laR+ IL COMMENTO

Il paradosso della riforma fiscale

La proposta è stata concepita non tanto per chi potrebbe andarsene dal Ticino, ma per quel ristretto gruppo di famiglie che il cantone non lo lascerà mai

In sintesi:
  • Un taglio lineare delle aliquote del 3% sarebbe bastato per neutralizzare il ritorno del moltiplicatore al 100%
  • Per i più facoltosi l’idea non è quella di ridurre le aliquote massime dell’1,66 ma di almeno il 30%
Ancora servi della gleba?
(Ti-Press)
17 novembre 2023
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Matematica pura: grazie alla proprietà commutativa, se X * Y * 97% è uguale a Z si può anche dire che X * (Y * 97%) * 100% ci porterà comunque a Z. Il capogruppo del Centro in Gran Consiglio Maurizio Agustoni è stato il primo a capire che basterebbe applicare un taglio lineare delle aliquote del 3% per neutralizzare completamente il ritorno del moltiplicatore cantonale d’imposta al 100%. Era proprio questa la sua proposta in sottocommissione ‘Fisco’ qualche settimana fa. Il problema nell’ipotesi di Agustoni riguardava però i Comuni: agire sulle aliquote comporta un impatto non indifferente sui ricavi degli enti comunali, i quali ottengono il proprio gettito grazie al moltiplicatore applicato sull’imposta cantonale. Ecco allora il compromesso che si profila all’orizzonte del fronte borghese (Plr, Centro, Udc, Lega): dimezzamento dell’onere per i Comuni rispetto al 3% di Agustoni grazie a una riduzione lineare delle aliquote cantonali dell’1,66%, che per la maggior parte dei contribuenti si tradurrà in un carico fiscale analogo (imposta cantonale più imposta comunale, considerato un moltiplicatore medio dell’80% per i Comuni) a quello avuto durante il periodo della norma transitoria del moltiplicatore cantonale al 97 per cento.

Un carico fiscale analogo per la maggior parte dei contribuenti, dicevamo, ma non per tutti. Per i più facoltosi l’idea infatti non è quella di ridurre le aliquote massime dell’1,66 ma di almeno il 20%, portandole dall’attuale 15 fino al 12 o addirittura all’11%. Generoso sgravio che forse non sarà immediato, ma che in ogni caso rimane l’obiettivo politico della maggioranza da raggiungere a breve-medio termine, mantenendo quindi la rotta tracciata con il messaggio governativo di riforma della Legge tributaria. E questo nonostante la concomitanza poco felice con la manovra di rientro – che va a incidere sul sociale e sugli aiuti al ceto medio – presentata dal Consiglio di Stato insieme al Preventivo 2024.

“Bisogna rendere il Ticino più attrattivo fiscalmente per evitare che dei grossi contribuenti lascino il nostro cantone” è il mantra che ripetono all’unisono Dfe, diversi specialisti e certi osservatori. Il paradosso della riforma fiscale riguarda il fatto di essere stata, in verità, concepita e voluta non tanto per chi potrebbe andarsene dal Ticino, ma per quel ristretto gruppo di famiglie che il cantone non lo lascerà mai. Non lo lascerà perché lo considera suo. Parliamo dei grandi facoltosi nostrani dai cognomi illustri: fondatori di fiduciarie, grossi clienti di fiduciarie, grandi imprenditori, capitani di industria. Signori pseudofeudali “stanchi” di finanziare con le loro tasse lo Stato sociale e che oggi, di fronte a un contesto avverso, esigono dall’ente pubblico rigore finanziario da un lato e un alleggerimento della pressione fiscale dall’altro.

Dopo la crisi del XIV secolo, nell’Europa medievale, la commutazione delle corvée in rendite monetarie diventò pratica sempre più diffusa e sancì l’inizio della fine del feudalesimo. Nel Canton Ticino del XXI secolo, nel bel mezzo di una grande crisi mondiale, le pretese e reticenze tributarie di un ristretto gruppo di persone molto potenti, facoltose all’inverosimile e strettamente legate al territorio – nonché la volontà politica della maggioranza di accontentarle – rischiano invece di spianare la strada alla piena restaurazione del regime feudale.