Non si capisce come dei partiti che si sfidano a colpi di reclami, emendamenti e piroette sui seggi commissionali possano gestire i dossier più delicati
Il miserevole preludio alla nuova legislatura messo in piedi in merito alla ripartizione dei seggi da assegnare nelle commissioni del Gran Consiglio mostra come alcuni partiti di governo non abbiano capito la lezione arrivata dalle urne il 2 aprile, dove tutti tranne il Centro hanno accusato perdite più o meno ingenti sia a livello di schede, sia a livello di eletti in parlamento.
La loro certificata e asserita distanza dai bisogni della popolazione avrebbe dovuto portare a maggior perizia e a un’autocritica non a favor di taccuini e telecamere, ma della buona politica di cui c’è una necessità sempre crescente. Invece il primo scoglio, l’assegnazione appunto dei seggi commissionali in base ai seggi ottenuti in Gran Consiglio, ha palesato una classe partitica arroccata nelle istituzioni, che se la canta e se la suona da sola, curante fino a un certo punto di ciò che si trova oltre lo specchio che gli riflette un’immagine che credono nitida ma che invero è sempre più distorta.
Da partiti che non riescono a mettersi d’accordo sull’aritmetica in merito a delle poltrone commissionali, è lecito aspettarsi quel famoso patto di Paese tanto sbandierato? Saranno capaci di affrontare la manovra di rientro, dei partiti che si sfidano a colpi di reclami, emendamenti e piroette ancor prima dell’insediamento del parlamento? Seguiranno a lungo le grandi paure in merito a una frammentazione parlamentare che non è scesa dal cielo ma è stata provocata dalla loro incapacità di interpretare da un lato i tempi che cambiano, dall’altro le esigenze dei pochi che ancora esprimono il proprio voto e, di conseguenza, fiducia nella politica?
A oggi, la risposta valida per tutte e tre le domande è semplice: no. E spiega perché molte persone abbiano preferito offerte come quelle di Avanti, Verdi liberali o HelvEthica: tutte da scoprire e in alcuni casi da costruire, ma con il pregio agli occhi degli elettori di essere almeno nuove e non legate ai partiti di governo.
E qui però si crea il cortocircuito. Se in un momento dove i salari reali sono sempre più bassi, cala il potere d’acquisto, esplodono i costi della salute e dell’energia, il mercato del lavoro langue tra boom di frontalieri e precariato la risposta della politica ‘politicienne’ è presentarsi con (almeno) tre-emendamenti-tre sull’assegnazione dei seggi commissionali, la situazione si fa grama. Era lecito aspettarsi un sussulto, soprattutto da chi è uscito peggio da elezioni che hanno sonoramente punito chi – al netto di qualche slogan – è parso un po’ giochicchiare nella torre d’avorio delle Orsoline.
La Lega ha reagito imprimendo, dando seguito alle intenzioni di Boris Bignasca, una spinta ‘barricadera’ che dovrà dare sfoggio di sé anche quando si parlerà di tagli nel sociale, non solo del credito per la Conferenza sull’Ucraina. Il Plr si sta riassestando dopo un arretramento tutto tranne che previsto, anche in ottica Federali. Altrove, soprattutto in casa Ps, a regnare è la confusione: prova ne è il balletto di proposte sui seggi commissionali che ieri si è arricchito di un nuovo emendamento. Se davanti a una sconfitta non ci si interroga davvero sui perché, e al contempo si trasmette l’immagine di chi pur di mantenere le proprie tre poltrone commissionali chiede prima di toglierne una al partito – di gran lunga – di maggioranza relativa, e poi all’unico partito che non ha perso posizioni in Gran Consiglio, si dimostra che la Luna da guardare si allontana sempre di più, mentre ci si concentra sul dito che la indica.