Ermotti prevede 3’000 posti di lavoro in meno solo in Svizzera. Gli azionisti invece applaudono i risultati ottenuti dal nuovo (vecchio) Ceo
Ancora cinque mesi e mezzo fa, a metà marzo, la Svizzera sembrava sull’orlo di una catastrofe finanziaria di portata epocale a causa del progressivo tracollo di Credit Suisse, salvato in extremis dai miliardi della Confederazione e dalla disponibilità di Ubs a farsene carico. Naturalmente quasi a prezzo di ‘discount’, visto che l’operazione di salvataggio è costata al numero uno del sistema bancario elvetico appena 3 miliardi di franchi. Ora, dopo quel terremoto di primavera, siamo qui a prendere atto di un utile da primato, conseguito da Ubs nel secondo trimestre dell’anno. Quindi, all’indomani dell’intervento con il quale ha contribuito a evitare il crac del suo storico rivale. Parliamo di 29 miliardi di dollari, contro i 2,1 miliardi del secondo trimestre dello scorso anno.
Si potrebbe dire, insomma, che il nuovo (vecchio) Ceo di Ubs, Sergio Ermotti, richiamato in servizio per rimediare ai danni colossali compiuti dai suoi omologhi di Credit Suisse soprattutto pasticciando con l’investment banking Oltreoceano e nel Regno Unito, abbia fatto i compiti sin qui più che egregiamente. Non dimentichiamo, tra l’altro, che poche settimane fa ha annunciato di non avere più bisogno delle garanzie della Confederazione, con il risultato che, almeno finanziariamente, il contribuente svizzero non sosterrà alcun onere per il salvataggio di Credit Suisse. Di più: ieri ha dichiarato che l’integrazione completa dei due istituti, che ritiene si concluderà nel 2026, comporterà risparmi per 10 miliardi di dollari. Risparmi con conseguenze dolorose per l’impiego, considerato che lo stesso Ermotti prevede la perdita di 3’000 posti di lavoro solo in Svizzera. Per addolcire la pillola ha dichiarato che “troveranno rapidamente un nuovo lavoro”. Staremo a vedere. Fino all’ultimo c’è chi ha sperato che almeno la parte svizzera del gigante bancario malato, l’unica in buona salute, venisse risparmiata. Invece no: entrerà anch’essa in Ubs, senza distinzioni rispetto alle altre società del gruppo in fase di smantellamento.
Fatto sta che guardando al notevole balzo in avanti segnato ieri alla Borsa di Zurigo dal titolo di Ubs, si può essere certi che gli azionisti abbiano applaudito gli annunci di Ermotti. La quotazione di 24 franchi per azione che, a suo tempo, il Ceo aveva promesso si sta piano piano raggiungendo. Certo, rimarrà il malumore in tutti quegli investitori di Credit Suisse che tra il 17 e il 19 marzo scorsi si videro dimezzare il prezzo delle loro azioni per evitare il fallimento. Per non parlare dell’ira degli obbligazionisti, cui la Finma ha azzerato 16 miliardi di franchi di obbligazioni subordinate: diversi studi legali sono al lavoro con l’obiettivo dichiarato di recuperarli.
Nel frattempo, per chi ama i retroscena, rimane ancora una questione in sospeso. Si tratta di verificare se sia vero, come ha scritto la SonntagsZeitung, che nel novembre del 2022, perfettamente al corrente delle difficoltà di Credit Suisse, l’allora ministro delle Finanze Ueli Maurer abbia dapprima incaricato in un “brain storming” di trovare una soluzione, per poi lasciar perdere. A quanto pare la Banca nazionale era pronta a iniettare 50 miliardi di liquidità in Credit Suisse, sofferente per una continua fuga di capitali. Non se ne fece nulla e così, quattro mesi dopo, i miliardi necessari per il salvataggio raddoppiarono.