Lettera dell'Associazione ticinese delle istituzioni sociali (Atis) alla Commissione della gestione sui tagli prospettati dal Consiglio di Stato
Le proposte di risparmio avanzate dal Consiglio di Stato per il settore delle istituzioni sociali “sono a nostro avviso inaccettabili e altamente pericolose”. Parole come macigni quelle contenute nella lettera che il Comitato dell’Associazione ticinese delle istituzioni sociali (Atis) ha indirizzato al presidente della commissione parlamentare della Gestione, il leghista Michele Guerra, e in copia al governo. Quattro pagine fitte, importanti, in cui l’associazione – che raggruppa istituti nel settore della disabilità (minorenni e adulti), i centri educativi per minorenni (Cem) e il settore delle dipendenze – si esprime in maniera critica sui tagli concernenti gli ambiti nei quali operano gli enti affiliati all’Atis. Tagli prospettati dalla manovra di rientro, per oltre 133 milioni di franchi, che accompagna il Preventivo 2024 uscito dall’Esecutivo poco più di un mese fa e oggi sotto la lente del Gran Consiglio. Sullo sfondo l’obiettivo del pareggio di bilancio nei conti del Cantone entro fine 2025, dopo una già annunciata seconda manovra: un traguardo vincolante dopo il sì dei cittadini nel maggio dello scorso anno al ‘decreto Morisoli’, sorta di totem per quel centrodestra, Udc in testa, fautore dell’assoluto rigore finanziario. E a proposito del controverso decreto, l’Atis nella missiva alla Gestione tiene a ricordare che “di principio in base ai contenuti del ‘decreto Morisoli’ e alle discussioni che ne hanno fatto seguito”, il settore delle istituzioni sociali “nemmeno avrebbe dovuto venire toccato dalle misure proprio per il rischio di mettere ancora più in difficoltà una fascia della popolazione già ampiamente sfavorita e penalizzata”. Le cose hanno invece preso un’altra piega. “Le numerose istituzioni sociali che Atis rappresenta adempiono un compito su incarico dello Stato che i cittadini della Confederazione, in primis, e del cantone hanno indiscutibilmente voluto affidare all’Ente pubblico: tagliare i finanziamenti nelle modalità suggerite/imposte significherebbe mettere seriamente a repentaglio la possibilità di adempiere adeguatamente questo mandato, con la conseguenza ultima che a rimetterci sarebbero gli utenti e le loro famiglie, ossia le persone che in ultima istanza siamo chiamati a tutelare”, avverte la lettera firmata dal presidente dell’associazione Mauro Mini, già giudice del Tribunale d’appello e dal vice Damiano Stefani, giudice d’Appello in carica e presidente del Consiglio della magistratura.
“La necessità di intervenire con misure di risparmio – si afferma nel documento dell’Atis – è la logica conseguenza delle disposizioni contenute nella legislazione cantonale sulle finanze pubbliche. Si tratta di principi di sana gestione finanziaria, del tutto condivisibili”. Il problema, precisa il Comitato dell’associazione, “nasce dai motivi dello squilibrio, riconducibili a una crescita non controllata delle spese (in parte non controllabile, per motivi di natura socio-demografìca) e a una sistematica politica di riduzione del gettito fiscale”. Dunque, questione sgravi. “A questo – continua la missiva – s’aggiunge il contenuto del ‘decreto Morisoli’, che ha definito di fatto anche come l’ineluttabile intervento di riordino delle finanze pubbliche avrebbe dovuto venir impostato”.
Spazio quindi ai numeri. “Le spese totali dello Stato – annota l’Atis – ammontano per il 2024 a poco più di 4 miliardi di franchi. L’entità del pacchetto che il Consiglio di Stato ritiene necessario ammonta a 135 milioni. Si tratta del 3,4% del totale della spesa”. Il settore degli invalidi “genera una spesa per lo Stato pari a circa 131 milioni di franchi (contributi a istituti per invalidi, consuntivo 2022, centro costo 233). Si tratta di circa il 3,3% della spesa totale”. A questi costi “si aggiungono circa 40 milioni” per i Centri educativi per minorenni “e circa 6 milioni” per l’ambito delle dipendenze. “Se si applicasse linearmente a questa voce una riduzione del 3,4%, il contributo del settore al risanamento globale per il 2024 ammonterebbe a 5,9 mio di franchi”. Partendo da queste cifre e alla luce dei contenuti della proposta di rientro, “risulta inevitabile domandarsi perché il solo settore degli invalidi dovrebbe contribuire con quasi 11 milioni di franchi alla manovra 2024”. Questa cifra “rappresenta una riduzione dell’8,4% della spesa per il settore degli invalidi rispetto al dato di consuntivo 2022”. Osserva l’associazione: “Se si applicasse lo stesso metro per l’insieme della spesa dello Stato (al totale delle spese correnti dello Stato a consuntivo 2022, pari a 3,84 miliardi di franchi), la riduzione risulterebbe di 322 milioni di franchi. Visto in un altro modo, la riduzione di 11 milioni per il settore invalidi assurge all’8,5% della manovra totale per il 2024”. Per il raggiungimento dell’importo di 11 milioni “sono state indicate tre misure, con la relativa quantificazione. A ciò si aggiunge la misura di rientro prevista a carico dei Cem che ammonta, sul contributo globale a 340’000 franchi e sui Fondi 1 e 2 a complessivi 2’340’000 franchi”.
