laR+ IL COMMENTO

Il legno storto del ‘Decreto Morisoli’ e i cittadini che pagano

Le tariffe Arcobaleno salgono di più perché il Cantone prima della manovra ha le mani legate. Ma a mancare è una visione che vada oltre il pallottoliere

In sintesi:
  • Tagliare prima dell'esito dell’analisi esterna della spesa è rischioso
  • Senza simmetria di sacrifici tra Stato e contribuenti sarà grama
  • Il potere d'acquisto delle persone scende sempre di più
Si aspetta
(Ti-Press)
7 giugno 2023
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Dal legno storto di cui è fatto il ‘Decreto Morisoli’ non si può fabbricare nulla che sia veramente dritto. Con l’audacia che comporta il citare Immanuel Kant per descrivere la a tratti miseranda fase economico-politica che sta attraversando il Canton Ticino, è questo il pensiero che accompagna le ultime novità che interessano da vicino i cittadini, le famiglie e i loro budget.

L’ultima in ordine di tempo risale a ieri, quando Cantone e Comunità tariffale Arcobaleno hanno annunciato che le tariffe per biglietti e abbonamenti al trasporto pubblico, fermi dal 2016, subiranno un aumento. Più che un aumento è una stangata, considerando che da dicembre si spenderà tra l’8 e il 10% in più. Incremento ben più alto rispetto a quello comunicato poche settimane fa da Alliance Swisspass. Perché? Se ci si fosse limitati a un più 4-5% sarebbero mancati quei 3 o 4 milioni di franchi che il Cantone, impegnato nella manovra di rientro, non può mettere. E quindi pagano i cittadini.

Cittadini che in questi giorni si sono già confrontati con l’aumento dei tassi ipotecari, che potrà tradursi in un aumento delle pigioni, e con un’altra conferma – questa volta da Comparis – della possibilità che arrivi un’altra esplosione dei premi di cassa malati: si parla del 6%, che per alcuni può toccare il 10%. Per non parlare di tutte le conseguenze della pandemia e della guerra in Ucraina.

Ebbene, se in questo contesto l’azione del Cantone si limita a non organizzare la partenza del ‘Tour de France’, non partecipare all’Olma e – passando a questioni realmente tangibili per la popolazione – a negare 3 o 4 milioni di franchi per far gravare meno sulle tasche dei cittadini il prezzo del trasporto pubblico incentivato e spinto a più riprese dal Cantone stesso, c’è un problema la cui origine, non si scappa, è una: l’applicare una politica di tagli senza ancora sapere dove potrebbe essere giustificato farli. La Commissione parlamentare della gestione ha chiesto e ottenuto che venga fatta un’analisi della spesa: agire preventivamente – o per dare segnali – senza avere l’esito di questa spending review è un esercizio da affezionati del pallottoliere e non da un governo che mostra di avere chiara in mente una strada da seguire.

Che avere finanze sane sia importante non è in discussione, i conti devono essere presto o tardi portati in pareggio. È il modo che sta lasciando interdetti, considerando che i parametri non sono esattamente quelli del Regno Unito che nel 1979 portarono all’elezione di Margaret Thatcher. Ciò che manca è una visione politica a medio-lungo termine. Tagliare la spesa senza interrogarsi sul perché questa spesa sia cresciuta – spesso la risposta è che sono aumentati i bisogni della popolazione – è miope. Il messaggio subliminale che questa dieta riguardi più il portafoglio dei cittadini che lo spulciare con serietà voce per voce quella che è la spesa pubblica, non è costruttivo. Quando poi a rischiare di finire sotto la falce è anche la giustizia, garanzia del rispetto dei diritti delle persone, il corto circuito è servito.

Ed eccoci di nuovo a guardare quel legno storto che aveva incantato il mondo economico e la maggioranza dei votanti il 15 maggio dell’anno scorso, salvo poi portare lo stesso mondo economico a chiedere al Cantone di aumentare gli investimenti. Un legno storto che poteva anche avere buone intenzioni nei suoi proponenti, ma che senza una simmetria dei sacrifici tra Stato e contribuenti, senza una Corte dei conti e senza una chiara direzione politica che tratteggi il Ticino dei prossimi vent’anni, non fabbricherà nulla di dritto.