In ritardo all'inaugurazione di un parco, il ministro italiano Lollobrigida ha preteso una fermata ad personam del treno su cui viaggiava
L’italiano Francesco Lollobrigida, che onora il suo fortunato Paese come ministro dell’agricoltura in un governo di braccia rubate alla medesima, sta passando momenti bruttissimi. Atteso in provincia di Napoli per l’inaugurazione di un parco, il nostro aveva deciso di raggiungere la Campania in treno, come un cittadino qualsiasi, riponendo un’ingiustificata fiducia nella puntualità delle locali ferrovie. Tutti sanno, infatti, che in Italia il ritardo è una parte essenziale, costitutiva, inscindibile di un viaggio in treno: può sempre saltare fuori uno sciopero non annunciato, un guasto tecnico, l’alzata d’ingegno di uno svalvolato che per le ragioni più assurde si sdraia sui binari… E così ci si ferma in aperta campagna, nei pressi di una stazione secondaria, in mezzo al nulla, sotto gli sguardi perplessi delle mucche al pascolo. Gli italiani, che sopportano questi soprusi con ammirevole autocontrollo e filosofica rassegnazione, sono soliti attrezzarsi preventivamente con generi di conforto portati da casa, qualcosa da leggere, giocattoli per tenere buoni i figli piccoli. Vari amici ci hanno confidato di avere approfittato di queste soste per scrivere saggi su Hegel, preparare esami universitari, imparare lingue straniere. Alcuni di loro, durante queste pause, sono stati addirittura concepiti. E quante nonne hanno cucito maglioni di lana per i nipoti, a bordo di convogli spiaggiati tra Castagneto Carducci e Venturina Terme?
Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche, e neanche le parole crociate mentre i compagni di scompartimento si raccontano le loro vite, e poi quel giorno il ministro Lollobrigida non aveva nessuna voglia di fare tardi. Già gli giravano perché il suo tonitruante governo non ha saputo mantenere neanche una promessa elettorale, pecca di cui persino le loffie e litigiose opposizioni hanno timidamente cominciato a chiedere conto, e in più si sentiva tremendamente da meno rispetto al padre spirituale Mussolini, sotto la cui dittatura, secondo qualche nostalgico, i treni arrivavano sempre in orario (“chille”, chiosava Massimo Troisi, “faceva ’o capostazione…”). In serata, inoltre, sarebbe intervenuto in un programma Rai, peraltro chiuso il giorno dopo per i bassi ascolti. Troppi impegni e troppi pesi sul cuore per un uomo solo. Ma come fare? Non c’era che una soluzione: una fermata straordinaria a Ciampino, poco ridente località aeroportuale a sud di Roma, dove il ministro e il suo codazzo ministeriale sarebbero stati prelevati da un’altrettanto ministeriale auto per non mancare all’inaugurazione del parco. Così facendo, il ministro non avrebbe deluso una folla pronta a osannarlo e ad ascoltarne le alate parole, e soprattutto avrebbe fatto felici tanti bambini, disposti, pur di stringergli la ministeriale mano, a rinunciare alla paghetta settimanale, al corso di judo e ai regali di Natale. Come Giosuè fermò il sole e la luna e San Gennaro fermò la lava del Vesuvio, così Lollobrigida avrebbe, più modestamente, fermato un treno.
Commossi e conquistati dal ministeriale zelo, i funzionari di Trenitalia si sono patriotticamente messi la mano sul cuore, acconsentendo all’accorata (e ministeriale) richiesta. Senza fare un plissé, Trenitalia ha confermato l’accaduto, aggiungendo che la possibilità è prevista dal regolamento delle Ferrovie dello Stato. Non solo: nel corso dell’anno episodi del genere, ha assicurato Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei Deputati, sono accaduti oltre duecento volte. Vuol dire che si è aperto un precedente? D’ora in poi in Italia qualsiasi passeggero, adducendo improrogabili impegni istituzionali (dare l’acqua al canarino, far visita all’amante, non perdersi l’inizio della partita), potrà pretendere fermate non previste a Carpenedolo, a Scanzorosciate, a Rionero in Vulture? Ne dubitiamo: certi privilegi sono negati ai comuni mortali. Ma gli italiani non hanno motivo di disperarsi: da trent’anni in qua, finita la mai tanto abbastanza rimpianta stabilità politica che, nel bene e nel male, aveva fatto accomodare lo Stivale nel consesso delle nazioni civili, chiunque, prima o poi, potrebbe ritrovarsi, anche contro la sua volontà, ministro egli stesso o almeno parente di un sottosegretario di Stato. Lollobrigida, casualmente cognato della premier Meloni, ne sa qualcosa. E non pensiate che sia una prospettiva legata al censo, all’istruzione o, Dio non voglia, alle competenze: la parabola del Movimento Cinque Stelle dimostra che l’odio per la grammatica e l’uso di un italiano punkabbestia sono, ormai, corsie preferenziali per accedere alle stanze del potere: non in eterno, perché la ruota gira vorticosamente e le fortune politiche sono effimere, ma prima o poi ogni italiano potrà sentirsi, anche solo per il tempo di un viaggio in treno, come il Marchese del Grillo immortalato da Alberto Sordi: “Io so’ io e voi nun siete un…”.