Ci si scanna sul diritto alla vita degli animali e sulle bizze del Dalai Lama, dimenticandosi della cosa più importante: il contesto
“I cani sono meglio delle persone che dicono che i cani sono meglio delle persone”, cantava Willie Peyote. E forse anche gli orsi, vittime inconsapevoli della tendenza dell’uomo ad appropriarsi di ogni spazio, costi quel che costi, e ancor più della cosiddetta antropomorfizzazione, quella che ci fa vedere negli animali caratteristiche umane che non ci sono: effetto collaterale di anni passati in compagnia di orsi irreali, pucciosi e dal cuore d’oro, di Yoghi, Baloo, Little John, Winnie the Pooh e Teddy Bear vari.
Gli ultrà degli orsi si sono compattati come la più chiassosa delle tifoserie attorno a un animale che ha attaccato e ucciso un ignaro runner che correva per i boschi del Trentino. Dall’influencer che deve mettere bocca su tutto all’animalista senza macchia e senza dubbi è partito il coro d’indignazione verso il comitato di esperti (che saranno esperti per un motivo e avranno le loro ragioni) che ha ritenuto fosse il caso di uccidere l’orsa JJ4 per evitare altre aggressioni.
Un orso bruno sulle Alpi (Keystone)
La reazione di pancia di chi ama gli animali – ma spesso non li conosce o non conosce le specifiche situazioni – è stata prevalente sui social, con le solite ritrite tiritere sul dualismo natura-uomo, boschi-città: ma resta una reazione preconcetta che fa di tutto per aggirare, o peggio, affogare il contesto. Ma cos’è il contesto? Secondo la Treccani è il “complesso di circostanze o di fatti che costituiscono e caratterizzano una determinata situazione, nella quale un singolo avvenimento si colloca o dev’essere ricondotto per poterlo intendere, valutare o giustificare”.
Pare semplice, eppure ce ne dimentichiamo. Vale per l’orso come per il Dalai Lama che chiede di farsi succhiare la lingua da un bambino. Qualcuno, come la corrispondente dell’Ansa dall’India, ha provato a giustificare l’atteggiamento del Dalai Lama come un “semplice gioco”, altri si sono attaccati ad antiche usanze asiatiche di cui non si trova riscontro. Gli aficionados del Dalai Lama, pensando di illuminare un contesto, in realtà lo oscurano, tappandosi gli occhi come gli ultrà degli orsi, perché sennò franerebbe una credenza basata sul rinforzo di un’idea immodificabile: il Dalai Lama buono contro i cattivi che lo tengono in esilio, lui Teddy Bear in salsa orientale, panda religioso da esibire come simbolo di purezza a dispetto di ogni suo passo falso.
Il Dalai Lama con il bambino del video criticato (Youtube)
Invece è il Dalai Lama, ormai star globale, che deve capire il contesto in cui si muove. Pare non averlo capito, come dimostrano le scuse in cui non si scusa affatto: “Sta circolando un video che mostra un incontro in cui un giovane ragazzo chiede di essere abbracciato dal Dalai Lama. Sua Santità vuole scusarsi con il ragazzo, la sua famiglia e con tutti gli amici nel mondo per il dolore che possono aver provocato le sue parole. Sua Santità spesso scherza in modo innocente e giocoso con le persone che incontra a eventi pubblici e si rammarica per l’incidente”. Come non notare che nel comunicato si annacqua l’episodio incriminato per fare emergere che sono in realtà gli altri – a partire dal bambino (definito “un giovane ragazzo”) – a essersi sentiti turbati dal comportamento “giocoso”?
Insomma, il contesto è tutto, ignorarlo o manipolarlo per autoassolversi – come ha fatto il Dalai Lama – o assolvere il proprio orsetto, che sia un orso in carne e ossa, una squadra di calcio o il politico di riferimento è un inganno a cui per primi crediamo: ipnotizzatori di noi stessi pur di illuderci di avere sempre ragione.