Riguardo alla prospettata riduzione lineare sui contratti di prestazione, l’Atis rammenta che “la struttura dei costi delle istituzioni sociali è nota: circa l’80% di essi è costituito dai costi del personale, a loro volta determinati dal Ccl (Contratto collettivo di lavoro, ndr) di settore e dai contratti di prestazione che lo richiamano come riferimento per gli enti”. In concreto “si tratterebbe di una misura che simula – senza dirlo esplicitamente – le misure proposte per il personale dello Stato, ovvero un taglio del 2% dei salari per gli importi al di sopra dei 60’000 franchi”. Quanto a un’altra misura proposta dal governo, quella del “rallentamento/posticipo” di nuove iniziative e progetti nel settore delle strutture per invalidi, l’associazione è molto chiara: “Questa proposta avrebbe quale conseguenza una mancata risposta a dei bisogni reali, esistenti, già espressi e pianificati. Le organizzazioni/impostazioni a livello istituzionale delle prese a carico e delle prestazioni tengono già in considerazione queste nuove iniziative. Un rallentamento/posticipo avrebbe quale conseguenza un differimento di quanto programmato, che si tramuterebbe automaticamente in un pesante ritardo nella tutela degli interessi di una categoria della popolazione molto debole e le cui necessità non costituiscono dei lussi cui è possibile rinunciare anche solo temporaneamente”.
Quattro volte “illegale”, tre volte “iniqua”, tre volte “sbagliata”. Poi ancora: “sproporzionata”, “precarizzante”, “deresponsabilizzante”, “miope”. Sono i termini – messi nero su bianco nella presa di posizione – utilizzati dall’Atis per descrivere la proposta del Consiglio di Stato, indirizzata a Istituti ed Enti, di attingere ai fondi di riserva. Una proposta, si legge nella missiva, bollata dall’Associazione ticinese delle istituzioni sociali come “assolutamente improponibile”. Un giudizio netto. E motivato. Attraverso quattordici punti vengono snocciolati tutti i problemi sociali – ma anche giuridici – che la manovra presentata dal governo si porta dietro.
“Si tratta di una proposta illegale perché modifica retroattivamente e in modo unilaterale chiusure contrattuali già definite, in spregio ai principi di buona fede. È inoltre in contrasto con le stesse disposizioni emanate e confermate per anni dallo stesso Dipartimento (quello della sanità e socialità diretto da Raffaele De Rosa, ndr)”. Altro problema di “illegalità” sollevato dalla lettera firmata dagli avvocati Mini e Stefani: “La proposta di prelievo impone agli organi degli enti di sottoscrivere dei contratti di prestazione che a priori non coprono i costi e quindi generano delle perdite, ponendo gli organi in un conflitto di responsabilità. In primis con le rispettive autorità di vigilanza, ma anche nei confronti di terzi”. Inoltre, “il prelievo indiretto sui fondi per il tramite di contratti di prestazioni, avrebbe come effetti che gli istituti colpiti riceverebbero, per le medesime prestazioni, un contributo minore rispetto ai prezzi standard determinati dal Cantone medesimo. Questo – precisano Mini e Stefani – in aperta violazione del principio di uguaglianza di trattamento e della buona fede”.
La misura, come avevano già spiegato alla ‘Regione’ diversi istituti per invalidi, colpisce infatti solo le istituzioni che dispongono (ancora) di questi fondi liquidi, costituiti come richiesto dal Cantone stesso. “Non vengono invece toccate le istituzioni che questi fondi li hanno utilizzati per finanziare investimenti immobiliari, che restano integralmente di loro proprietà. Vengono quindi colpiti alcuni istituti e non altri”.
Chiaro anche il richiamo indirizzato al Consiglio di Stato a non far cadere sulle spalle di altri, ovvero enti autonomi, la responsabilità economica e sociale che il pareggio dei conti comporta. “Questi fondi, una volta chiusi i contratti di prestazione, entrano a far parte del capitale proprio. Il capitale proprio di un’istituzione serve a coprire i rischi derivati dall’attività di quest’ultima e non certo dello Stato, che ha pagato per ottenere delle prestazioni, nulla più”. E ancora, “Il capitale proprio di un’istituzione autonoma e con personalità giuridica propria non serve a finanziare né i disavanzi pubblici né le riduzioni d’imposta decise da governo e parlamento”. La riduzione del capitale proprio imposta a un ente, si legge nel testo, "non è una misura di risanamento strutturale per lo Stato, poiché non può essere ripetuta nel tempo, ma ha delle conseguenze strutturali negative per chi la subisce”. Chiara la conseguenza, che suona quasi come monito: “Attingere dai fondi è una misura deresponsabilizzante. Impoverendo le istituzioni a cui si appoggia per lo svolgimento dei compiti previsti dalle sue stesse leggi, lo Stato di fatto crea una garanzia implicita in caso di difficoltà”. Detto altrimenti: togliere le riserve vuol dire minare la responsabilità di garantire prestazioni e servizi nel tempo. “Questo è in palese contraddizione con il sistema di finanziamento tramite contratto di prestazione. Si vuole – chiede l’Atis – un ritorno al secolo scorso e una garanzia di copertura del deficit degli enti?”. L’Associazione ticinese delle istituzioni sociali ha anche chiesto formalmente di poter incontrare a breve la Commissione della gestione.
