Il netto sì alla legge quadro ridà slancio alla politica climatica dopo lo stop del 2021. Ma lo scontro nei prossimi anni sarà inevitabile.
Due anni fa, giorno più giorno meno, il popolo svizzero respinse di misura (51,6%) la legge sul CO2. Una legge “molto estesa, forse sovraccarica”, ammise l’allora ministra dell’Ambiente, la socialista Simonetta Sommaruga. Le circostanze ebbero il loro peso. Lo stesso giorno si votava pure sulle controverse iniziative contro i pesticidi: il tema clima passò in secondo piano; e queste mobilitarono l’elettorato rurale, alimentando un’ondata di no che finì col travolgere anche quell’ambizioso progetto. La pandemia, poi, col suo corollario di insicurezza generalizzata e riflessi anti-establishment, portò acqua al mulino dell’Udc, che sola contro tutti affossò una legge che era riuscita a far passare come radicale e sinistrorsa.
La storia non si è ripetuta. Nessun altro tema perturbatore, un consigliere federale Udc come difensore, la pandemia alle spalle: le circostanze stavolta erano assai diverse. Non solo quelle. La legge sulla protezione del clima e l’innovazione non ha nulla a che vedere con quella sul CO2 del 2021, che mescolava divieti, nuove tasse e misure più o meno coercitive. Scottati da quella brusca battuta d’arresto, Consiglio federale e Parlamento si sono fatti più modesti. Il progetto approvato ieri alle urne è snello, comprensibile e ragionevole: non mette alle strette i proprietari immobiliari; e disegna per le aziende un orizzonte preciso verso il quale orientare la pianificazione degli investimenti.
Questa è una legge quadro: fissa gli obiettivi – ambiziosi, ma non campati per aria – in materia di riduzione delle emissioni di gas serra. Prevede pure qualche misura concreta. Non saranno i nuovi sussidi a convincere un numero enorme di proprietari di case a sostituire le loro vecchie caldaie a nafta e a gas con costose termopompe. Per contro, gli incentivi sembrano augurare miglior sorte al rimpiazzo dei riscaldamenti elettrici, che in inverno assorbono il 10% circa dell’elettricità consumata nel Paese. Non sarà granché, ma è pur sempre qualcosa. E comunque chi ne capisce più di altri – ci riferiamo all’appello lanciato da oltre 200 scienziati di università e istituti di ricerca svizzeri – ritiene la legge “una tappa decisiva” nel percorso per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima.
Siamo i primi al mondo a confermare i propri obiettivi climatici in una votazione popolare. Ma non si può certo dire che finora siamo stati particolarmente virtuosi. Negli ultimi 30 anni la Svizzera ha ridotto solo del 20% circa le emissioni di gas serra. Se le si vogliono azzerare entro il 2050, dando così sostanza agli impegni presi sul piano internazionale, bisogna cambiare passo. Obiettivi vincolanti e sussidi miliardari serviranno a poco se non saranno seguiti da misure concrete e più incisive, in grado di coniugare protezione del clima e sicurezza dell’approvvigionamento elettrico, a costi sopportabili per le casse della Confederazione e senza penalizzare i meno abbienti e gli abitanti delle regioni periferiche.
Il Parlamento se ne sta occupando. La nuova legge sul CO2, ad esempio: prevede una serie di strumenti fino al 2030, ma nessun divieto né un aumento della tassa sul CO2. Alleanza per il clima, Ps e Verdi la giudicano troppo poco ambiziosa. L’Udc (che rilancia sul nucleare) per ora la respinge “in modo deciso” a causa di “nuove onerose misure per il ceto medio”. Prima o poi probabilmente si tornerà a parlare di tasse d’incentivazione, come due anni fa. Ed è probabile che anche chi ora è stato risparmiato – automobilisti, contadini, consumatori di voli low-cost – sarà chiamato alla cassa. E allora le discussioni sulla politica climatica si riaccenderanno.