Le contraddizioni e il potere inscalfibile del massimo dirigente della Fifa, rieletto giovedì per acclamazione dalle federazioni affiliate
Rieletto per acclamazione, senza avversari, alla maniera del presidente di un club di Quinta lega, che nessuno osa mettere in discussione perché è l’unico in grado di comprare ogni anno due mute di maglie e offrire ogni tanto una risottata. Gianni Infantino però, al contrario dei generosi dirigenti del calcio regionale, soldi suoi non ce ne rimette, anzi, ne ricava più di Creso. Ed è ovvio, visto che la sua rielezione in stile nordcoreano non lo conferma alla testa del Football Club Pontegana, bensì ai vertici della Fifa, istanza che muove più capitali di parecchie multinazionali.
Da abile manager qual è, ad ogni modo, il grano mica lo incassa tutto lui: provvede infatti a elargirne con generosità ai presidenti di tutte le oltre duecento federazioni affiliate. In cambio, si capisce, di un piccolo favore: il sostegno incondizionato alle direttive da lui tracciate. Il problema è che, fra tutti i consociati, ci sono pure entità calcisticamente insignificanti come Guam, Montserrat, Comore, Gibilterra e Turks and Caicos – roba cioè che rivaluta il Pontegana citato poc’anzi – ma il cui voto vale esattamente quanto quello ad esempio di Francia, Germania e Argentina, che hanno meriti enormi nell’arricchimento della Fifa, ma il cui peso specifico non viene riconosciuto quando si tratta di prendere le decisioni.
È proprio questo trattamento paritario ma ingiusto a fare la forza politica di un dirigente come Infantino, che qualche nemico desideroso di sfiduciarlo ce l’avrebbe pure, ma il cui margine di manovra, come detto, risulta nullo. Alcune federazioni (ma non quella svizzera) hanno chiaramente manifestato il proprio malumore sulla gestione generale del mondo del pallone – ultima in ordine di tempo quella norvegese pochi giorni fa per voce della sua presidente Lise Klaveness – ma le loro rimostranze sono rimaste lettera morta. Finché l’attuale presidente avrà l’endorsement di dirigenti di un calcio marginale che si intascano tutto personalmente e che allo sviluppo del gioco a livello locale contribuiscono poco o niente, per la dissidenza non ci sarà spazio.
Obiettivo dichiarato di Infantino è quello di incrementare il più possibile la potenza finanziaria dell’organismo che presiede, e da questo punto di vista non si può certo dire che abbia disatteso le promesse: si calcola che la Fifa da qui al 2026 guadagnerà oltre 11 miliardi di dollari, più un altro paio se nel frattempo dovesse andare in porto la sua idea del Mondiale per club allargato a 32 squadre a cadenza quadriennale. Poco importa se a ospitarli saranno monarchie senza scrupoli e se a prendervi parte saranno squadrette che perderanno ogni partita 8-0, col conseguente peggioramento tecnico di manifestazioni che dovrebbero invece rappresentare il meglio del calcio planetario. Più partite significa più soldi da sponsor e tv, e solo questo conta a Zurigo.
Infantino si fa bello introducendo il congedo maternità per la calciatrici, ma poi fa affari – assai lucrativi – con Paesi in cui alle ragazze giocare a calcio nemmeno è permesso. La contraddizione è evidente, ma il presidente, lo ha più volte già dimostrato, possiede viso bronzeo: del resto, nel nostro Paese il suo nome è automaticamente associato, e non certo positivamente, a quello di un ex Procuratore federale costantemente sotto accusa, ma la cosa non gli fa neanche il solletico.