La protesta contro i tagli è veemente anche nel mondo della scuola. E a far sentire fortissima la propria voce è il Collegio dei docenti del Centro professionale tecnico di Bellinzona, che a maggioranza ha bocciato le misure di risparmio previste dal Consiglio di Stato. Tra queste, il contributo di solidarietà e la rinuncia all’adeguamento al rincaro per il personale.
Il motivo dell’opposizione del Cpt, annota lo stesso collegio, è motivato in particolare “dalla constatazione che negli ultimi decenni i docenti, così come tutto il personale che permette il funzionamento di una scuola (personale amministrativo, bidelli e addetti alle pulizie), hanno visto incrementare i propri oneri lavorativi e contemporaneamente hanno subito un peggioramento delle condizioni contrattuali (si pensi in particolare alla questione della cassa pensione)”.
Come atto di protesta “si è deciso di inviare al Consiglio di Stato una presa di posizione che chiede ad esempio, nel caso in cui vengano attuate le misure, una rinuncia ad organizzare attività extrascolastiche che vadano al di là della propria griglia oraria e degli stretti compiti di insegnamento, di svolgere solo 4 e non 8 giornate di formazione continua per quadriennio e di riservarsi il diritto di informare durante gli incontri con il pubblico (genitori, formatori, aziende ecc.) circa le proprie condizioni contrattuali”.
Analoga presa di posizione arriva dal Collegio dei docenti del Liceo di Bellinzona, che osserva come "in concreto, si perderà complessivamente attorno al 3%: circa 1’000 franchi all’anno in meno per i redditi più bassi, 5'000 per quelli più alti. I 2/3 di questa riduzione si ripercuoteranno inoltre per l’intera carriera lavorativa, con effetti anche sulle future rendite di cassa pensione".
Misure di risparmio che, per i docenti, "sono le ultime di una lunga serie di penalizzazioni salariali che, a partire dagli anni 90, hanno degradato progressivamente le condizioni professionali degli impiegati statali". Di più: "L’aumento dei contributi da un lato e la decurtazione prevista dal Preventivo 2024 dall’altro portano perciò ad una perdita salariale complessiva che si aggira attorno al 4% a partire dal 1° gennaio 2024".
Per i docenti del Liceo di Bellinzona, "è opportuno inoltre sottolineare che i tagli indiscriminati alla spesa sociale dello Stato non colpiscono solo i dipendenti statali, ma anche i lavoratori degli enti sussidiati dal Cantone e dei servizi correlati, i cittadini beneficiari dei sussidi di cassa malati e, più in generale, i cittadini che beneficiano di un qualunque servizio statale: è infatti difficile immaginare che condizioni professionali rese più precarie non si ripercuotano ad ampio raggio sulla qualità del servizio stesso".
Ragioni per cui il Collegio dei docenti del Liceo di Bellinzona "si associa alla protesta del 22 novembre indetta dai sindacati Ocst, Vpod e Sit, e appoggiata dall’associazione ErreDiPi, e si riserva la possibilità nelle prossime settimane di discutere di ulteriori misure di mobilitazione, comprese forme di astensione dal lavoro analoghe a quelle già attuate durante l’anno scolastico 2022-2023 riguardo alla vertenza sulle pensioni". Contro le misure si schiera anche il Collegio docenti del Liceo di Lugano 1.
Ma nel mondo della scuola non sono solo gli insegnanti a far sentire la propria voce. Il Sindacato studenti e apprendisti (Sisa) riunitosi in assemblea ribadisce “la contrarietà alle politiche di austerità proposte dal governo”. Nei tagli decisi dal governo “ci sono svariate misure che toccheranno i giovani del nostro cantone, tra cui spiccano: il taglio alle borse di studio, la reintroduzione del numero chiuso al corso passerella, la riduzione dei contributi per gli istituti sociosanitari, la diminuzione del contributo cantonale al trasporto pubblico”. Questi tagli che il Sisa definisce “draconiani” arrivano “in un contesto già altamente precario per studenti e apprendisti confrontati con un carovita senza precedenti. Durante i momenti di difficoltà lo Stato dovrebbe aiutare la sua popolazione e non ritirarsi dall’intervento pubblico”.
A schierarsi e lanciare la manifestazione di domani è pure l’Unione sindacale svizzera - Ticino e Moesa, che sottolinea come “saranno 6’400 le persone escluse dai sussidi di cassa malati”, ma questa manovra andrà a mettere le mani “nelle tasche del ceto medio, degli anziani e dei disabili”.