancarotta in cambio di un freno all’afflusso di migranti non è andata a buon fine

In sintesi:
  • Meloni se n’è tornata dalla Tunisia con le pive nel sacco
  • Sulla questione migranti ha in parte rimediato con l’escamotage albanese
Duemila anni dopo ‘Scipione l’Africano’
(Keystone)
2 febbraio 2024
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A più di duemila anni da ‘Scipione l’Africano’, ecco che la storia, o meglio i suoi corsi e ricorsi (per citare Giambattista Vico), ci propone Meloni l’Africana. La premier italiana, proprio come Scipione, ha iniziato la sua avventura in Tunisia. Lì dove il suo illustre predecessore e concittadino sconfisse Annibale a Cartagine, oggi sobborgo chic di Tunisi. Giorgia Meloni, dal canto suo, se n’è tornata dalla Tunisia con le pive nel sacco. Nel senso che la sua proposta di aiutare economicamente il Paese nordafricano sull’orlo della bancarotta, coinvolgendo l’Ue, in cambio di un freno all’afflusso di migranti sulle coste italiane, non è andata a buon fine. “No all’elemosina, non saremo la guardia di frontiera dell’Ue”, ha tuonato il presidente tunisino Kaïs Saïed, nonostante Bruxelles avesse promesso 127 milioni di euro di aiuti immediati all’esausta economia dello Stato nordafricano, oltre ai propri buoni uffici affinché l’Fmi si decidesse a togliere il veto a un prestito di quasi 2 miliardi di dollari.

Sulla questione migranti Meloni ha in parte rimediato con l’escamotage albanese, mentre ha recuperato Saïed per il suo ambizioso ‘Piano Mattei’ da 5,5 miliardi di euro per l’Africa. Enrico Mattei, per chi non lo ricordasse, è stato il fondatore dell’Eni che si mise in concorrenza con americani, francesi e inglesi per accaparrarsi il petrolio di cui l’Italia, appena uscita dalla guerra e povera di materie prime, aveva enorme bisogno. Oggi siamo daccapo, complici l’attacco russo all’Ucraina e la ridotta portata del canale di Suez: in buona parte dell’Europa c’è la corsa all’approvvigionamento energetico. Giorgia Meloni ha dunque pensato di sfruttare le ricchezze del sottosuolo africano, evitando operazioni neocolonialiste.

Fatto sta che lo scorso 20 gennaio si è tenuto a Roma un vertice Italia-Africa, durante il quale la premier ha insistito sul tema della “cooperazione da pari a pari, lontana da qualsiasi tentazione predatoria”. L’Italia, nelle intenzioni di Meloni, punta a costituire una piattaforma tra Ue e Africa. Poi, arrivando al dunque, ovvero all’interesse effettivo di questa operazione transcontinentale, la presidente del Consiglio ha detto che si tratta di “aiutare le nazioni africane interessate a produrre energia sufficiente alle proprie esigenze e a esportare in Europa la parte in eccesso”.

Ora, è pur vero che è stato scritto nero su bianco che non c’è alcuna “intenzione predatoria”. Tuttavia, a sentire l’inviato de La Stampa Domenico Quirico, tra i 25 capi di Stato e di governo africani presenti a Roma, alcuni hanno commesso un sacco di reati da codice penale ai danni del loro popolo. Prendiamo ad esempio Denis Sassou Nguesso, dal 1979 presidente della Repubblica del Congo, Paese ricchissimo di materie prime tra cui carbone e petrolio. Proprietario di lussuose residenze in Francia, Nguesso è stato accusato di averle acquistate depredando il popolo congolese. Quale sarà la ricetta di Giorgia Meloni e di Ursula von der Leyen – che ormai la segue come un’ombra, perché senza i voti di Fratelli d’Italia e dei suoi sodali rischia di non venire confermata alla guida della Commissione Ue – per disinnescare l’avidità di gente come Nguesso? Perché ci vuol poco per passare da Scipione l’Africano a “sciupone l’africano”.