Logica e opportuna la decisione del Consiglio d’amministrazione di affrontare le prossime battaglie politiche con un volto nuovo al vertice
Gilles Marchand doveva andare in pensione fra tre anni. Invece lascerà il posto di direttore generale della Ssr già a inizio 2025. Se non prima. “Al più tardi” entro questa data, infatti, l’ente radiotelevisivo vuole una “Direzione generale stabile e attiva”. Si tratta di prepararsi, con “sufficiente anticipo”, a “un nuovo ciclo” e alle “grandi sfide” del “calendario strategico e politico” che l’attendono nei prossimi anni. Segnati in rosso: la difficile votazione sull’iniziativa popolare ‘200 franchi bastano!’ per ridurre ancora il canone (2026); e l’altrettanto rognoso negoziato sulla futura concessione (2027).
Al di là delle speculazioni (decisione “di comune accordo” o elegante e sicuramente generoso benservito?), che la Ssr voglia evitare di ritrovarsi a cercare un nuovo capo proprio in quel periodo ‘caldo’, è del tutto logico e plausibile. Soprattutto, è sintomatico di quanto siano temuti questi momenti spartiacque per un’azienda già da tempo in fibrillazione, e dove ieri la notizia del prepensionamento di Marchand è piombata per quasi tutti i collaboratori come un fulmine a ciel sereno. Sono passati solo sei anni, ma sembrano anni luce: la fiducia che nella primavera del 2018 aveva accompagnato il trionfo nella votazione sull’iniziativa ‘No Billag’ per l’abolizione del canone è un lontano ricordo.
I timori in effetti sono fondati. L’iniziativa anti-Ssr 2.0 gode di simpatie trasversali, che vanno ben oltre l’Udc e i nemici del servizio pubblico radiotelevisivo gravitanti nella sua orbita. Persino a sinistra si percepisce ormai una certa insofferenza verso una Ssr ritenuta tuttora – nonostante gli importanti sforzi intrapresi negli ultimi anni per ridurre i costi – ingombrante e privilegiata nei confronti di media privati in crescente difficoltà. Fa bene dunque il suo Consiglio d’amministrazione ad anticipare i tempi.
Fa bene anche perché le sorti della prossima battaglia – quella sull’iniziativa per la riduzione del canone – si giocheranno nella Svizzera tedesca. Lì (e in Ticino) il sostegno all’iniziativa ‘No Billag’ fu più tiepido. E lì si trova fra l’altro più della metà di quei cantoni la cui maggioranza potrebbe anche rivelarsi decisiva alle urne tra un paio d’anni. Serve dunque una figura con la quale i votanti a est della Sarine possano facilmente identificarsi. Marchand, a dispetto di un’apprezzata conduzione nei suoi sei anni e mezzo di mandato, non ha mai ‘bucato lo schermo’ tra i politici e gli elettori tedescofoni.
Il vodese per giunta non ha lesinato critiche ad Albert Rösti. In novembre aveva bollato il ‘piano’ governativo per contrastare l’iniziativa (canone a 300 franchi, esenzione per molte più aziende) come “una direttiva di risparmio senza necessità”, che provocherebbe “enormi problemi” all’azienda. Da molti è stato visto come un segno di inflessibilità. O come uno sgarbo. Il ‘ministro’ della comunicazione non aveva forse concesso «un periodo di transizione adeguato» alla Ssr, spingendo più in là (al 1º gennaio 2029) l’entrata in vigore della nuova concessione?
L’annotazione non è anodina. Perché è su questo piano – quello del ‘perimetro’ d’azione e dei contenuti, ancor più che su quello delle risorse finanziarie – che, per ammissione degli stessi promotori dell’iniziativa, verrà modellato il destino della Ssr, colosso (pubblico) che online continua indisturbato a lasciare le briciole ai nanerottoli (i media privati). Forse anche per questo l’azienda fa bene a cercarsi un volto nuovo, magari femminile e/o giovane, più in sintonia con lo ‘Zeitgeist’: qualcuno in grado di traghettarla – senza troppi strappi comunicativi – nel “nuovo ciclo” annunciato da Marchand.